Montagne (sempre più) verdi? Lo sguardo attento di una rifugista e gli studi scientifici sulla scalata verso l’alto delle piante

Montagne (sempre più) verdi? Lo sguardo attento di una rifugista e gli studi scientifici sulla scalata verso l’alto delle piante

Da una chiacchierata in rifugio con chi è capace di osservare, porsi delle domande e fare delle ipotesi, agli studi scientifici internazionali e locali che confermano un fenomeno che potrebbe cambiare il volto delle nostre cime: la risalita delle specie vegetali verso le alte quote.

Gli occhi azzurri di Elisa scrutano oltre la finestra del rifugio. “Io ho una mia teoria”, dice, un accenno di cautela nella voce, proprio di chi non ha studiato per ciò che si appresta a dire, ma è capace di osservare e provare a ricavare delle ipotesi. Come questa che mi confida, mentre faccio la mia seconda colazione del giorno dopo i mille metri di dislivello saliti all’alba: “Secondo me qui tra vent’anni sarà pieno di larici, già adesso ci sono parecchie piantine, nascoste tra l’erba”. Già, l’erba; anch’essa secondo Elisa è aumentata. Attorno al rifugio, afferma, ci sono chiazze erbose dove solo pochi anni fa c’erano roccia e ghiaia.

Dal 2019 Elisa gestisce, con l’aiuto del compagno Piero, il Rifugio Velo della Madonna, sulle Pale di San Martino, a quota 2.333 metri. Una gestione relativamente recente, la sua, eppure in questi cinque anni ha visto cambiare le cose attorno al suo “piccolo” universo estivo, che sembra così immutabile e statico agli occhi degli escursionisti. 

(©pixabay)

Un universo fatto di guglie dolomitiche, ciuffi d’erba che si arrampicano sui ghiaioni, fiori incredibili che si fanno largo tra le rocce calcaree: uno scenario che si ripete uguale ogni estate e pare destinato alla staticità eterna. Tuttavia, insieme ad eventi metereologici sempre più estremi che cambiano la fisionomia dei sentieri, costringono ad una continua sorveglianza e frequenti manutenzioni, Elisa mi racconta di questo “verde che avanza”, di una maggiore quantità di fiori, dei clienti che faticano a comprendere la sua cauta preoccupazione, perché l’equazione più semplice da capire è che più verde uguale più bello. 

La preoccupazione di Elisa è l’indizio di uno sguardo che esce da quel microcosmo che circonda il rifugio, dove si, più erba e più fiori danno senz’altro un tocco in più al quadro, per guardare invece alla scena globale, in cui ciò che porta più verde in alto al tempo stesso sta mettendo in pericolo i delicati equilibri naturali e spesso anche le nostre vite.

Elisa ha dalla sua parte solo il suo sguardo attento e di certo non ha alcun dato oggettivo, quindi ciò che vede potrebbe anche essere il risultato di una semplice variabilità inter-annuale. Tuttavia, il suo sguardo riporta, limpido e cristallino, una realtà ben documentata a livello scientifico nel corso dell’ultimo ventennio: la “scalata” delle piante verso quote più alte.

Per poter stabilire in maniera rigorosa e scientificamente valida che le piante si stanno spostando verso l’alto e poterne studiare la possibile relazione con il cambiamento climatico, serve una serie temporale di dati sufficientemente lunga, sia per quanto riguarda la distribuzione delle specie che i dati climatici relativi alla temperatura. Nel 2018 la prestigiosa rivista Nature pubblicava uno studio guidato da oltre cinquanta ricercatori provenienti da undici Paesi europei, basato su una serie di dati raccolti negli ultimi 145 anni durante censimenti ripetuti delle comunità di piante su 302 cime appartenenti a nove regioni montuose d’Europa, Alpi comprese. 

Lo studio dimostrava come nell’87% delle cime europee la ricchezza di specie fosse aumentata sensibilmente in questo intervallo temporale e che addirittura avesse subito un’accelerazione negli ultimi anni: se nella decade 1957-1966 l’aumento medio era stato di poco più di 1 specie, tra il 2007 e il 2016 le cime risultavano aver “acquisito” in media 5.4 specie. Inoltre, veniva dimostrato come l’aumento di specie sulle cime fosse collegato all’aumento delle temperature.

Volendoci avvicinare al piccolo universo sperimentato da Elisa negli ultimi sei anni, nel 2022 il Museo Civico di Rovereto, in collaborazione con l’Università di Padova, ha iniziato il progetto di ricerca “Flora di vetta”, per studiare il fenomeno della risalita delle piante in alta quota in Trentino. Grazie al supporto del Parco Nazionale dello Stelvio, del Parco Naturale Adamello Brenta e del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, nel biennio 2022-23 i ricercatori sono saliti su 27 cime del Trentino poste tra i 2700 e i 3757 metri e hanno censito le specie vegetali – sia piante che muschi – presenti, confrontandone poi la posizione con il limite di distribuzione precedentemente noto e pubblicato nel 2019 (guarda caso lo stesso anno in cui Elisa inizia l’avventura di rifugista sulle Pale di San Martino).

Tra i primi risultati del progetto emerge come oltre 200 specie vegetali delle 300 censite hanno innalzato il loro limite altitudinale massimo a livello provinciale. Alcune solo di qualche decina di metri, altre anche di oltre 500 metri. Le più favorite in questa scalata verso l’alto sono le specie anemocore, cioè quelle i cui semi vengono dispersi dal vento, come le graminacee o le composite; di queste ultime tutti sicuramente conosciamo l’arnica (Arnica montana), rilevata dai ricercatori del progetto a oltre 3000 metri sul Monte Care Alto, dopo una risalita di alcune centinaia di metri rispetto al passato.  Anche sui larici Elisa potrebbe averci visto giusto: i botanici del Museo Civico di Rovereto hanno censito una pianta di questa conifera a ben 3.130 metri nel gruppo dell’Adamello, incoronandola di fatto la specie arborea più alta d’Europa; non sarebbe quindi da stupirsi se tra vent’anni il Rifugio Velo della Madonna fosse davvero circondato da larici.

Tutto questo potrebbe apparire un grande esempio della capacità degli organismi viventi di colonizzare anche gli ambienti più inospitali. Abbiamo già visto però come gli spostamenti possano creare nuovi tipi di interazioni tra specie animali che possono favorirne alcune a scapito di altre e le piante non sono immuni da tali dinamiche. Spesso infatti, le specie che si spostano verso l’alto possiedono caratteristiche e strategie di crescita che le rendono più performanti rispetto alle specie residenti, adattate a condizioni più fredde e non in grado di “stare al passo”. Quindi se ora stiamo assistendo ad un aumento di ricchezza di specie alle alte quote, dovuto alla contemporanea presenza di specie alpine e nivali residenti e di nuovi arrivi dal basso, il futuro potrebbe essere ben diverso. Potremmo avere sì montagne sempre più verdi, ma sempre meno diverse in termini di composizione di specie.

E noi, semplici camminatori o turisti, cosa possiamo fare di fronte a questo? Imparare a guardare le montagne con un occhio più attento è già un primo passo. Poi, fermarsi ogni tanto a fare quattro chiacchiere con chi, come Elisa, non solo vive la montagna quotidianamente, ma ha anche una sensibilità in più per cogliere le sfumature del cambiamento che il suo piccolo universo sta attraversando e per porsi delle domande.

Impareremo molte cose.


Testo originale in L’Altra Montagna

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