Natura protagonista al festival fotografico Selvatica di Biella (2) Piante guerriere: un’esposizione scientifica per rovesciare la prospettiva e sfatare il mito del mondo vegetale come preda immobile

Natura protagonista al festival fotografico Selvatica di Biella (2)

Piante guerriere: un’esposizione scientifica per rovesciare la prospettiva e sfatare il mito del mondo vegetale come preda immobile

All’interno del festival Selvatica, in corso fino al 21 luglio a Biella, di particolare interesse è l’esposizione “Piante guerriere. Viaggio tra i vegetali che credono di essere animali”: questa sezione ha il merito di restituire complessità a un mondo, quello vegetale, spesso considerato in modo semplicistico e che invece ha messo e mette in atto strategie tra le più varie per consolidare il suo successo evolutivo. 

Le piante sono infatti spesso rappresentate come prede di erbivori e insetti, immobili nei loro vasi o nelle loro foreste. Tuttavia possono trasformarsi anch’esse in predatrici di animali, addirittura di piccoli mammiferi, nutrirsi di altre piante fino a ucciderle, utilizzare inganno e armi ed essere capaci di far viaggiare i loro semi sfruttando il vento, l’acqua e il movimento degli animali. Alcune hanno una fioritura che lascia incantati, ma per fasi impollinare emettono l’odore della carne in putrefazione.

Se al festival, organizzato da Palazzo Gromo Losa Srl e ideato da E20Progetti e da Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, per la cura di Lorenza Salamon e Fabrizio Lava. la natura è protagonista delle opere d’arte per spingerci a ripensare il nostro rapporto con essa, questa esposizione scientifica, a cura dei naturalisti Raffaella Fiore e Francesco Tomasinelli in collaborazione con l’Orto Botanico Città Studi di Milano – Università degli Studi di Milano, offre piccole piante, pannelli informativi e riproduzioni in scala che illustrano proprio alcuni degli aspetti del mondo vegetale che producono un piccolo rovesciamento di prospettiva. Uno scarto prospettico che è presente già, a partire dall’organizzazione dell’esposizione, che non segue un criterio tassonomico ma uno morfologico/biologico. 

Piante carnivore dai Tropici alle montagne

Abbiamo dunque cinque blocchi organizzati in funzione dell’aspetto e delle funzioni: le piante carnivore, quelle parassite, quelle dotate di movimenti sorprendenti, quelle ingannatrici e quelle dotate di armi e corazze. 

Per catturare piccoli insetti, le piante carnivore Drosera si affidano a trappole collose (Foto Francesco Tomasinelli)

 Si può partire da un piccolo esemplare di Nepenthes, una pianta carnivora lianosa dotata di grandi “vasi” che ha il suo habitat nel Sud Est asiatico. Particolari secrezioni attirano le vittime, che cadono sul fondo e non riescono a risalire, a causa di un liquido vischioso su cui le zampe degli insetti non hanno presa, e che vengono poi rapidamente digerite. Le Nepenthes più grandi possono contenere fino a due litri di liquido e in alcuni casi hanno digerito anche piccoli vertebrati come topi e lucertole. 

Le piante carnivore, tuttavia, non si trovano solo nelle zone tropicali ma diverse specie crescono anche nelle torbiere e nelle zone umide delle montagne italiane. La Drosera rotundifolia – la più nota, dotata di foglie ricoperte di lunghi peduncoli rossi, rivestiti di una sostanza adesiva è  in grado di immobilizzare anche piccoli ragni e cavallette – e la Pinguicula,  invece adopera foglie collose e ghiandolari per le sue prede, come le zanzare. I fiori, piccoli e delicati, sono tipici dell’inizio dell’estate ma sono collocati una decina di centimetri sopra la trappola per non fare vittime tra gli insetti impollinatori.

Una  Dionaea muscipula che ha appena catturato una mosca grazie a foglie modificate, capaci di chiudersi rapidamente sull’insetto (foto di Francesco Tomasinelli)

Se pensiamo a quante volte i nostri tentativi di colpire una mosca possono andare a vuoto, abbiamo un’idea della rapidità con cui la Dionaea muscipula, originaria del Sud degli Stati Uniti, catturi la sua preda. La mosca viene attirata da una secrezione zuccherina sulle foglie, che si chiudono di scatto quando i peli ultrasensibili della pianta vengono toccati dall’insetto. Inoltre, è dotata anche di un meccanismo di prevenzione dei falsi allarmi: la trappola scatta solo se almeno due peli vengono contattati nell’arco di venti secondi. 

