Molti lupi uccisi legalmente e illegalmente. Cresce l’intolleranza di popolazioni prive di aiuti per la convivenza (2) Due studi attestano le cause antropiche di morte. Le uccisioni illegali - sottostimate - rimangono preoccupanti

Molti lupi uccisi legalmente e illegalmente. Cresce l’intolleranza di popolazioni prive di aiuti per la convivenza (2)

Due studi attestano le cause antropiche di morte. Le uccisioni illegali - sottostimate - rimangono preoccupanti

La convivenza tra uomo e lupo è uno dei temi di ampio dibattito nei territori coinvolti dalla presenza di quest’ultimo. Come abbiamo visto, il lupo è considerato come specie particolarmente protetta a livello comunitario e l’attuale legislazione vigente ne impedisce l’uccisione, la cattura, la detenzione e il commercio. Tuttavia, tra le cause antropiche di morte del lupo, anche nonostante i dati siano sottostimati, rimane un’elevata percentuale di uccisioni illegali.

Le cause di morte: spiccano incidenti stradali e avvelenamento

Nel 2021 uno studio pubblicato su Global Ecology and Conservation ha evidenziato le cause antropogeniche nella mortalità dei lupi in contesti antropizzati in Italia. I dati mostrano come, negli ultimi quarant’anni, una ricolonizzazione da parte del lupo del suo areale storico abbia aumentato le interazioni con l’uomo: tuttavia, è mancato un tracciamento puntuale delle tendenze sulla mortalità della specie.

Tre lupacchiotti si rincorrono lungo un fiume in Valle D’Aosta (ⓒfacebook/Nuovi Equilibri)

Lo studio si era dedicato ai territori di Toscana ed Emilia Romagna, tra ottobre 2005 e febbraio 2021, con l’analisi di 212 carcasse di lupo: di queste, quasi la metà era morta per collisione con veicoli (104), quarantacinque per avvelenamento, ventiquattro per ferite d’arma da fuoco od oggetti contundenti (quattro) e due per impiccagione.

“Le cause di morte dei lupi esaminate successivamente al 2021 – spiega Carmela Musto, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna e tra gli autori dello studio – sono oggi le medesime: c’è una netta prevalenza degli investimenti stradali, seguiti dall’illegal killing (avvelenamento e arma da fuoco) e una percentuale di morti naturali, principalmente per aggressione intraspecifica.

Foto del docente
Carmela Musto, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna (©unibo.it)

Va però precisato che determinare le cause di morte di una specie partendo da alcuni soggetti rinvenuti porta inevitabilmente a lavorare su una frazione del totale e a una sottostima dei soggetti morti in ambiente boschivo, oltre a quelli uccisi illegalmente e occultati. Tuttavia, anche considerando tale margine di errore, il dato di 35% di uccisioni illegali, sapendo che è sottostimato, appare allarmante.”

Per ridurre gli incidenti servono dissuasori stradali e maggiore prudenza

Una delle più recenti iniziative per cercare di ridurre gli incidenti stradali è stata promossa da Life WolfAlps con una sperimentazione in Alta Valle di Susa, Piemonte. La città metropolitana di Torino e Anas hanno introdotto catarifrangenti blu sui delineatori di carreggiata per cercare di dissuadere gli animali selvatici dall’attraversare le strade extraurbane più trafficate.

La luce dei fari da essi riflessa, infatti, crea una barriera ottica di protezione che scoraggia gli animali dal proseguire. Oltre a ciò, sono stati fatti sopralluoghi nei punti critici maggiormente frequentati da lupi e ungulati e sono state installate reti che deviano gli animali su percorsi sicuri, quali sottopassi già esistenti liberati da vegetazione e rifiuti.

In parallelo, è stata avviata una campagna di sensibilizzazione dei conducenti per segnalare l’elevato rischio di impatto con animali selvatici invitando alla prudenza e all’attenzione alla guida.

La Valle di Susa è infatti un territorio altamente frammentato a livello ambientale, nel quale la conformazione dei versanti e la presenza di reti di comunicazione costringono gli animali ad attraversarle frequentemente. Gli incidenti, di conseguenza, sono molti, a danno (nel territorio della Città metropolitana di Torino) soprattutto di caprioli e cinghiali, ma anche cervi, camosci e lupi e con densità maggiore proprio in Alta Valle di Susa.

Molte le uccisioni illegali, ma è la mancanza di prevenzione la principale responsabile degli attacchi 

Gli incidenti stradali non sono però l’unica causa antropica di morte della specie. Le uccisioni deliberate e gli atti di bracconaggio, come rilevato dallo studio, seppur sottostimati rivelano comunque percentuali elevate.

A lamentare i danni derivati dalla presenza del lupo è soprattutto il settore zootecnico, ma, come già evidenziato dal Stefano Grignolio dell’Università di Ferrara, bisogna prestare attenzione alla differenza tra possibili segnalazioni e numeri reali. Spesso, infatti, gli animali su un dato territorio sono pochi o tanti in base all’umore e alla situazione.

Tuttavia, anche il prezzo economico e sociale dovuto alla ripresa della presenza del lupo non può essere ignorato, per evitare l’accrescersi delle soluzioni “fai da te” a scapito della specie. Secondo il reportEfficacia dei sistemi di prevenzione sulle Alpi nell’ambito dei progetti LIFE”, i danni sono più frequenti nelle aree di recente ricolonizzazione del lupo a causa di una minor prevenzione e difesa dagli attacchi.

