Si è aperta il 21 ottobre e proseguirà fino al 1° novembre a Cali (Colombia) la 16ma Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (COP16), con una partecipazione stimata di oltre 12.000 persone, fra ministri, scienziati e operatori, inclusi almeno dieci capi di Stato.
Con i riflettori puntati su tutti i livelli della biodiversità, la discussione verte sugli accordi per tutelare la natura e bloccare la distruzione degli ecosistemi, al fine di concretizzare in impegni, piani e strategie gli obiettivi 2030 approvati due anni fa dalla COP15, con il reperimento di finanziamenti adeguati.
Anche il WWF, poco prima dell’avvio di COP16, ha lanciato un grido di allarme attraverso il Living Planet Report (LPR) 2024 sul drastico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici, oggetto di monitoraggio negli ultimi cinquanta anni.
Ne abbiamo parlato con Michele Mistri, docente di ecologia del Dipartimento di scienze chimiche, farmaceutiche e agrarie dell’Università di Ferrara, esperto di biodiversità degli ecosistemi marini.
Partendo dall’ultimo allarme lanciato dal WWF in vista di COP16, come considera l’attendibilità della situazione emergente dal report WWF?
“La situazione descritta dal WWF è a mio parere totalmente attendibile. Stiamo vivendo una doppia crisi: quella climatica e quella relativa alla perdita di biodiversità. Due lati della stessa medaglia, che non possiamo trattare separatamente se si desidera contrastarle con una minima speranza di successo.
Le necessità di una popolazione umana, la cui crescita è oramai fuori controllo, determina l’estinzione di specie animali e vegetali (per sovrasfruttamento, distruzione dell’habitat, inquinamento, dislocamento di specie aliene) e il cambiamento climatico (impattando le specie, loro fenologia e ambiente naturale) contribuisce in maniera significativa alle estinzioni, come denunciato recentemente dall’IPCC nel Sesto Rapporto di Valutazione .”
Qual è il focus di COP16?
“Questa è la prima COP dalla sottoscrizione da parte di 196 Stati del Quadro globale per la biodiversità (Global Biodiversity Framework; COP15, 2022), un percorso il cui obiettivo è arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2050.
Alla COP16 verrà esaminato lo stato di attuazione del Quadro, i cui firmatari dovranno, o meglio dovrebbero, dimostrare l’allineamento delle loro strategie e piani d’azione nazionali per la difesa della biodiversità con il Quadro medesimo.
Ma uno dei temi più importanti di COP16 sarà dove e da chi ottenere le ingenti risorse finanziarie necessarie per raggiungere gli obiettivi, ambiziosi e a breve scadenza, stabiliti nel Quadro. Ricordiamoci che a COP15 i Paesi firmatari si erano impegnati a garantire almeno 30 miliardi di dollari all’anno per la biodiversità entro il 2030.”
Si aspetta risultati significativi da COP16?
“Assolutamente sì, anche se con dei distinguo tra i vari Paesi. Fornisco un esempio esplicativo: in piena sintonia col Quadro globale per la biodiversità, il Parlamento europeo ha approvato nel giugno 2024 la Nature Restoration Law, con il voto di venti Paesi a favore, sei contrari, tra cui Italia e Ungheria, e un astenuto e , una legge finalizzata al ripristino degli ecosistemi degradati, a dimostrazione del fatto che l’Europa può assumere un ruolo di leadership nell’affrontare le crisi del clima e della biodiversità.
Tra gli altri impegni, a COP16 si tenterà di coniugare il problema della riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo con l’azione climatica, consentendo loro di intraprendere misure incisive nella lotta contro il cambiamento climatico.
Nell’intervento di apertura a Cali è stato evidenziato che il ripristino degli ecosistemi potrebbe contribuire fino al 40% alla stabilizzazione del clima e del ciclo del carbonio, evidenziando l’importanza di un approccio integrato tra lotta al cambiamento climatico e protezione della biodiversità.”