Piante parassite di altri vegetali. Per cooperare o uccidere

Per quanto riguarda il fenomeno del parassitismo, alcune piante hanno bisogno di altre piante dalle quali ottengono il nutrimento necessario per crescere e riprodursi. Alcuni portano addirittura alla morte della pianta aggredita. 

È il caso del fico strangolatore che inizialmente appare come una pianta cresciuta fra i rami di un albero della foresta tropicale. Il ciclo si compie in 15-20 anni: le radici cercano il terreno, “abbracciando” l’albero ospite come i tentacoli di un polpo, e contemporaneamente il tronco si spinge verso l’alto, sottraendo luce all’albero ospite. Una volta raggiunta l’autosufficienza l’albero ospite viene privato di tutto e si decompone rapidamente, lasciando solo uno spazio cilindrico vuoto tra le spine del fico.

L’esemplare di Myrmecodia tuberosa rappresenta invece un modello di simbiosi mutualistica ben collaudato: vive aggrappata alla corteccia degli alberi delle foreste pluviali e non può recuperare gli alimenti di cui ha bisogno nel terreno. A nutrirla sono le formiche che vivono all’interno dei fusti ingrossati. Dunque la pianta fornisce agli imenotteri alloggio e questi ultimi difendono la pianta dagli erbivori e forniscono nutrienti con i propri scarti.

Anche le piante possono spostarsi

La mostra ha anche modo di spiegare uno dei “problemi” che la fissità delle piante pone nel mondo vegetale: la sopravvivenza delle diverse specie aumenta con l’allontanarsi del seme dalla pianta madre. Nel mondo vegetale si sono così raffinati diversi metodi per una “dispersione” di successo dei semi . I semi delle Dipterocarpaceae, una famiglia di alberi delle foreste tropicali asiatiche, hanno un’ala rotante, molto simile al rotore di un elicottero, per frenare la caduta e arrivare lontano grazie al vento. Con un esempio più vicino a noi, i semi del tarassaco sfruttano un piccolo paracadute. 

I semi di una liana del Sud Est asiatico, l’Alsomitra macrocarpa, hanno invece un’ampia membrana che fornisce una superficie alare di circa 15 cm consentendo di spostarsi per lunghe distanze. 

L’aria è solo una delle modalità di spostamento: alcuni semi sono costituiti in modo da galleggiare e spostarsi tramite l’acqua, altri vengono trasportati dagli animali: alcuni sono fatti in modo da impigliarsi su pelliccia e zampe, altri sono semi o frutti carnosi come noci e pinoli che possono essere ingeriti e poi espulsi molto più lontano. 

La coevoluzione tra animali e piante ha dunque garantito efficaci sistemi di trasporto per i semi.

La Mimosa pudica (©wikipedia)

Le piante non si muovono però solo attraverso i loro semi o per intrappolare le loro prede.

La controversa disciplina della “neurobiologia vegetale” si occupa di studiare come le piante superiori siano in grado di inviare e ricevere segnali dal mondo esterno. Di sicuro esiste un fenomeno chiamato tigmonastia, cioè il movimento rapido e scattante di una pianta in risposta a un tocco esterno. La Mimosa pudica, ad esempio, risponde agli stimoli tattili e chiude velocemente le sue foglie quando la si tocca. La velocità con cui un impulso passa da una foglia a un’altra è di circa 10mm al secondo e il passaggio avviene attraverso impulsi elettrici, anche se non sono presenti fibre nervose come quelle degli animali.

Sono poi definite piante ingannatrici quelle che si sono evolute sviluppando strutture che, per la loro somiglianza con altre, sono in grado di ingannare insetti e piccoli vertebrati. Nell’Africa meridionale vivono ad esempio i Lithops, che imitano le forme e il colore dei sassi, sollevandosi appena dal terreno per passare inosservate agli erbivori. 

Le piante, infine, si dotano di spine, aculei e setole per tenere lontani i predatori e ridurre la traspirazione, come i cactus dei grandi deserti. Sono diverse le specie esposte, accomunate dal fatto che la sostituzione delle foglie con le spine porta il fusto capace di svolgere la fotosintesi. Le costolature funzionano come alette di raffreddamento, mentre la peluria serve a riflettere la luce e a ridurre la temperatura a livello di superficie.

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