La responsabilità di istituzioni, aziende e finanza di fronte alle crescenti disuguaglianze sociali ed economiche Per l’economista Stefano Zamagni non basta rispondere delle conseguenze delle azioni direttamente compiute

La responsabilità di istituzioni, aziende e finanza di fronte alle crescenti disuguaglianze sociali ed economiche

Per l’economista Stefano Zamagni non basta rispondere delle conseguenze delle azioni direttamente compiute

Cosa significa oggi essere responsabili? Abituati a un concetto di responsabilità “attiva”, nel quale è responsabile solo chi agisce concretamente, spesso trascuriamo invece le conseguenze del non agire: tuttavia, ognuno di noi ha precise responsabilità a livello sociale, ambientale ed economico anche e soprattutto quando sceglie, appunto, di non fare nulla. A spiegarci i molteplici livelli della responsabilità è Stefano Zamagni, economista, autore del libro “Responsabili. Come civilizzare il mercato”, nel quale introduce anche l’idea del “trilemma”, cioè la necessità di operare mantenendo in armonia queste tre dimensioni, contrariamente a quanto spesso oggi avviene.

(©unife.it)

Continua dunque il ciclo di letture e seminari “Libri per la pace”, promossi dal Laboratorio per la pace e dal Centro ricerche, documentazione e studi dell’Università di Ferrara in collaborazione con Movimento nonviolento, Rete pace Ferrara, Istituto di storia contemporanea, Centro ricerche e documentazione economico sociali e Laboratorio di studi urbani. In questa intervista con Zamagni, approfondiamo le diverse sfaccettature del termine “responsabilità” attraverso uno sguardo attento al comportamento dei singoli e alle azioni della collettività in un Mondo sempre più interconnesso.

Cosa significa essere responsabile nel contesto delle crescenti disuguaglianze sociali ed economiche delle moderne società?

Il concetto di responsabilità nella lingua latina ha due radici: la prima è associata al verbo “respondeo”, che vuol dire dare risposte, mentre la seconda è associata al termine “respondus”, che vuol dire il peso delle cose. 
Secondo la prima accezione, essere responsabili può significare rispondere delle conseguenze delle azioni che si compiono. È l’interpretazione più diffusa a livello popolare, ma è la concezione meno importante al giorno d’oggi. Occorre infatti muovere passi decisi verso la seconda interpretazione: essere responsabili quindi vuol dire farsi carico del peso delle cose. 

La differenza tra le due accezioni è che secondo la prima si è responsabili per quel che si fa, mentre per la seconda si è responsabili per quello che non si fa e che si sarebbe potuto fare.
La mentalità del giorno d’oggi si basa invece sul fatto che i responsabili siano solo quelli che compiono determinate azioni, buone o malvagie, ma nella realtà dei fatti non è così. 

Viviamo in un periodo storico in cui è il secondo concetto di responsabilità che deve essere messo in campo, smettendo di insistere sulla prima accezione. È molto più irresponsabile chi, potendo migliorare una situazione facendo del bene, non lo fa.

Quali azioni dovrebbero intraprendere le istituzioni politiche, le grandi aziende e la finanza per affrontare e ridurre le disuguaglianze e la povertà?

Giovanni Paolo II, in una sua enciclica famosa del 1987 intitolata “Sollecitudo rei socialis”, introduce il concetto di struttura di peccato, termine con il quale vengono indicate le istituzioni economiche, finanziarie e politiche.

Le strutture di peccato rappresentano quelle situazioni nelle quali vi sono le persone indotte a fare il male pur volendo, a livello di intenzionalità soggettiva, fare bene. L’esempio tipico è quello di un dipendente inserito all’interno di una banca che si occupa di finanza speculativa, dove costui è dotato di una coscienza di un certo tipo che gli impedisce di sfruttare coloro meno dotati o meno in grado di difendersi. In questo modo si trova di fronte a un conflitto: in quanto dipendente deve fare gli interessi esclusivi della struttura per cui lavora con lo scopo di massimizzare il profitto, ma la sua coscienza lo porta ad avere compassione nei confronti di coloro con i quali deve trattare. 

Questa situazione di conflitto ci fa capire perché oggi il vero compito è quello di attaccare le strutture di peccato, ovvero bisogna cambiare le regole istituzionali. 
L’aumento delle malattie mentali è spiegato anche dal fatto che nei luoghi di lavoro viene vissuta questa discrasia tra i sentimenti personali e le regole che vengono imposte dall’alto. Ci si trova nella situazione in cui se non si rispettano le regole si viene cacciati via, se invece le regole vengono rispettate si va contro i dettami della propria coscienza. 

Al giorno d’oggi le diseguaglianze e le varie ingiustizie non sono tanto conseguenza delle cattive intenzionalità dei singoli, piuttosto sono la conseguenza di istituzioni perverse, che anziché mirare al bene comune mirano al bene proprio.

La lezione di Giovanni Paolo II è importante perché aiuta a comprendere che se non si cambiano gli assetti istituzionali non si arriverà mai a ottenere la giustizia, perché nonostante ci sia una percentuale minoritaria di persone malvagie, il male viene soprattutto da quel livello.

Come possono le aziende, i Governi e i cittadini mitigare il loro impatto ambientale?

