“Apartheid, genocidio, sono brutte parole, sono parole ‘scabrose’. Usare la parola genocidio non è scabroso: sono crimini. È ‘scabroso’ che ciò avvenga. E ‘imparzialità ormai è diventata una parola, pomposa per giustificare l’indifferenza. Ma non è quello che faccio io. Da imparziale io guardo ai fatti, tutti, ed è per questo che oggi non esprimo semplici parole di condanna nei confronti degli israeliani.” È il concetto stesso di genocidio quello che Francesca Albanese, giurista e relatrice speciale delle Nazioni unite sui territori palestinesi occupati ha affrontato per descrivere la situazione di Gaza durante il festival di Internazionale che si è svolto recentemente a Ferrara.
“Gli israeliani – ha affermato nel corso del suo intervento – fanno parte di una società sicuramente ferita, sicuramente traumatizzata, un trauma che si è costruito nel DNA di questo popolo perseguitato per secoli. Questo non lo possiamo negare o toglierglielo. Però è anche una società estremamente indottrinata, e questa non è un’opinione personale: c’è fior fiore di letteratura di studiosi israeliani che condannano la ‘nazificazione’ dei palestinesi all’interno dei testi di scuola. E questa disumanizzazione è fondamentale per capire non solo quello che lo Stato di Israele fa ai palestinesi, ma quello che non facciamo noi. Perché c’è un razzismo insidioso e mal compreso, che si vede anche nel modo in cui trattiamo i migranti rifugiati, i popoli del Sud del Mondo, tutti massificati.
Sono morti a Gaza 17mila bambini – sottolinea Albanese-. Come facciamo a dire che questa è una guerra legittima? Oggi, dopo dodici mesi, bisognerebbe fermarsi; le cifre continuano a salire perché non c’è modo di calcolare tutti i morti. Gaza ormai è un cimitero in cui si confondono macerie e resti umani. È la fine, veramente la fine dell’umanità. Quello che mi preoccupa è appunto come sanare le ferite di questa di questa umanità.”
L’accusa di genocidio nei confronti dello Stato di Israele per la guerra di Gaza è un’accusa molto difficile da provare, come emerge anche dal dossier presentato lo scorso dicembre dal Sudafrica.
Su questo punto Albanese ha dichiarato: “Il genocidio è un crimine insidioso, insidioso da identificare. Perché, l’elemento cruciale, l’aspetto dirimente è l’intento.
Il crimine di genocidio si definisaca a partire da una serie di atti criminali – ma ne basta anche uno solo -: atti di uccisione o inflizione di sofferenze psichiche o fisiche o la creazione di condizioni che possano portare alla distruzione di membri di un gruppo.
Quando dietro questi atti c’è e si può dimostrare l’intento di distruggere un gruppo che sia nazionale, etnico, religioso o razziale, allora c’è il reato di genocidio. È nell’interezza della condotta che Israele tiene nei confronti di tutti i palestinesi, in tutta la terra che rimane della Palestina storica che bisogna vedere l’intento.
“L’intento – afferma la giurista -, ce l’hanno detto: è il grande progetto Grande Israele. Ovvero la creazione di uno Stato dove, come dice la legge nazionale del 2018, nella terra di Israele che quindi va dal fiume al mare, hanno diritto all’autodeterminazione, quindi il diritto riconosciuto di esistere come popolo soltanto gli ebrei israeliani.
E la priorità dello Stato di Israele dal 2018 manifesta, esplicitata nero su bianco, è quella di costituire colonie israeliane in tutto il territorio di cui sto parlando. Questa è la base per capire l’intento.
Poi, soprattutto, c’è il principio della proprietà della proporzionalità e mi chiedo perché distruggere un intero ospedale? Su trentanove ospedali di Gaza, trentasei non sono più funzionanti, alcuni sono stati completamente rasi al suolo. Perché? Perché si doveva incapacitare la possibilità della popolazione di resistere alla distruzione. Perché Israele ha creato le condizioni che portano alla distruzione di un popolo.
A Gaza c’è già stato il genocidio e il rischio adesso è che questo questi atti di genocidio si estendano ad altre parti del territorio occupato.”
In conclusione, Francesca Albanese ha evidenziato come il risultato di oltre dodici mesi di guerra e di un conflitto che rischia giorno dopo giorno di allargarsi sia il fallimento della politica perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha impiegato nove mesi prima di passare una risoluzione che imponesse il cessate il fuoco e anche dopo che l’ha fatto non è servito niente, perché appunto manca la volontà politica.