La “cittadinanza” ai cittadini stranieri del nostro Paese spiegata bene. Un percorso complesso, oneroso e pieno di difficoltà (1) La proposta dello Ius scholae risale al 2018 ma non vede la luce. Le associazioni che rappresentano le nuove generazioni di italiani hanno lanciato un referendum

La “cittadinanza” ai cittadini stranieri del nostro Paese spiegata bene. Un percorso complesso, oneroso e pieno di difficoltà (1)

La proposta dello Ius scholae risale al 2018 ma non vede la luce. Le associazioni che rappresentano le nuove generazioni di italiani hanno lanciato un referendum

Nelle ultime settimane si è riacceso il dibattito sulla cittadinanza e sulla necessità della revisione di una legge che prenda in considerazione le mutazioni sociali avvenute in Italia negli ultimi trenta anni.

La fotografia dell’Istat sui cittadini stranieri nel nostro Paese certifica che nel 2023 le nuove cittadinanze italiane sono state 199.995 di cui un terzo riguardano minori e sono ottenute per trasmissione da un genitore.

Il termine “cittadinanza” indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è uno status giuridico che riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. 

La cittadinanza italiana si ottiene soprattutto iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. 

Il principio dello ius soli prevede che la cittadinanza sia acquisita per il fatto di essere nati sul territorio dello stato e la cittadinanza, quindi, è legata al luogo di nascita. In Italia lo ius soli viene concesso per i figli di genitori ignoti, per i figli di genitori apolidi (senza cittadinanza) e per i figli di genitori stranieri che, secondo le leggi dello Stato di origine, non possono trasmettere loro la cittadinanza.

La legge n. 91/1992 attualmente in vigore riconosce, inoltre, il possesso della cittadinanza agli stranieri discendenti da avo italiano emigrato in Paesi ove vige lo ius soli e la procedura per il riconoscimento prevede l’accertamento della discendenza da un avo italiano senza limiti di generazioni. 

Per i cittadini extra UE il percorso di naturalizzazione è complesso, molto oneroso e spesso pieno di difficoltà 

Secondo la legge del 1992 anche gli stranieri possono acquisire la cittadinanza italiana attraverso diverse procedure. Le principali modalità di acquisizione sono per residenza, per matrimonio, per trasmissione dai genitori, per elezione di cittadinanza.

L’immigrato adulto può acquisire la cittadinanza se risiede legalmente e continuativamente da almeno dieci anni nel territorio italiano mentre il termine è di cinque anni per i rifugiati e gli apolidi e di quattro anni per i cittadini comunitari. 

Per i minori arrivati in Italia, la cittadinanza può essere ottenuta attraverso il principio della naturalizzazione ovvero al raggiungimento della maggiore età, uno straniero può richiedere la cittadinanza se è residente da almeno dieci anni in maniera legale e continuativa. Il percorso di naturalizzazione è però complesso, molto oneroso e spesso pieno di difficoltà e lungaggini per le famiglie come afferma Fioralba Duma, segretaria e tesoriera del Movimento italiani senza cittadinanza.

Fioralba Duma, segretaria e tesoriera del Movimento italiani senza cittadinanza

“Sono venuta in Italia a dodici anni dall’Albania- ricorda Duma-, non per scelta consapevole ma perché i miei genitori hanno scelto di emigrare. Oggi ho quasi trentacinque anni e sono senza cittadinanza italiana.  Se  facessi richiesta ora, tra due o tre anni potrei ottenerla con molto ritardo rispetto al requisito minimo che è di dieci anni per i cittadini extra UE.  Se fossi nata in Italia avrei potuto fare richiesta a 18 anni ma oltre alla residenza continuativa per il percorso di naturalizzazione vengono richiesti altri requisiti tra cui il reddito. Poiché io sono stata una studentessa universitaria con lavori occasionali e precari non ho potuto ancora fare richiesta.