La questione del mutamento climatico e del disastro ecologico è la conseguenza di un lungo processo che è iniziato nei primi anni dell’Ottocento, quando la credenza comune era che la natura fosse talmente provvida da consentire una crescita illimitata all’economia delle diverse società. Dato che il messaggio era quello di crescere all’infinito, le imprese, pur di aumentare il prodotto e il reddito, non hanno avuto riguardo dell’ambiente, poiché la natura non era mai stata percepita come una risorsa scarsa. 

Dopo il 1980 ci sono stati i primi segnali e ad oggi ci si trova di fronte ad un problema.

È ovvio che non basta diminuire i flussi, perchè prima bisogna pensare di eliminare gli stock, cioè gli elementi che si sono accumulati nel corso del tempo. In altre parole, anche se oggi smettessimo di usare carbonio, l’ambiente è talmente inquinato che per i prossimi trent’anni ci troveremmo di fronte alla stessa situazione. Invece spesso  la società crede nell’idea che se si smettesse ora sarebbe tutto risolto ma, a conti fatti, non è così.

Per questo motivo si deve agire sul piano della cultura e dell’informazione, iniziando a spiegare la situazione e la realtà dei fatti a partire dagli studenti e dai professori. 

In secondo luogo bisogna risolvere il trilemma politico. Il termine “trilemma” indica che la sostenibilità è costituita da tre dimensioni: ambientale, economica e sociale. 

Sarebbe dunque necessario che le linee politiche strategiche siano tali da tenere in armonia le tre dimensioni, ma ciò non viene fatto. 

Infatti si tendono a privilegiare la dimensione ambientale e quella economica a discapito di quella sociale, portando alle proteste dei lavoratori.
In altri casi invece vengono privilegiate la dimensione sociale e quella ambientale a danno di quella economica, provocando proteste da parte delle imprese. 

L’esempio più recente in Europa sono state le proteste degli agricoltori nei vari Paesi in seguito all’imposizione di restrizioni nel settore agricolo, per cui la Commissione europea è dovuta tornare sui suoi passi.

Stefano Zamagni, docente presso l’Università di Bologna e autore di “Responsabili. Come civilizzare il mercato” (©unibo.it)

Questo è il motivo per cui, innanzitutto, ci vorrebbe una classe dirigente sia politica che economica di persone sagge e, in secondo luogo, bisognerebbe fare molta leva sui giovani perché devono imporsi il problema di entrare in gioco, ad esempio votando per partiti che si pongono il problema del trilemma. 

Quali sono le implicazioni della responsabilità nell’era dei big data e dei social network? E com’è possibile un rigoroso rispetto per la privacy degli individui?

In Inghilterra nel 1215 vigeva l’habeas corpus: nessuno poteva essere processato ed essere messo in galera se non c’era la prova dei fatti. 

Oggi, in un contesto completamente diverso, dobbiamo reclamare l’habeas mentem, cioè fare in modo che le nuove tecnologie della rivoluzione digitale, come l’intelligenza artificiale, non manipolino la mente delle persone, soprattutto dei giovani, la maggioranza dei quali (90%) è invece  manipolata attraverso i social e le nuove forme di marketing. 

Il problema della privacy è una diffusa concezione individualistica secondo la quale  se non si vuole vedere, allora non si dovrebbero accendere la televisione o altri apparecchi elettronici, ma è proprio in questa logica che si trova l’errore: i messaggi subliminali passano sia attraverso i social che attraverso il comportamento degli altri individui. 

Se un ragazzo ha ricevuto un’educazione priva di tecnologia, ma i compagni di classe sono abituati a usarla, il ragazzo alla fine assorbe le informazioni che loro hanno acquisito. Questo fattore di trasmissione è un aspetto che molto spesso viene ignorato.

Insieme a tutte le altre regole, come quella della trasparenza, bisogna quindi porre anche quella dell’habeas mentem: è’ fondamentale evitare la manipolazione cerebrale poiché è pericolosissima, siccome la persona non si rende conto della manipolazione stessa, che interviene un po’ alla volta trasformando il modo di pensare e di essere dell’individuo.

Come possono le aziende bilanciare la responsabilità verso gli stakeholder con la necessità di generare profitto?

L’idea che ci sia un conflitto tra l’obiettivo del profitto e l’obiettivo del valore sociale è un’idea fallace ed è stata introdotta da alcuni economisti autorevoli, privi di cultura filosofica ma con molta conoscenza tecnica. Hanno fatto credere che l’impresa, per massimizzare il profitto a ogni costo, non deve farsi carico dei problemi dell’ambiente e della società nei quali opera. Tuttavia, è stato dimostrato che l’impresa di successo economico è quella che si prende cura degli stakeholder, cioè dei portatori di interessi.

Questi ultimi si distinguono in cinque classi: coloro che mettono i capitali, i lavoratori, i clienti, i fornitori e la comunità di riferimento. 

L’impresa il cui manager riesce dunque a tenere in armonia l’esigenza degli interessi di queste cinque classi di stakeholder, è l’impresa che ha anche successo economico. In particolare, l’impresa, per fiorire, ha bisogno prima di tutto di avere un rapporto con i propri dipendenti, senza il quale non potrà mai crescere e svilupparsi. 

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