La pelle dell’orso. Appesa come trofeo da chi cavalca la paura. Gli stessi che prima ne favorirono l’immigrazione come simpatica mascotte I plantigradi non amano la compagnia degli uomini, ma noi li attiriamo con il cibo

La pelle dell’orso. Appesa come trofeo da chi cavalca la paura. Gli stessi che prima ne favorirono l’immigrazione come simpatica mascotte

I plantigradi non amano la compagnia degli uomini, ma noi li attiriamo con il cibo

Una mamma orsa (identificata ufficialmente come Kj1) uccisa su ordine del presidente della Provincia autonoma di Trento e un cucciolo di pochi mesi investito da un veicolo. In pochi giorni, in Trentino è di nuovo esplosa una questione che da tempo fa discutere. Dopo gli anni in cui – con grande battage pubblicitario e campagne massicce di marketing volute anche dagli enti locali – si erano reintrodotte alcune decina di orsi, la capacità di gestire la convivenza con questa specie si dimostra sempre più scarsa e mancano misure di prevenzione coerenti e adeguate a evitare incidenti e potenziali aggressioni.

Il caso di Kj1 sta facendo scalpore. Dopo la denuncia di aggressione da parte di un turista francese, l’animale, accompagnato dai suoi tre cuccioli, è stato ucciso nonostante si trattasse di una femmina che, come tutte le mamme, reagisce solo se avverte un pericolo per i figli. 

L’iniziale, ennesima, ordinanza di abbattimento emessa immediatamente da Maurizio Fugatti, presidente della Provincia autonoma di Trento, era stata bloccata dal Tribunale amministrativo regionale (Tar) in mancanza di un accertamento definitivo sulla riconducibilità dell’aggressione, ma l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) aveva poi espresso un parere “non sfavorevole” all’abbattimento. Subito è stata emanata un’altra sentenza, prontamente eseguita prima che il Tar potesse nuovamente intervenire.

cucciolo orso
(©greenme.it)

Ancora una volta, si è reagito cercando di cavalcare una reazione di paura di parte dell’opinione pubblica anziché riflettere sull’attuazione di misure per una convivenza equilibrata. L’orsa, infatti, era già stata radiocollata dal Dipartimento di protezione civile, come normalmente si procede in questi casi. 

Legambiente ha ora ribadito l’urgenza di implementare azioni preventive, dalla rimozione delle fonti di cibo di natura antropica alla realizzazione di corridoi ecologici e campagne di informazione e sensibilizzazione, seguendo esempi virtuosi come quello del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Vale inoltre la pena ricordare che l’orso bruno è una specie particolarmente protetta dalla legge quadro 11 febbraio 1992 n. 157, mentre la Convenzione di Berna lo inserisce tra le specie strettamente protette e la Direttiva Habitat lo include tra le specie di interesse comunitario. Tale quadro impone allo Stato italiano la conservazione soddisfacente delle popolazioni presenti (quella alpina e quella degli Appennini centrali) e del loro habitat

Life Ursus: chi ha voluto gli orsi non li ha gestiti, e ora li uccide

Nel 1996 è partito il progetto Life Ursus per la tutela dell’orso bruno del Brenta, finanziato dall’Unione europea e promosso dal Parco naturale Adamello Brenta (Pnab) con la Provincia autonoma di Trento e l’Ispra. 

Avere gli orsi sul territorio avrebbe significato incentivare l’immagine di una montagna selvaggia e naturale: un marketing ideale per la promozione turistica. Inoltre, in un precedente sondaggio più del 70% della popolazione locale si era dichiarata favorevole, addirittura l’80% con l’assicurazione di misure di prevenzione e gestione delle emergenze. 

Si sono quindi introdotti nove esemplari per ripopolare oltre 1700 km quadrati di territorio nel Trentino occidentale e le province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona.

Secondo il documento 18 del Pnab, per ridurre i conflitti con l’uomo erano previsti “criteri decisionali e operativi” per il monitoraggio della specie, la prevenzione dei danni e il loro eventuale pronto risarcimento. In parallelo, era riconosciuta l’importanza della comunicazione sia in termini di confronto scientifico sia per coinvolgere la popolazione e “creare un’attitudine positiva nei loro confronti o, quantomeno, diffondere informazioni corrette sulla loro ecologia e sul loro comportamento.”

Compiti e responsabilità, a partire dalla politica, sono però stati dimenticati. Con un progetto pieno di buoni propositi, ma poi poco o nulla si è fatto in termini di prevenzione e di educazione di residenti, pastori e turisti. E ora si reagisce al normale comportamento degli animali con la soluzione più facile e immediata, ma inevitabilmente sbagliata.