L’Italia è sempre stato un paese di emigranti ma il boom dell’immigrazione risale agli anni Novanta del secolo scorso e la comunità che ha scoperchiato questo vaso di pandora è quella albanese -continua Duma-In quegli anni abbiamo un po’ spaventato l’opinione pubblica e i parlamentari sono corsi ai ripari con la riforma della legge della cittadinanza. Hanno deciso allora di aiutare chi ha sangue italiano nel Mondo a tornare in Italia, regolando e limitando la cittadinanza ai cittadini non comunitari. In realtà, all’epoca esisteva una legge della cittadinanza che non era una legge perfetta perché era fortemente maschilista ma almeno aveva un requisito di residenza per naturalizzazione di soli cinque anni.

La mia è una delle tantissime storie ma ce ne sono tante altre di famiglie senza reti sociali, con disabilità o l’impossibilità di lavorare o di avere i requisiti sufficienti e questo inevitabilmente ci rende cittadini di serie B o C.”

Secondo il Movimento Italiani senza cittadinanza, sono circa 1 milione gli italiani senza cittadinanza che potrebbero beneficiare dello ius soli “puro” e tra questi sono circa 53 mila i bambini nati da genitori stranieri nel 2022 mentre gli alunni con passaporto straniero nelle scuole italiane rappresentano il 10%. A questi studenti senza cittadinanza, peraltro, è precluso poter partecipare a programmi di studio come l’Erasmus o accedere ai concorsi pubblici che sono riservati a chi è cittadino italiano.

La proposta dello Ius scholae risale al 2018 ma continua a non vedere la luce

Nelle ultime settimane si è molto parlato di ius scholae che è un testo di riforma della legge sulla cittadinanza che risale al marzo 2018 e che lega l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Questa riforma è stata bloccata alla Camera a giugno 2022 in seguito al cambio di Governo. Prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana ai minorenni stranieri nati in Italia o arrivati prima del compimento dei dodici anni che abbiano risieduto legalmente e continuativamente in Italia, e che abbiano frequentato regolarmente almeno cinque anni di studio in uno o più cicli scolastici. Inoltre, se i cinque anni considerati includono la frequenza della scuola primaria, allora viene richiesto anche il superamento del ciclo di studi con esito positivo come elemento fondamentale per il riconoscimento della cittadinanza. 

Come sappiamo, la discussione su questa riforma rimane ancora aperta anche sui termini dei cinque o dieci anni di studi e quella che è in vigore è una legge che in questi anni nessun governo ha voluto modificare.

Il referendum proposto da associazioni, società civile e partiti politici: restano le garanzie ma si accorciano i tempi 

Come descrive Fioralba Duma, il referendum proposto da associazioni e società civile “È un’iniziativa che mira ad abrogare una delle norme della legge del 1992 riducendo a cinque anni il termine di residenza ininterrotta per diventare cittadini italiani ed è il frutto del lavoro condiviso con tante organizzazioni e associazioni. 

Il quesito referendario mira al ritorno al termine di cinque anni di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni come è previsto in molti altri Stati della UE. 

La legislazione italiana in materia di cittadinanza lo prevedeva dal 1865 al 1992, quando la legge n. 91/1992 ha introdotto un’irrazionale penalizzazione per i cittadini di qualsiasi Stato extra UE, per i quali si passò dall’esigere almeno cinque anni all’esigere almeno dieci anni, inserendo una facilitazione a quattro anni per i cittadini degli Stati UE, che ovviamente presentano un numero inferiori di domande, visto che la cittadinanza europea si aggiunge alle cittadinanze degli Stati UE. 

Questo aiuterebbe anche i minori ad accedere alla cittadinanza italiana in maniera più rapida e meno discriminatoria e aiuterebbe nella costruzione di un progetto di futuro per le persone che vogliono rimanere in Italia”.

Anche con il referendum i requisiti rimangono gli stessi: conoscenza della lingua italiana, reddito adeguato, idoneità professionale, rispetto degli obblighi tributari e assenza di minacce alla sicurezza. Il referendum riduce solo il tempo di residenza da dieci a cinque anni. (1.Continua)

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