Più li istruiamo, più li perdiamo. Per la prima volta, secondo Svimez, i laureati in fuga dal Sud del Paese superano i lavoratori non qualificati Sommato al calo demografico sarà un fattore di mancato sviluppo. Colpa dei salari troppo bassi

Più li istruiamo, più li perdiamo. Per la prima volta, secondo Svimez, i laureati in fuga dal Sud del Paese superano i lavoratori non qualificati

Sommato al calo demografico sarà un fattore di mancato sviluppo. Colpa dei salari troppo bassi

Il lavoro è un fattore mobile: se non è remunerato adeguatamente porta il lavoratore a spostarsi; per cui sempre più spesso, dopo la laurea, i giovani italiani guardano all’estero per un’opportunità di carriera.

“In tutti i Paesi avanzati – afferma ad Agenda17 Annamaria Nifo, docente di Economia applicata presso il Dipartimento di economia management e metodi quantitativi dell’Università del Sannio – avere un titolo di studio terziario conviene perché garantisce migliori livelli di occupazione; in Italia invece il beneficio della laurea è minore. La laurea in Italia ripaga poco dell’investimento.”

Secondo Almalaurea, un laureato italiano su due (45.3%) del 2022 è disponibile a lavorare all’estero.

La situazione è preoccupante soprattutto per le Regioni meridionali, che di lavoratori qualificati e di competenze elevate avrebbero bisogno per sostenere lo sviluppo recente e colmare lo storico divario con il Nord.

La laurea al Sud è un biglietto di sola andata per un altrove più ricco e sviluppato

Tra il 2001 e il 2021 si è quadruplicata la quota di emigrati meridionali con competenze elevate passando dal 9% al 34%, il deflusso netto di giovani è stato di 808mila unità di cui 263mila laureati. Nel 2021 il saldo netto di emigrati meridionali giovani è di circa 38mila, di cui 20mila laureati. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) ha stimato che al 2022, per la prima volta nella storia delle migrazioni interne italiane, la quota di laureati sul totale degli emigrati meridionali supererà quelle relative a titoli di studio inferiori. 

Sabino Cassese, nelle lezioni materane del 2019, si riferiva agli abbandoni scolastici e alle migrazioni intellettuali come aspetti cruciali di quelle che lui ha chiamato “le questioni meridionali”. 

(©Svimez)

Il fenomeno non riguarda solo la direzione Sud-Nord ma anche quella Italia-Estero. Nel triennio 2019-2021 il saldo migratorio verso l’estero è stato di circa 18 mila unità dal Centro-Nord e circa 11 mila dal Mezzogiorno. Tuttavia, se il Centro-Nord è nelle condizioni di compensare questa perdita consistente di capitale umano attraendo giovani laureati dal Mezzogiorno, le migrazioni interne amplificano il fenomeno della perdita secca di forza lavoro qualificata nelle Regioni del Sud, compromettendo seriamente i meccanismi della crescita economica per l’area.

(©Svimez)
(©Svimez)

“Le dinamiche migratorie – afferma Ninfo – offrono uno spunto di cui tener conto nella valutazione complessiva delle politiche, specie in un Paese come l’Italia caratterizzato da ampi e persistenti divari regionali di sviluppo: se i rendimenti dell’istruzione sono maggiori in Paesi e Regioni più ricche, allora è chiaro che la probabilità di emigrare cresce al crescere dell’istruzione. 

Laurearsi in Italia – soprattutto in una Regione del Mezzogiorno – equivale ad acquistare un biglietto di sola andata per un altrove più ricco e più sviluppato.”

Nel Mezzogiorno la fuga comincia ancor prima della laurea

La situazione è ancora più grave se si considerano i movimenti che avvengono ancor prima di avere conseguito il diploma universitario in un’università del Sud. 

A partire dal 2009 si è ampliato il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno in termini di immatricolazioni universitarie. Mentre gli atenei del Centro-Nord hanno registrato un incremento di immatricolati del 30%, quelli del Sud hanno registrato una diminuzione del 4%. Sul calo degli immatricolati al Sud, oltre al decremento demografico dei giovani e al minore tasso di passaggio scuola-università pesa il crescente flusso migratorio degli studenti meridionali. Nel 2021 il 22% degli studenti meridionali sceglieva un corso di laurea triennale o a ciclo unico al Centro-Nord.  

Svimez stima che “il 50% degli studenti meridionali che si iscrive ad una magistrale sceglie un ateneo del Centro-Nord”.

Ripartizione territorialedi conseguimento del diplomaRipartizione territoriale dell’ateneo
NordCentroMezzogiorno
Nord96,33,20,4
Centro11,486,12,5
Mezzogiorno16,312,371,5
Estero63,928,27,9
TOTALE47,724,128,3
Indagine sul profilo dei laureati dell’anno 2022: ripartizione territoriale di conseguimento del diploma per ripartizione territoriale dell’ateneo Fonte: Almalaurea

Secondo il rapporto Almalaurea relativo ai laureati del 2022, la quasi totalità dei diplomati del Nord e del Centro, all’atto dell’immatricolazione, aveva scelto un ateneo della stessa ripartizione geografica, mentre il 28,6% dei laureati del Mezzogiorno aveva scelto un ateneo del Centro-Nord. Tra i laureati nel 2022 gli atenei del Nord hanno fatto il pieno anche dei diplomati all’estero scelti dal 92,1% di questi.

Per mancanza di prospettive il Sud sarà la parte più vecchia del Paese

Negli ultimi due decenni l’Ue ha registrato una perdita netta di giovani (18-34 anni) di circa 17,5 milioni. La tendenza negativa dell’Italia comincia nella seconda metà degli anni Novanta. Al costante calo dei giovani si contrappone l’incremento delle persone con più di sessantacinque anni: a gennaio 2023 gli under-35 italiani sono poco più di 10,3 milioni, il 17,5% della popolazione, inferiore alla media Ue27 del 19,3%, mentre gli over-65 sono oltre 14 milioni. 

La popolazione giovane tende a ridursi con maggiore intensità nei territori con carenti opportunità occupazionali e bassa produzione di ricchezza, pertanto a soffrire maggiormente la perdita dei giovani sono le zone rurali e le aree interne, in particolare quelle del Mezzogiorno.

Al 2023 le Regioni del Mezzogiorno sono ancora le più giovani, 18,6% sul totale della popolazione rispetto al Centro-Nord con un 17%, le stime però ci dicono che al 2080 a causa della denatalità e dei flussi migratori, il Mezzogiorno da area più giovane diventerà l’area più vecchia del Paese.  

Dal 2002 al 2021 circa 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno, di queste l’81% ha scelto le Regioni del Centro-Nord, il deflusso netto di giovani è stato di 808mila unità. Al 2080 la popolazione del Mezzogiorno in età da lavoro si ridurrà di oltre la metà (–6,6 milioni), nel Centro-Nord di circa un quarto (–6,3 milioni di unità). 

(©Svimez)

Ma quello che preoccupa maggiormente è l’indice strutturale di dipendenza economica (Idso) che misura la dipendenza economica delle persone non attive dalle persone realmente occupate. Al 2022 per le Regioni del Mezzogiorno questo rapporto era superiore al 100%, al 2080 sarà superiore al 200% ciò vuol dire che ci sarà un occupato ogni due residenti in età non attiva.

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