Gli orsi in Trentino: solo pochi quelli oggetto di cronaca

Secondo il rapporto Grandi carnivori della Provincia autonoma di Trento, nel 2023 senza considerare i cuccioli si sono stimati novantotto orsi, con un indice di consistenza di 86-120, in crescita rispetto al 2021 (ottantacinque orsi, indice di consistenza 79-103). Tra il 2015 e il 2023 la popolazione ha mostrato un tasso medio annuo di accrescimento dell’11% ma solo un’esigua minoranza rientra nelle notizie di cronaca, in quanto animali timorosi dell’uomo. 

Nonostante ciò, le posizioni si sono polarizzate, allontanando le valutazioni obiettive. Sul territorio sono infatti già previste misure di intervento in caso di “orsi problematici” che, come dimostra la gestione dell’orso marsicano, se attuate tempestivamente risultano efficaci: l’uccisione deve essere dunque solo l’extrema ratio, non la norma. 

Lo stesso Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centro orientali (PACOBACE) prevede che la cattura e l’abbattimento siano applicate solo quando interventi di prevenzione e/o dissuasione siano inefficaci o non attuabili. In particolare, in caso di orsi e lupi confidenti interviene il settore “grandi carnivori” del servizio faunistico eliminando le risorse alimentari che li attirano, attuando strategie di dissuasione come spaventare gli esemplari, e, qualora necessario, applicando un radiocollare per il monitoraggio.

Gli orsi temono gli uomini, tanto da diventare meno attivi in loro presenza 

Secondo uno studio pubblicato su Nature ecology and evolution sugli impatti sui mammiferi selvatici del cambiamento nelle abitudini umane durante il Covid-19, i grandi carnivori, tra cui l’orso, sono molto sensibili alle variazioni della presenza umana, al punto da aver diminuito del 50% la loro attività con la ripresa delle attività quando gli uomini hanno ricominciato a frequentare le aree antropizzate. 

Con la fine delle restrizioni, gli animali che frequentano le zone antropizzate sono diventati più notturni, dimostrando di voler ridurre al minimo il contatto con l’uomo anche nonostante la presenza di cibo artificiale, mentre quelli che vivono nelle aree naturali hanno ridotto drasticamente la loro attività. 

Purtroppo la nostra capacità di comprendere queste interazioni è limitata dal fatto che gli studi si sono concentrati su poche specie e contesti. Dobbiamo però considerare come l’assuefazione e le diverse sensibilità delle specie influiscono nelle interazioni con l’uomo e i dati emersi da questa indagine sono fondamentali per calibrare la gestione della fauna selvatica, ad esempio proteggendo i rifugi notturni e le aree meno sviluppate ed equilibrando la crescente presenza turistica.

L’orso marsicano: le azioni del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Nel Centro Italia è attivo il Piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano (Patom), il cui nucleo principale di popolazione si trova nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. 

Si stima un totale di circa cinquanta esemplari nel territorio del Parco e zone limitrofe e lo stato di conservazione della popolazione rimane precario. Dopo una notevole riduzione del suo areale negli ultimi 200 anni a causa della persecuzione umana, oggi la popolazione è estesa a una superficie di circa 5mila km quadrati (5.500), che arriva a oltre 10mila di habitat idonei se si considera la presenza di individui erratici. 

Il bracconaggio: un gesto stupido, vigliacco e gratuito 

Nel 2023 ha suscitato scalpore l’uccisione a fucilate dell’orsa Amarena, definita nel rapporto Orso marsicano 2023 “un gesto stupido, vigliacco e soprattutto gratuito, perché non era un pericolo per le persone.”

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Le cause di morte del marsicano dipendono per l’80% da attività illegali e antropiche (©rapporto orso marsicano 2023)

Dal 1994 sono stati solo dodici gli orsi che hanno manifestato un comportamento problematico nel Parco, condizionati soprattutto dalla presenza di cibo. Nel 90% si trattava di esemplari giovani e femmine e ad oggi sei sono ancora vivi: degli altri, due sono morti per incidente stradale, tre per bracconaggio e una per vecchiaia in cattività.

Il principale problema è la cattiva gestione delle fonti di cibo

Come sono gestiti qui gli orsi confidenti? Per ridurre l’insorgenza di comportamenti condizionati dal cibo “facile” sono attuati interventi di prevenzione (messa in sicurezza delle fonti alimentari e azioni di comunicazione) e controllo (cattura e dissuasione).

