COP16. Riflettori su perdita di biodiversità e cambiamento climatico. WWF: in soli 50 anni diminuzione del 70% delle popolazioni di animali selvatici Il pericolo dei tipping point, i punti di crisi irreversibile. Ma siamo ancora in tempo per invertire la rotta

COP16. Riflettori su perdita di biodiversità e cambiamento climatico. WWF: in soli 50 anni diminuzione del 70% delle popolazioni di animali selvatici

Il pericolo dei tipping point, i punti di crisi irreversibile. Ma siamo ancora in tempo per invertire la rotta

Ha preso il via il 21 ottobre il sedicesimo incontro della Conferenza delle Nazioni unite  sulla biodiversità (COP16), durante il quale i Governi avranno il compito di rivedere lo stato di attuazione del quadro globale in seguito all’adozione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), riflettendo sull’importanza di agire per il clima e la protezione della vita. 

In questa occasione il WWF ha pubblicato il Living Planet Report (LPR) 2024, che fa il punto sulla situazione: negli ultimi  ultimi cinquanta anni (1970-2020) si è registrato un drastico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio.

Il report avvisa che, mentre il Pianeta si sta avvicinando sempre più a tipping point negativi, i punti i punti di crisi irreversibile dei sistemi naturali investiti dal cambiamento climatico, che costituiscono gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà indispensabile un enorme sforzo collettivo per affrontare la duplice morsa della crisi climatica e biologica. 

Il Living Planet Index globale (LPI), l’indice fornito per l’analisi al WWF dalla  Zoological Society of London (ZSL), si basa sui trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020.

Global Living Planet Index. La linea bianca rappresenta il valore dell’indice e le aree colorate rappresentano l’incertezza statistica che circonda il valore (© wwf.it)

Il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). 

Il Living Planet Index globale per ambiti ecosistemici dal 1970 al 2020 basato su 16.909 popolazioni monitorate di 1.472 specie d’acqua dolce, 2.519 specie terrestri e 1.816 specie marine (© wwf.it)

Il WWF avverte che la perdita e il degrado degli habitat causati principalmente dai nostri sistemi alimentari rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il Mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie, e che il cambiamento climatico rappresenta un ulteriore pericolo per la biodiversità in particolare in America Latina e nei Caraibi, in cui si è registrato un impressionante calo medio del 95%. 

I tipping point potrebbero spingere l’ecosistema verso il punto di non ritorno

Nel report emerge come la diminuzione delle popolazioni di specie selvatiche sia un indicatore di allarme precoce del crescente rischio di estinzione e della potenziale perdita di ecosistemi sani. 

Nel momento in cui gli ecosistemi vengono danneggiati, cessano di fornire i benefici da cui dipende il Pianeta (aria pulita, acqua e terreni sani per il cibo), con il conseguente rischio di aumentare la loro vulnerabilità e di avvicinarsi sempre più a tipping point, che potrebbero spingere l’ecosistema oltre una soglia critica, innescando cambiamenti potenzialmente irreversibili. 

Tipping point. Un sistema rimane nel suo stato attuale (A, cerchio giallo) anche se si verificano continuamente cambiamenti su piccola scala, finché riesce ad assorbire le pressioni (o fattori di cambiamento). Tuttavia, la pressione (B) può spingere un sistema al limite o punto critico di non ritorno anche detto tipping point (C, cerchio rosa) in modo graduale o attraverso uno shock. Quando un sistema raggiunge un tipping point , il cambiamento accelera (D) fino a raggiungere un nuovo stato (E, cerchio grigio) (© wwf.it)

WWF allerta che i tipping point globali, quali il deperimento della foresta amazzonica e lo sbiancamento di  massa delle barriere coralline, potrebbero creare onde d’urto con effetti ben oltre l’area interessata. 

