“Il coraggio di avere paura”. Sul filo di rasoio dell’escalation della guerra fra potenze nucleari in corso in Europa Un solo ordigno nucleare “tattico” provocherebbe in meno di un'ora decine di milioni di morti

“Il coraggio di avere paura”. Sul filo di rasoio dell’escalation della guerra fra potenze nucleari in corso in Europa

Un solo ordigno nucleare “tattico” provocherebbe in meno di un'ora decine di milioni di morti

Nel 2019 un gruppo di ricercatori dell’università di Princeton, guidati dal professor Alex Glaser, svolse una simulazione sugli effetti di una guerra nucleare tra Russia e Nato. Il modello era basato sulla reale dotazione nucleare delle potenze in campo e sui rispettivi obiettivi strategici ed aveva come ipotesi di avvio un primo colpo “tattico” nucleare inviato dall’esclave russa di Kaliningrad – l’antica Königsberg, città di Immanuel Kant autore, tra l’altro, del progetto Per la pace perpetua… – con l’obiettivo di fermare l’avanzata della Nato verso i confini russi, e la conseguente risposta nucleare USA-Nato. 

Milioni di morti in pochi minuti

La previsione realistica fu che in soli 45 minuti sarebbero stati causati 85,3 milioni di morti, senza contare le vittime legate agli effetti successivi delle radiazioni nucleari. Una immane e repentina ecatombe dell’umanità e della civiltà. 

Quella distruzione di mondi della Bhagavadgītā, evocata da Robert Oppheneimer (“sono diventato morte, distruttore di mondi”), il fisico a capo del progetto Manhattan, quando assistette all’effetto dirompente dell’esplosione della bomba Trinity nel deserto di Los Alamos, test definitivo con il quale il presidente degli USA Harry Truman darà il via allo sganciamento delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto del 1945. Come abilmente narrato nel pluripremiato film di Cristopher Nolan.

Mentre chiudeva la Seconda guerra mondiale, si avviava la corsa agli armamenti della cosiddetta Guerra fredda e iniziava per l’umanità l’era della possibilità dell’autodistruzione.

Non passarono neanche dieci mesi da quel cambio di paradigma nella guerra moderna, avvenuto a spese degli inermi abitanti delle due città giapponesi rase al suolo, quando in Italia cominciarono i lavori dell’Assemblea Costituente. 

Nel dopoguerra si cerca di evitare i conflitti armati

Essa aveva perfettamente chiaro che la guerra non era ormai più utilizzabile, non solo “come strumento di offesa della libertà degli altri popoli” ma neanche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. 

Dopo gli oltre sessanta milioni di morti della della guerra appena conclusa, le armi nucleari avrebbero dovuto rendere definitivamente obsoleta la guerra, fenomeno da archiviare tra i ferrivecchi della storia. 

L’articolo 11, posto tra i Principi Fondamentali della Costituzione, dice esplicitamente proprio questo ed obbliga, implicitamente, a ricercare e costruire le alternative alla violenza bellica (“pace con mezzi pacifici”, recita la Carta delle Nazioni Unite), compatibili con la continuazione della specie umana sulla terra. 

E’ l’etica della responsabilità che innerva la Costituzione e attraversa la parte migliore del pensiero politico del Novecento.

Il “coraggio di avere paura” ora che siamo sul filo del rasoio

Oggi la situazione è estremamente peggiorata: a quasi un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, nel gennaio 2023, la nuova posizione delle lancette del Doomsday clock, l’orologio dell’Apocalisse aveva toccato i 90 secondi, il punto più pericoloso mai raggiunto per la sicurezza dell’umanità, confermato ancora quest’anno. Ed Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, lo scorso 8 giugno ha ribadito che L’umanità è sul filo del rasoio: il rischio che venga usata un’arma nucleare ha raggiunto livelli mai visti dai tempi della Guerra Fredda.

Eppure, salvo alcuni Grandi vecchi come Papa Francesco ed Edgar Morin, decisori, intellettuali e media sembrano, in grande maggioranza, non avere la percezione del pericolo che stiamo correndo, in questo varco della storia, con la continua escalation della guerra tra potenze nucleari in corso in Europa. Dimenticando colpevolmente la lezione di filosofi come Günther Anders che avevano messo al centro della propria riflessione esattamente la questione della situazione dell’umanità nell’epoca della possibilità dell’autodistruzione atomica. 

Secondo Anders, nella nostra epoca, qualunque azione politica, in particolare all’interno di una dimensione di conflitto internazionale, non può non tenere conto della “situazione atomica”.

La tesi apparentemente plausibile che nell’attuale situazione politica ci sarebbero (fra l’altro) anche armi atomiche, è un inganno – afferma in Tesi sull’età atomica, in Appendice a Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki- . Poiché la situazione attuale è determinata esclusivamente dall’esistenza di armi atomiche, è vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.

L’agire politico, dunque, per essere dotato di responsabilità e realismo deve inevitabilmente tenere conto di questo contesto all’interno del quale bisogna ritrovare “il coraggio di aver paura”. La paura, infatti, è segno di consapevolezza e ha perciò un valore euristico, cioè di strumento di conoscenza della realtà, oltre che di sprone alla mobilitazione.

Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima – scrive ancora Anders – è cominciata una nuova era: l’era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un’altra Hiroshima. Se questa possibilità è ormai irreversibile sul piano dell’acquisizione delle competenze tecnologiche – ed appare sempre più vicina – è tuttavia modificabile attraverso l’acquisizione dei saperi etici che consentano di imboccare l’unica uscita di sicurezza esistente: la cancellazione delle armi nucleari dalla faccia della terra, con la loro definitiva proibizione, e il superamento della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. 

Si tratta di colmare ciò che Anders chiama lo “scarto prometeico”, ossia la frattura che passa tra l’infinita capacità produttiva di distruzione e la nostra capacità immaginativa delle conseguenze.

In un pianeta nel quale, mentre la crisi sistemica globale moltiplica i conflitti, i governi moltiplicano le armi e le guerre, è necessario declinare il piano etico del dover essere sul piano politico della possibilità di essere ancora, dando un’ulteriore chance all’umanità attraverso precise scelte di disarmo. 

Saprà l’Europa, questa volta, impedire il dispiegamento della soluzione finale dell’umanità, con la resistenza attiva e nonviolenta contro la Terza guerra mondiale, che, se sarà, sarà nucleare? A ciascuno il compito urgente di fare la sua parte.

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