A Venezia, Milano, Firenze, Roma e Napoli sia il processo di gentrification che quello dell’ “overturismo”, con i loro correlati di speculazione immobiliare e “dysneificazione della cultura”, hanno portato a un aumento del costo della vita e dell’abitare, costringendo le famiglie a spostarsi da case in cui hanno vissuto per anni rintanandosi in periferie o quartieri popolari.
Nel caso Milano persino questi ultimi sono stati convertiti in luoghi dall’identità fittizia, ad esempio i quartieri rinominati “Lambrooklyn”, “NoLo”, e “Soupra”, dedicati al lusso e al commercio, ai bed and breakfast o destinati ai cosiddetti abitanti di short term, cioè i nomadi digitali, gli studenti e i lavoratori di prestigio.
Secondo Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane e giornalista, intervenuta nel ciclo di incontri “Pietre senza popolo” che l’Università di Ferrara ha dedicato a cinque casi studio di altrettante città italiane, ciò che si può dedurre è che “il grande sogno è quello di costruire comunità che vivranno in un certo contesto solo per qualche anno, costituite da individui che cercano il lusso e il successo.”
Molte città italiane, tra cui quelle considerate in precedenza, hanno subito una disneyficazione: per certi aspetti sono state omogeneizzate e modificate come una sorta di parco Disney, dove il turista può accedere a tutti i tipi di servizi.
Si può affermare quindi che le politiche urbane sono pensate non a vantaggio dei residenti quanto piuttosto per i turisti.
Il lato oscuro del marketing urbano: tutto diventa prodotto da vendere
Nel caso di Napoli, come nei quartieri spagnoli, ad esempio, la presenza di luoghi fatiscenti e di una popolazione che vive in condizioni abitative precarie è funzionale alla costruzione di una narrazione di città autentica da visitare. Allo stesso modo anche a Roma si punta sull’aspetto dell’autenticità, anche se poi si tratta di fornire un’immagine che risulti attrattiva per i turisti, dove la circolazione dei mezzi è quasi assente e dove si fa esperienza della vita romana autentica, anche se in realtà si tratta di qualcosa molto lontano dalla realtà esistente nella capitale.
In conclusione, la città viene vista esclusivamente come un prodotto destinato al turismo, quindi da sponsorizzare, pubblicizzare e brandizzare entrando in competizione con le altre città turistiche. Il punto focale, per arrivare allo scopo, è l’utilizzo di un ottimo marketing urbano, la sua comunicazione e la valorizzazione in metro quadro attraverso la rigenerazione.
Come evidenziato da Lucia Tozzi, l’ossimoro su cui si fonda il marketing urbano è che “bisogna trovare tratti distintivi per l’identità di ogni città e quartiere, ma alla fine l’identità si rivela essere sempre la stessa, ovvero un posto tollerante, cosmopolita, vivace, felice e dove tutte le contraddizioni si annullano.”
Il motivo per cui il marketing urbano è interessato a queste tipologie di finta partecipazione è mostrare a livello internazionale un’immagine di solidarietà, cooperazione e felicità annessa alla vita degli abitanti.
Contrastare il fenomeno; qualche regola per resistere
Paolo Grassi, antropologo urbano presso l’Università di Milano, sottolinea che molte città si sono attivate per contrastare i processi di turistificazione stabilendo, ad esempio, dei limiti di affitti brevi. In ciò Milano diviene un caso emblematico, poiché l’attuazione di questi limiti è difficile in un sistema che privilegia la rendita immobiliare come motore di sviluppo urbano.
Secondo Zanardi, antropologa urbana, le strategie per relazionarsi al fenomeno di turistificazione sono “regolare i fenomeni come quello delle allocazioni turistiche, ampliare lo spazio dell’abitare e della vita senza diminuire quello del turismo, finanziando il restauro delle case popolari, facilitando l’accesso alla casa per le classi medie e attuando una politica per gli affitti.”
È oggi infatti quasi impossibile aprire qualsiasi attività non legata al turismo, a causa dei prezzi degli affitti talmente alti che erodono qualsiasi possibilità di guadagno, quindi o entri nel turismo o lasci la città. Zanardi sottolinea dunque quanto sia importante garantire alle forme economiche alternative la possibilità di accedere agli spazi a un costo sostenibile.
Tomaso Montanari, storico dell’arte e saggista, infine parla di “regole per la nostra difesa” usando come esempio il giardino pubblico “Nidiaci” in zona Ardiglione: nel 2015 una holding privata acquista la ludoteca presente all’interno del giardino e la parte dedicata ai più piccoli con lo scopo di costruire appartamenti e parcheggi privati. Quindi, dopo novant’anni di uso ininterrotto, il giardino venne chiuso portando la popolazione a protestare contro la chiusura e attuare una vera e propria resistenza. Solo dopo una campagna stampa e una mobilitazione generale, l’amministrazione di Firenze comprende che si deve fermare con il risultato che l’associazione degli abitanti del quartiere riuscì a ottenere il giardino in gestione come bene comune, diventando di fatto un unico spazio pubblico nel oltrarno fiorentino.
Allo stesso modo, nel quartiere Bagnoli a Napoli vi è una vera e propria battaglia contro il fenomeno della turistificazione a favore della vita dei residenti e della tutela del paesaggio, per impedire la costruzione di nuove strutture ricettive visto che Napoli, anche se è una città di mare, non ha spiagge pubbliche poiché sono state tutte privatizzate.