L’effetto domino in Amazzonia: in una foresta sana e intatta, le nuvole si formano sull’oceano e viaggiano verso la foresta pluviale, rilasciando acqua e ricaricandosi di umidità dalla foresta che traspira. Questo processo continua quando le nuvole si dirigono verso sud, rilasciando altra pioggia. (b) Un minor numero di alberi determina una minore traspirazione da parte della foresta pluviale, una minore ricarica delle nuvole e di conseguenza minori precipitazioni a ovest e a sud. La diminuzione delle piogge determina il degrado della foresta a ovest e a sud, contribuendo ulteriormente al cambiamento dell’ecosistema (© wwf.it)

Gestire i tipping point

La gestione dei tipping point – secondo il report – deve implicare l’identificazione e l’adozione di azioni idonee per affrontare le transizioni cruciali o i cambiamenti improvvisi determinati da questi valori soglia. 

Tra queste manovre, quelle per preservare le funzioni degli ecosistemi, ad esempio riducendo i fattori di cambiamento (ad esempio il cambiamento climatico, il cambiamento dell’uso del suolo, l’inquinamento e lo sfruttamento), migliorando la resilienza dell’ecosistema attraverso sforzi di ripristino e conservazione, e strategie di gestione adattativa.

I metodi per identificare i tipping point a livello locale e regionale devono prevedere il monitoraggio di indicatori ecologici come il LPI, assieme a studi di modellizzazione per capire le relazioni tra fattori di cambiamento e risposte ecosistemiche. 

La gestione dei punti critici di non ritorno è stata utilizzata in pochi casi: esempi sono quella relativa alle popolazioni ittiche per scongiurare la crescita incontrollata di alghe sulle barriere coralline, e quella degli ecosistemi di acqua dolce a fronte del cambiamento climatico e la prevenzione della desertificazione negli ecosistemi mediterranei, limitando la conversione degli habitat

Grazie agli sforzi di conservazione, alcune popolazioni animali hanno raggiunto la  stabilizzazione o registrato un aumento, come i casi della sottopopolazione di gorilla di montagna, nel massiccio del Virunga in Africa orientale, che è cresciuta tra il 2010 e il 2026 di circa il 3%, e del bisonte europeo, che ha registrato un ritorno delle popolazioni in Europa centrale.

Il sistema Terra è in pericolo. La trasformazione come parola d’ordine

Dichiara Alessandra Prampolini, direttrice generale del WWF Italia: “Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui. Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti. 

Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul Pianeta. La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura, trasformare il sistema energetico, il sistema alimentare, uno dei motori principali della perdita di biodiversità globale, il sistema finanziario, indirizzandolo verso investimenti più equi e inclusivi. La Conferenza sulla biodiversità e quella sul clima a novembre sono occasioni preziose: servono azioni coraggiose e leadership forti da parte dei governi. Servono piani nazionali più ambiziosi per il clima e la natura e chiediamo al governo italiano di riconoscere la centralità di questa sfida che riguarda il futuro di tutti”.

“Siamo ancora in tempo”. Le azioni intraprese nei prossimi cinque anni saranno cruciali per il futuro del Pianeta secondo WWF

Dal WWF parte l’esortazione ai governi per sbloccare maggiori finanziamenti pubblici e privati, al fine di consentire azioni su larga scala e allineare meglio  politiche e azioni su clima, natura e sviluppo sostenibile. 

Secondo quanto afferma Kirsten Schuijt, direttrice generale di WWF Internazionale: “Nonostante la situazione sia disperata, non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno. Disponiamo di accordi e soluzioni globali per portare entro il 2030 la natura sul percorso di ripresa, ma finora ci sono stati pochi progressi sia in termini di risultati che di urgenza. 

Le decisioni e le azioni intraprese nei prossimi cinque anni saranno cruciali per il futuro della vita sulla Terra. Abbiamo nelle nostre mani il potere – e l’opportunità – di cambiare la rotta. Se agiamo ora, possiamo rigenerare il nostro pianeta vivente”.

Ascoltare la scienza e agire ora, dunque, per evitare il collasso.

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