È finita la COP16, la Conferenza sulla biodiversità riunitosi a Cali (Colombia) dal 21 ottobre al 1° novembre, per l’implementazione del Global Biodiversity Framework. E, secondo molti osservatori, non è stato un successo. Nonostante alcuni risultati positivi, le aspettative disattese a Cali mettono a rischio l’attuazione del Quadro globale per la biodiversità.
L’incontro avrebbe dovuto lavorare concretamente su soluzioni e implementazioni dei 23 punti dell’Accordo ONU del 2022 per salvare la vita vegetale e animale della Terra, proteggendo il 30% del Pianeta e ripristinando il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030.
Secondo il WWF siamo “pericolosamente fuori strada”: il mancato accordo della COP16 su come mettere a disposizione da parte degli Stati le risorse finanziarie per il GBFF allontana l’obiettivo di colmare il gap totale di 700 miliardi annui di dollari di finanziamenti necessari per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030.
Ne abbiamo parlato con Michele Mistri, docente di ecologia del Dipartimento di scienze chimiche, farmaceutiche e agrarie dell’Università di Ferrara, esperto di biodiversità degli ecosistemi marini.
COP16: aspettative e disattese. Nord e Sud globali contrapposti
“Purtroppo – afferma Mistri – COP16 è stata una delusione in quanto, a parte gli obiettivi non raggiunti, ha fondamentalmente confermato la virulenta contrapposizione globale tra Nord e Sud, che purtroppo riflette la conflittualità politica (e a volte militare) in essere in varie parti del Pianeta.”
Ci sono comunque alcuni risultati positivi evidenziati dalla presidenza colombiana: l’inclusione dell’Organo permanente per i popoli indigeni e le comunità locali nella Convenzione, incluso il riconoscimento dei popoli afrodiscendenti. E il Fondo di Cali, istituito per raccogliere i contributi delle aziende private sull’utilizzo dei dati genetici digitali derivati dalle risorse biologiche.
“Anche la sottoscrizione del Fondo di Cali – avverte Mistri – lascia molti dubbi. In base all’accordo, le aziende farmaceutiche e cosmetiche che traggono profitto dall’uso di informazioni biologiche relative al sequenziamento digitale di piante e animali pagherebbero un risarcimento ai Paesi da cui provengono le informazioni, risarcimento da utilizzare per ripristinare la natura.
Annunciato come un successo, in realtà la partecipazione al fondo è su base volontaria, non essendo stata approvata una quota obbligatoria, quota alla quale il Nord globale si è fermamente opposto (gli Stati Uniti addirittura non partecipano alla COP sulla biodiversità).”
Tutto sospeso sulla finanza
La maggior parte delle incomprensioni riguarda la natura del fondo per le risorse alla tutela della biodiversità verso i Paesi meno sviluppati. Provvisoriamente, con l’accordo del 2022 si era stabilito di creare il Global Biodiversity Framework (GBF), un’organizzazione voluta dalle Nazioni unite che gestisce vari fondi per l’ambiente legati ai negoziati Onu. Il problema dell’insufficienza dei fondi si era già imposto durante la COP28, la Conferenza sul clima dell’anno scorso a Dubai.
“L’assenza di consenso sulle strategie di finanziamento – sottolinea il docente – approfondisce la spaccatura tra Nord e Sud, e non costituisce un buon segnale per COP 29 sul clima, che inizierà tra pochi giorni a Baku in Azerbaijan.”