L’unica via sostenibile per rilanciare il Paese è ripensare le realtà urbane aumentando mobilità sostenibile, economia circolare e infrastrutture intelligenti. “Nelle città è in atto una rivoluzione ecologica ma è troppo lenta. Per città più sostenibili, resilienti e sicure servono politiche coraggiose e risorse economiche all’altezza della sfida. Manca una visione d’insieme, una strategia nazionale urbana che non lasci soli i Comuni nell’affrontare i temi legati a sicurezza e vivibilità. A partire dall’adattamento alla crisi climatica, che causa sempre più danni e perdite di vite umane; alla rigenerazione urbana e alla messa in sicurezza degli edifici, dalla presenza di amianto e dal rischio di terremoti; alla lotta allo smog, che causa quasi 50mila morti premature solo per il PM2,5.”
È quanto scrive Legambiente nel rapporto Ecosistema urbano 2024. Prodotto in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 ore, misura le performance ambientali di 106 capoluoghi di Provincia in sei aree tematiche (aria, acqua, rifiuti, mobilità, ambiente urbano, energia). Emergono, purtroppo, molte difficoltà e pochi miglioramenti.
A incidere infatti negativamente sulle performance ambientali dei Comuni capoluogo, oltre a problemi cronici come inquinamento e consumo di suolo, ci sono i ritardi nel contrasto alla crisi climatica sotto diversi punti di vista: efficienza energetica, mobilità sostenibile, rigenerazione urbana e overtourism. Ed è proprio a questi ultimi due fenomeni che sono dedicati i focus di approfondimento.
Rigenerazione urbana: necessario un ripensamento complessivo delle città
Come Agenda17 ha documentato nel lungo dibattito sulla “Città autoritaria”, l’impellente necessità di ripensare le nostre città, spesso inadeguate alle esigenze di qualità dell’abitare e di adattamento al cambiamento climatico, riporta al centro dell’attenzione la consapevolezza sulle periferie urbane, siano esse “periferie funzionali”, cioè centrali fisicamente ma marginalizzate, o il margine anche fisico dei tessuti urbani.
Già dal significato di “rigenerazione urbana” emergono però le prime perplessità, poiché mancano normative omogenee a livello nazionale che aiutino a darne una configurazione solida, che eviti equivoci e strumentalizzazioni.
La grande maggioranza degli interventi realizzati negli ultimi decenni in Italia si possono considerare capaci di riqualificare, dal punto di vista estetico, funzionale e ambientale, piccoli pezzi di città degradati, tuttavia la scala è quasi sempre quella edilizia, anziché urbana. “Soprattutto nelle grandi città, la molla che ha spinto verso gli interventi di trasformazione – si legge nel rapporto – sono stati i profitti sui valori immobiliari e non i bisogni collettivi. E se è ormai indispensabile coinvolgere in un processo di rigenerazione la finanza privata, bisogna però ammettere che, in assenza di una legge nazionale di riferimento che stabilisca le regole d’ingaggio, negli ultimi decenni le istituzioni locali si sono trovate ad avere un ruolo subalterno in questi processi. Quello dei soggetti mal sopportati che dovevano rilasciare il titolo edilizio o, sempre meno spesso, ad approvare i piani attuativi che stavano alla base della trasformazione.”
Non basta semplificare le procedure approvative, ma serve un cambio di paradigma che garantisca a tutti il diritto all’abitare. E per realizzare un “interesse collettivo nella rigenerazione” si può agire su più fronti, come la riqualificazione di aree degradate, il miglioramento della coesione sociale, il coinvolgimento delle comunità in processi di partecipazione alle scelte, la sostenibilità ambientale, energetica e paesaggistica, l’azzeramento del consumo di suolo, l’adattamento al cambiamento climatico e la riduzione del rischio idrogeologico.
I buoni esempi di Latina e Ferrara
Non mancano anche buoni esempi nel nostro Paese. Il primo caso è Latina, dove è in programma il progetto “A gonfie vele, in direzione ostinata e contraria”, al centro del quale è posto l’abitare: non solo un riferimento a edilizia e urbanistica, ma un approccio olistico che coinvolge anche la dimensione sociale. Lo sforzo è di lavorare “contro corrente” per mantenere l’intervento in mano pubblica e realizzare servizi utili a tutta la città, in un’area marginalizzata. Inoltre, una consultazione pubblica, con quasi 900 risposte a un questionario inviato al quartiere e alle scuole, ha sollecitato interventi anche di carattere socio-culturale (ad esempio eventi per le scuole da svolgere nel corso dei lavori o la costruzione di una Community Lab, che dovrà guidare la partecipazione degli abitanti al processo di gestione dopo la fine del cantiere).
Dall’altro lato Ferrara, dove l’Azienda casa Emilia Romagna (Acer) ha realizzato negli ultimi vent’anni alcuni interventi significativi di edilizia sociale e pubblica, come l’aumento delle abitazioni in locazione a canone sociale o convenzionato, la riqualificazione di aree degradate o marginalizzate e la sperimentazione di modi sostenibili di costruire.
Già da metà anni Novanta si è puntato su innovazione e sperimentazione, senza però trascurare l’elemento sociale. Nel quartiere Barco, totalmente rigenerato, è stato realizzato ad esempio un Portierato sociale come punto di riferimento per i residenti, soprattutto anziani e persone sole, non solo per le problematiche ordinarie ma soprattutto per iniziative di informazione e socializzazione e per contrastare forme di emarginazione ed esclusione.
Gestire l’overtourism con un approccio dal basso
L’altro grande fenomeno che interessa le città, ma non solo, è l’overtourism. Tra cinque anni il numero di turisti a livello globale potrebbe superare i due miliardi, ponendo l’interrogativo su come questa crescita sia compatibile con la fragilità di molti luoghi e il mantenimento dell’identità locale. In Italia, non si è andati oltre il ticket d’ingresso sperimentato senza successo a Venezia, o i “timidi tentativi” del Ministero sugli affitti brevi, finiti in un aumento della burocrazia.
Eppure nel nostro Paese le città vivono da tempo una crescita esponenziale del turismo, concentrato in un numero ridotto di località. Nelle prime dieci città d’arte, infatti, si riversa il 18% del totale dei flussi nazionali e internazionali, con una forte pressione su risorse e comunità locali. Tutto ciò trasforma il patrimonio storico-artistico e culturale delle città, gli spazi urbani e il tessuto socio-culturale ed economico.