La causa di tale confidenza risiede infatti soprattutto nella diffusa presenza di orti, frutteti e pollai non protetti nei centri abitati. In questo caso le azioni di dissuasione sono efficaci solo nel breve termine, perché fintanto che continua a ricevere un “premio” come il cibo facile qualsiasi orso ritorna nel centro abitato, anche se dissuaso. 

Per ciascun esemplare, dunque, l’ente individua le azioni più efficaci e attua azioni di informazione sui comportamenti corretti da tenere in caso di incontro. Dunque, si tratta di imparare a convivere con gli animali selvatici. Come si legge nel rapporto, “chi decide di investire impegno e risorse economiche per dotarsi di misure preventive dimostra una grande sensibilità e senso di responsabilità nei confronti non solo della loro proprietà, ma anche della fauna. Inoltre, chi sceglie di adottare queste pratiche svolge un ruolo educativo nei confronti di altre persone residenti nel territorio del Parco, dimostrando che, se si vuole risolvere un problema, le soluzioni pacifiche e coerenti si trovano.”

One thought on “La pelle dell’orso. Appesa come trofeo da chi cavalca la paura. Gli stessi che prima ne favorirono l’immigrazione come simpatica mascotte

I plantigradi non amano la compagnia degli uomini, ma noi li attiriamo con il cibo

  1. Nel parco nazionale dello Stelvio, dove c’è un’importante presenza di esemplari soprattutto di femmine orse, ogni anno vengono abbattuti, senza alcun clamore mediatico, almeno un centinaio di cervi e altri ungulati, per mantenere gli equilibri faunistici interni. Almeno questo viene detto e si va avanti così da molti anni, senza apparenti danni.Tutto questa enfasi sui supposti rischi che corrono gli orsi mi sembra lontana dalla realtà, perché per ora non si fa proprio nulla e gli orsi stanno decisamente aumentando di numero e comparendo anche nel centro di grandi borghi come Malé.
    La popolazione trentina, che aveva ingenuamente creduto nello slogan “Life ursus” e che ora ne sta pagando le conseguenze in termini economici e di minore libertà di movimento, non capisce perché si ragioni diversamente a seconda della specie animale.
    In tutti i percorsi di montagna la prevenzione è stata attuata tramite l’affissione di cartelli che avvisano che nella zona c’è presenza di orsi. Stop. Uomo avvisato, responsabilità scaricata. Intanto in alcuni rifugi, solitamente sempre pieni di turisti/alpinisti per una settimana, c’è il vuoto. Bizzarro effetto dei media: se lo stesso rifugio si trova tra Lombardia e Trentino invece risulta affollato, perché dal lato lombardo non c’è alcun cartello e nulla si teme. In Lombardia gli orsi non vogliono andare? Gli orsi invece si sa che percorrono tanti chilometri e hanno bisogno di un territorio molto vasto. Ormai sono troppi per la zona di ripopolamento anche per reperire cibo sufficiente, dice qualcuno. Non so se sia vero. So che comunque nella zona di produzione della Melinda, dove ogni area coltivabile è stata messa a coltura, risulta inevitabile trovarsi qualche orso nel frutteto ed è ridicolo parlare di non lasciare in giro tracce di cibo.Tutta la Val di Non è cibo sotto il sole. Ed è lì che è morto Andrea Papi. Mi dispiace che l’ideologia ambientalista a volte diventi disumana e che si supponga che tutto derivi sempre da errore umano. Un po’ di commiserazione in più per Andrea non guasterebbe.
    L’unico errore umano, riconosciuto anche dai politici locali, più sottovoce che a voce spiegata, è stato accettare soldi dall’UE per un progetto poi non governato e difficilmente governabile. Grazie alla confusione mediatica creata daIla contrapposizione tra ambientalisti e nazi/cacciatori, i responsabili non stanno pagando nulla e proseguono la loro carriera politica, trincerandosi dietro un falso ecologismo.
    Il Trentino non è l’Abruzzo, poco abitato e poco frequentato al confronto. Inutile continuare con questo paragone. Le valli Trentine, che rischiavano l’abbandono a causa dell’immigrazione, se ora sono sempre più belle e ridenti, è solo grazie al turismo. Questo però comporta un rapporto tra uomo e animali diverso rispetto ad altre zone.
    La politica serve per conciliare contrapposti interessi e fare scelte giuste. Purtroppo mancano gli uomini in grado di interpretare questa funzione.
    Nel parco dello Stelvio qualcuno scuote la testa e dice: ci siamo rovinati per quattro soldi…

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