Le piccole e medie imprese italiane (Pmi) rappresentano il motore della crescita del Paese, costituendo la struttura del tessuto produttivo italiano. Per questa ragione a loro è dato il compito di trainare la crescita italiana in un sentiero di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Come suggeriscono i recenti dati ISTAT già nel 2022 circa il 65% del tessuto manifatturiero italiano aveva intrapreso delle azioni specifiche volte ad intraprendere un percorso di sostenibilità duraturo nel tempo in ogni suo ambito.
Ricerca, digitalizzazione e formazione al centro dell’impegno delle Pmi. Ma la dimensione aziendale è un ostacolo
In particolare, si sottolinea il loro impegno in investimenti volti a migliorare e ad accrescere l’attività di ricerca e sviluppo, e quelli che mirano ampliare le conoscenze dei dipendenti attraverso percorsi di formazione aziendale.
Questa traiettoria di sviluppo sostenibile sembrerebbe essere una delle priorità delle imprese manufatturiere dal momento che ha visto pianificare e crescere il loro impegno in tutto il triennio 2023-2025. Per questo periodo, infatti, si segnala che è in aumento la quota di imprese che intendono intraprendere azioni di sostenibilità economica (55,6%) soprattutto attraverso un intenso percorso di digitalizzazione iniziato già prima della pandemia Covid-19, e proseguito in seguito grazie all’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Guardando all’aspetto geografico si sottolinea quanto l’area di Nord-ovest si presenti come quella maggiormente esposta in percorsi di sostenibilità con una percentuale di imprese che hanno intrapreso azioni in questo senso pari al 69,7% nel 2022. Dal quadro presentato sembra chiaro che le imprese italiane del settore manufatturiero siano consapevoli dell’importanza di un cambio di paradigma economico – da lineare a circolare – e abbiano iniziato ad attuare misure mirate a questo scopo.
Sfortunatamente però questo modello di produzione sembrerebbe apportare benefici (soprattutto in termini di riduzione dei costi) in un orizzonte temporale medio lungo, con la necessità di notevoli investimenti che potrebbe scoraggiare soprattutto le micro e piccole imprese. Nonostante vi sia stata una chiara tendenza alla crescita delle misure di economia circolare adottate sia a livello europeo e nazionale negli ultimi anni, si rileva infatti che le migliori performance sia da attribuire alle grandi e medie imprese che si confermano essere le più attive in questo ambito.
Economia circolare motore di sviluppo. Siamo primi in Europa
L’Unione Europea ha più volte sottolineato quanto l’Economia circolare sia essenziale per un percorso di crescita economica stabile e duratura nel tempo. I risvolti positivi della transizione circolare sono da ritrovarsi anche in ambito occupazionale. Come riporta il Rapporto sull’Economia circolare 2024 prodotto da CEN-ENEA, nella risoluzione del Parlamento europeo del 2021 sul Piano d’azione per l’economia circolare si sottolinea che quest’ultima ha la potenzialità di aumentare il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Unione europea (Ue) di un ulteriore 0,5 % e di creare oltre 700mila nuovi posti di lavoro entro il 2030, migliorando nel contempo la qualità dei posti di lavoro e sottolineando che tra il 2012 e il 2018 il numero di posti di lavoro collegati all’economia circolare nell’Ue è cresciuto del 5%.
Esaminando il quadro generale italiano, stando ai dati del Rapporto sopra menzionato, il nostro Paese si posiziona al primo posto nella classifica delle migliori performance circolari. In particolare, l’ottima prestazione dell’Italia, che stacca di sette punti la seconda classificata (Germania), è dovuta al buon risultato raggiunto nella dimensione che raccoglie gli indicatori che fanno riferimento alla gestione dei rifiuti per cui l’Italia conferma il suo impegno attivo sul riciclaggio con una percentuale di riciclo pari al 72%.
Dagli ultimi dati, quindi, si evince che l’impegno italiano in ambito di sostenibilità – e in particolare in ambito circolare- appare solido e destinato a perdurare nel tempo ma vi sono alcuni aspetti da dover tenere in considerazione e su cui lavorare.
Ostacoli di natura finanziaria, soprattutto per le piccole imprese
Si rilevano principalmente problemi strutturali legati alla bassa capitalizzazione e alle difficoltà di accesso al credito, che rendono – soprattutto per le microimprese – molto complesso intraprendere percorsi di crescita attraverso la pianificazione di investimenti mirati alla sostenibilità.
Nonostante queste ultime appaiano consapevoli della necessità di un loro ruolo attivo nella transizione ecologica, non solo per ridurre gli impatti ambientali ma anche per cogliere le opportunità di carattere economico connesse ad una maggiore sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi, non riescono a migliorare le loro performance in maniera significativa.
A tal fine sarebbe, quindi, necessario l’attuazione di politiche mirate in questa direzione. Come sottolineato dal Rapporto, la richiesta riguarda non solo un piano industriale efficace e capace di stimolare il tessuto produttivo italiano nel suo complesso, ma anche di un quadro normativo di più facile comprensione e applicazione, che agevoli soprattutto le micro e piccole imprese nel loro percorso di crescita sostenibile.