Disobbedire alle leggi è una pratica della democrazia, secondo Federico Zuolo filosofo politico dell’Università di Genova

Disobbedire alle leggi è una pratica della democrazia, secondo Federico Zuolo filosofo politico dell’Università di Genova

“La disobbedienza compare quotidianamente nella discussione pubblica. C’è chi la evoca fiducioso, e chi la deplora; chi la attende, e chi la teme. In ogni caso, sembra far parte del nostro vissuto politico quotidiano. Eppure, oggi è difficile valutarne la consistenza storica e politica.”

Così Federico Zuolo, docente di filosofia politica dell’Università di Genova, introduce, nell’ambito delle iniziative organizzate dal Laboratorio per la pace dell’Università di Ferrara, il suo libro “Disobbedire. Se, come, quando”, in cui analizza i vari aspetti che caratterizzano la disobbedienza nel tentativo di costruire uno spazio discorsivo condiviso, aperto a prospettive valoriali, politiche e umane di diversa origine. 

A presentare l’evento è stato Antonio Falduto, docente di filosofia morale presso l’Università di Ferrara.

Le responsabilità della politica negli atti di disobbedienza violenta

La politica senza dubbio ha le sue responsabilità quando la disobbedienza si trasforma in atti violenti. “Ci siamo evoluti fino ad oggi pensando che la violenza sia in generale da rifiutare – dice Zuolo – però a volte succede che ci sono delle istanze o delle questioni politiche che non emergono senza un qualcosa di eclatante, quindi alcuni attivisti radicali pensano che certi tipi di violenza possano essere un modo per rompere un muro di cristallo che altrimenti non si romperebbe”. 

La violenza, quindi, diventa uno strumento per creare scalpore e portare questioni importanti all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni politiche. 

“Non credo che al giorno d’oggi ci siano più atti violenti rispetto al passato, anzi, prima c’erano più atti violenti ma la differenza è che adesso, all’interno delle nostre democrazie, gli atti violenti sono fatti in maniera disorganizzata e non rivendicati da qualcuno, quindi c’è un’assenza di mediazione politica in questo senso.” 

Da qui il pensiero di Zuolo sullo stato attuale delle cose e sul ruolo che la politica gioca in questo genere di situazioni.

La disobbedienza degli ambientalisti

Nel libro, la disobbedienza climatica viene analizzata come un fenomeno comunicativo, che molto spesso porta gli attivisti a prendere di mira opere d’arte e monumenti al fine di imbrattarli. 

Sulle modalità di protesta che gli attivisti adoperano per perorare la loro causa Zuolo afferma: “perché prendere di mira le opere d’arte, di per se non serve a niente, non  migliora lo stato dell’ambiente, quindi perché lo fanno? Lo fanno perché pensano che sia l’unico modo per ‘bucare’ la situazione.”

Anche in questo caso, la violenza contro le cose funge da detonatore, qualcosa che sostanzialmente non cambia la situazione materiale, ma che sciocca l’opinione pubblica e fa sì che gli attivisti  vengano discussi e vadano sui giornali. 

“Questo pone un problema – secondo Zuolo – poiché questi atti vandalici sono stati fortemente criticati rubando la luce dei riflettori al problema reale che loro cercavano di comunicare.”

La disobbedienza alla legge deve avere profonda giustificazione 

Senza qualifiche la disobbedienza può essere tanto motivata da questioni di principio, tanto da motivazioni criminali o a volte si dice che una persona è disobbediente soltanto perché vuole comportarsi in maniera diversa, per ragioni esistenziali o artistiche. 

“Non siamo obbligati a vestirci in un certo modo o comportarci in un certo modo, – afferma il filosofo – non lo siamo legalmente, magari ci sentiamo obbligati dalla pressione sociale, dalle convenzioni, ma non andiamo incontro ad una sanzione giuridica.” 

Quindi si può parlare di disobbedienza in tantissimi modi, ma quello che secondo Zuolo è importante discutere, è la disobbedienza rispetto alle leggi giuridiche: “Noi abbiamo l’obbligo di rispettare le leggi, perché se si vive in stati democratici o liberali questi sono legittimi e quindi l’obbligo di rispettare le leggi è fondato.

La deviazione da una norma giuridica legittima è un qualcosa che deve essere giustificato, perché altrimenti non è ammissibile. 

Quello che facciamo nel resto della nostra vita, come esperimento esistenziale, come modo di comportarsi, lo chiamiamo giustamente disobbedienza, ma non è qualcosa che ha bisogno di una motivazione specifica. 

Solo la disobbedienza dalle norme giuridiche ha bisogno di questa giustificazione speciale.” 

Zuolo, quindi, riconduce il termine disobbedienza alla trasgressione delle leggi che abbiamo l’obbligo di rispettare, distinguendo la disobbedienza di principio da quella auto-interessata collusa strutturalmente col crimine.

One thought on “Disobbedire alle leggi è una pratica della democrazia, secondo Federico Zuolo filosofo politico dell’Università di Genova

  1. Credo che il fatto che la disobbedienza prenda sempre più spesso le forme della violenza, accada sostanzialmente per due motivi. Un attivista che volesse protestare pacificamente deve difendersi da due fattori: la polarizzazione da un lato, che ha a che fare con la percezione sui media e presso le persone, e la mediazione politica che segue la logica del consenso elettorale.
    Se politica si tiene lontano dal mediare le forme di violenza per ragioni di convenienza, conosce invece innumerevoli modi per “infiltrarsi” nelle proteste pacifiche causando la degenerazione dei contenuti.
    Vi è poi un terzo fattore che scaturisce dal secondo, la difficoltà di organizzarsi in un movimento liquido e non verticistico essendo difficile trovare leader naturali che non abbiano altri obiettivi.
    Il ricorso alla violenza salta le tre barriere, l’attivista che ricorre alla violenza non si preoccupa affatto della polarizzazione poiché andando contro la norma viene etichettato come violento, la politica se ne allontana velocemente, si allontanano anche gli attivisti che portano gli stessi temi per cui restano in pochi irriducibili e non c’è il problema dell’organizzazione.
    Tenuto conto del tempo che l’impegno civile richiede, tempo sottratto al lavoro e alla famiglia, la protesta è una strada difficile da percorrere e spesso si abbandona l’impegno civile per rintanarsi nella propria famiglia. Di alcuni anni di impegno civile mi sono rimaste solo queste tristi riflessioni. Magari fossi nata da qualche altra parte la conclusione sarebbe diversa, ma “qui e ora” per quanto mi riguarda mi sento di dire che “non ne è valsa la pena”.

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