Il numero di predazioni dipende infatti da molti fattori, tra i quali l’uso di strategie di prevenzione, le caratteristiche orografiche e meteorologiche dell’ambiente in cui gli animali pascolano, o la presenza di infrastrutture. Risulta inoltre fondamentale la presenza di personale tecnico specializzato di supporto ad allevatori e pastori nell’uso di strumenti di prevenzione e nel tempestivo intervento in caso di attacco. 

Lungo l’arco alpino italiano, ad esempio, sono presenti ventinove unità di pronto intervento per la prevenzione di attacchi da lupo (Wolf Prevention Intervention Units, WPIU), nell’ambito del progetto Life WolfAlps EU, divise tra Liguria (quattro), Piemonte (sedici), Lombardia (cinque), Valle d’Aosta (tre) e una nel Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi.

Inoltre, sono presenti, oltre alle quattro già operative, altre nove Unità cinofile antiveleno, che nel solo 2023 hanno effettuato 454 interventi e nel 2024 siamo a oltre 140 ispezioni. 

“È innegabile che l’attuale clima allarmistico sui grandi carnivori favorisca la crescita di ostilità nei loro confronti e possa legittimare la mano dei bracconieri e di coloro che compiono atti illegali a danno di queste specie. Quello che però stupisce è soprattutto come il bracconaggio, di fatto, non faccia più notizia: non ci risultano dichiarazioni di condanna da parte delle istituzioni ai recenti fatti in Lessinia, solo per citare un esempio, eppure siamo di fronte a un reato che colpisce tutta la comunità – dichiara ad Agenda17 Francesco Romito, vice-presidente dell’associazione Io non ho paura del lupo -.

La coesistenza è un tema complesso che non può essere trattato con soluzioni semplicistiche, che invece a livello politico sono proposte quotidianamente. Pensiamo al Trentino: oggi la comunità locale non è in grado di prendere decisioni proprie a causa di un vortice di informazioni contrastanti, propaganda e soluzioni semplicistiche, che ha creato un circuito mediatico nel quale tutti si sentono in dovere di parlare di grandi carnivori senza averne le competenze.

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Francesco Romito, vice-presidente e responsabile comunicazione di Io non ho paura del lupo (©iononhopauradellupo.it)

Bisognerebbe invece andare verso la direzione della serietà scientifica e della cultura, guidando le comunità locali in un percorso serio e consapevole. I numeri parlano chiaro: la relazione tecnico scientifica del Muse di Trento “Lupus in stabula”, ad esempio, ci dice che nell’81% dei casi di predazione il bestiame non era difeso in alcun modo, a riprova del lavoro che ancora manca da fare.”

Anche il veleno per topi tra le minacce per i lupi

Un altro studio recentemente pubblicato di Science of the Total Environment ha inoltre evidenziato come, su 186 lupi morti recuperati tra il 2018 e il 2022, oltre sei su dieci (115, il 61,8%) erano positivi alla presenza di anticoagulanti rodenticidi di seconda generazione, cioè composti alla base di comuni veleni per topi e ratti. La loro concentrazione è aumentata a partire dal 2020, diventando un’ulteriore minaccia per la specie.

“La diffusa positività dei lupi ai rodenticidi – prosegue Musto – è il sintomo della penetrazione di queste sostanze nelle reti alimentari, coinvolgendo l’intero ecosistema. I risultati indicano che le pratiche di controllo dei roditori basate sull’uso di composti chimici non sono selettive, ma possono determinare una diffusa contaminazione di specie spesso protette o con uno stato di conservazione non sempre ottimale. Inoltre, sia il numero di tali sostanze sia la loro concentrazione sono maggiori nei lupi rinvenuti in contesti antropizzati: è dunque probabile che questi individui basino una parte della loro dieta sui roditori, esponendosi al rischio di contaminazione.”

Informazione, ricerca e prevenzione: la ricetta per un’equilibrata convivenza

Come rileva il Club alpino italiano (Cai) nella rivista di luglio 2024, è di fondamentale importanza che le popolazioni di selvatici siano accettate da chi vive e lavora nei luoghi da essi abitati e che si possa realizzare una coesistenza duratura attraverso azioni come informazione laica, ricerca scientifica, prevenzione e rimborso di eventuali danni e corretta gestione dei casi problematici. Condannando dunque fermamente qualsiasi azione illegale, a partire dal bracconaggio.

“Il tema degli abbattimenti – conclude Romito – è fumo negli occhi degli allevatori e per noi, associazione fondata e condotta anche da allevatori e pastori, è fondamentale essere onesti nei loro confronti. Ad oggi ci sono tutti gli strumenti necessari per una corretta gestione del lupo e non occorre declassare la specie: d’altronde diversi Paesi europei praticano da anni abbattimenti percentuali sulle popolazioni con le nostre stesse regolamentazioni.

Eppure si continua a ripetere come un mantra che gli abbattimenti sono necessari per la convivenza. La realtà però è che lo strumento principale rimane la prevenzione. Parlare di compromessi non è un tabù per noi, ma non si può pensare di prenderli in considerazione senza una serietà gestionale che metta al primo posto la conservazione della specie.”

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