Una raccolta crowdfunding per mettere a punto una nuova metodologia per produrre carne in laboratorio: è quanto hanno pensato gli autori del progetto CultMeat dell’Università di Torino.
Ed evidentemente la scelta originale di finanziare in questo modo la ricerca universitaria per una reale alternativa all’allevamento convenzionale è piaciuta.
Dopo pochi giorni, infatti, l’obiettivo prefissato dei 10 mila euro era già stato raggiunto, e a pochi giorni dalla chiusura della raccolta quasi 500 sostenitori hanno fatto superare l’obiettivo del 250%
CultMeat, il progetto sviluppato dal gruppo di lavoro di Alessandro Bertero, docente di Biologia applicata all’Università di Torino, parte dalla necessità di trovare un novel food che possa essere più sostenibile a lungo termine. La carne coltivata potrebbe infatti essere una soluzione ad alcuni dei tanti problemi ambientali che ci troviamo ad affrontare.
La crescita della popolazione globale degli ultimi anni ha portato infatti ad aumentare la richiesta di carne in maniera significativa, e oggi si stima che, per la sua produzione, vengano utilizzati più del 75% dei terreni agricoli e che essa da sola causi il 14% delle emissioni di gas serra.
La coltivazione di carne a partire da cellule animali potrebbe ridurre l’impatto della filiera della carne e con essa anche i fenomeni collaterali come la deforestazione, la perdita di biodiversità e il consumo di acqua oltre che ad annullare la resistenza agli antibiotici e le malattie di origine alimentare.
Rispondere alle sfide UE e globali in campo agroalimentare nonostante i divieti legislativi
L’utilizzo di nuove biotecnologie si inserisce nelle sfide che da tempo l’Unione europea (Ue) sta cercando di portare avanti nel campo agroalimentare. All’inizio di ottobre la Commissione europea ha incaricato l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority, EFSA) di rivedere le linee guida aggiornate al 2018 riguardo ai novel food, sia nella parte scientifica sia nella parte amministrativa, in modo da rimanere al passo con i rapidi progressi in questo campo di ricerca.
Malgrado gli sforzi, a livello di informazione, produzione e legislazione c’è ancora molto da fare. La carne coltivata rappresenta una sfida tecnologica ma anche culturale ed etica, che coinvolge scienziati ma anche filosofi, psicologi, giuristi e cittadini.
Nonostante i dati riferiscano che circa il 60% degli italiani sarebbe disposto a provare la carne coltivata, distinguendosi tra i popoli europei più inclini a questo cambiamento, lo scorso novembre l’Italia è stato il primo Paese a dare un via libero molto discusso al Decreto legislativo che ne vieta produzione e vendita, in via precauzionale.
Un provvedimento che ha diviso l’opinione pubblica, andato poi anche incontro alla bocciatura per vizio formale, a febbraio 2024, da parte della Commissione europea.
Il progetto CultMeat però non sarebbe in conflitto con questa norma, perché essa non vieta la ricerca sulla carne coltivata ma solo la produzione e la vendita. CultMeat è quindi al sicuro finché tenuto all’interno delle mura dell’università.
Carne biosintetica da cellule staminali muscolari: passi avanti e step limitanti
La carne coltivata o “biosintetica” è un prodotto finito molto simile a livello biochimico e nutrizionale alla carne tradizionale, ma che si ottiene a partire da cellule staminali prelevate dagli animali e fatte successivamente crescere all’interno di bioreattori. Un metodo di produzione analogo al processo agricolo di coltivazione di piante in talea.
In particolare, il processo parte dal prelievo di cellule staminali dai muscoli di animali vivi, cellule fisiologicamente presenti negli organismi e che, non essendosi ancora specializzate, possono essere trasformate in diverse tipologie di cellule attraverso tecniche ormai in studio da anni da parte di ricercatori in più ambiti di ricerca.
Queste cellule vengono poi fatte crescere in bioreattori in cui vengono ricreate le condizioni più adatte alla loro proliferazione e replicazione fino alla formazione di un nuovo tessuto, in questo caso identico a quello da cui sono state prelevate, quindi muscolare.
Nel 2013 era già stato possibile assaporare il primo hamburger creato in laboratorio e negli anni successivi molti passi avanti sono stati fatti nell’agricoltura cellulare. Uno di questi progressi è stato compiuto presso il Tufts University Center for Cellular Agriculture (TUCCA), guidato da David Kaplan, dove i ricercatori hanno creato cellule muscolari bovine che producono da sole i propri fattori di crescita. Ciò rappresenta un’importante svolta perché i processi attraverso i quali i ricercatori riescono a controllare e indirizzare la trasformazione delle cellule staminali nelle cellule desiderate sono lunghi, pieni di insidie e soprattutto molto costosi.
Le cellule infatti per replicarsi hanno bisogno, ad esempio, tra gli altri nutrienti e componenti, di fattori di crescita, tra i principali il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF), molecole che forniscono alle cellule il segnale che è ora di crescere e differenziarsi in cellule di diverso tipo.
Un altro step limitante e costoso sono i volumi e le quantità di cellule da poter coltivare. Una delle prossime sfide del gruppo di Bertero è infatti l’acquisto di un bioreattore più grande per riuscire a scalare il processo sempre di più verso applicazioni industriali.
Il loro obiettivo è sviluppare un metodo innovativo di produzione che non richieda i costosissimi reagenti normalmente usati per trasformare le cellule staminali, in modo che questi processi possano essere più facilmente introdotti in breve tempo nel mercato e permettere ai nostri figli in un prossimo futuro di usufruirne a prezzi accessibili. La loro procedura non prevederebbe neanche l’utilizzo del costoso siero bovino, uno dei principali supplementi di crescita per le cellule, e limiterebbe l’estrazione delle cellule animali a una sola volta.
Un futuro prossimo in cui carne tradizionale e coltivata metteranno d’accordo tutti
Per i creatori di CultMeat, in un ideale futuro immaginario, durante una cena tra amici nel 2034, tutti concorderanno sulla carne coltivata. Un cibo anti allergie, senza problemi etici derivati dalle condizioni degli animali negli allevamenti, a bassissimo contenuto di emissioni e che fa sì che venga utilizzato il 95% in meno di terreni e il 78% in meno di acqua e, rispetto alla carne convenzionale, con costi irrisori di produzione.
Il progetto si cala in un contesto caratterizzato da anni da molti contrasti, come l’opposizione agli Organismi geneticamente modificati (Ogm), che giunge fino alle Tecniche di evoluzione assistita (Tea), come nel caso recente della distruzione del primo campo sperimentale di riso modificato e da forti polemiche come nel caso della farina di insetti.
Nell’ultimo anno si è dibattuto molto sulla carne coltivata. I dati dei Paesi in cui è autorizzato il consumo (Singapore, Stati Uniti e a breve Israele) per ora sono molto incoraggianti, stimano che questo mercato possa fruttare tra i 15 e gli 85 miliardi di euro entro il 2050, e generare fino a 90mila posti di lavoro in tutta la filiera.
Il progetto CultMeat, soprattutto attraverso la creazione di una raccolta fondi, vuole che siano i cittadini a riflettere e prendere parte attivamente a questa sfida scientifica e processo di cambiamento.