Il governo dei cambiamenti climatici non può avvenire per via giudiziaria. Il convegno dell’Università di Ferrara affronta i profili costituzionali e amministrativi I rapporti fra i poteri dello stato stressati dalle cause climatiche

Il governo dei cambiamenti climatici non può avvenire per via giudiziaria. Il convegno dell’Università di Ferrara affronta i profili costituzionali e amministrativi

I rapporti fra i poteri dello stato stressati dalle cause climatiche

“La via giudiziaria alla tutela dell’ambiente svolge una funzione di supplenza alla mancanza di intervento e di decisioni politiche degli altri due poteri, Non deve essere così: nella tutela dei diritti alla vita e alla salvaguardia dell’ambiente Il ruolo del giudice è quello di garante.” Margherita Ramajoli, docente di diritto amministrativo all’Università di Milano, inquadra così la situazione, invero molto complessa, che si è venuta a creare in questi ultimi anni con l’esplosione numerica dei casi di “cause climatiche”. La situazione è stata affrontata nel corso del Convegno “Il governo dei cambiamenti climatici: profili costituzionali ed amministrativi”  organizzato recentemente presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Ferrara da Marco Magri, docente di diritto ambientale.

Margherita Ramajoli, docente di diritto amministrativo all’Università di Milano (©festivaleconomia.it)

Un aspetto fondamentale della complessità del  problema è il fatto che il contenzioso climatico abbraccia tutte le discipline giuridiche, dal diritto costituzionale a quello amministrativo e una pluralità di diversi soggetti  pubblici e privati: organi dello stato, amministrazioni, imprese, fino alle istituzioni finanziarie a singoli manager.

Marco Magri, docente di Diritto amministrativo presso l’Università di Ferrara (©giustiziainsieme.it)

Inoltre, come ha indicato Vittorio Angiolini, docente di diritto costituzionale all’Università di Milano, “ambiente” è un termine recente nella giurisprudenza, e  non  c’è nella nostra Costituzione del ‘48. Esso fa la sua comparsa nel campo del diritto amministrativo negli anni Settanta nell’ambito del rapporto fra Stato e Regioni e successivamente, negli anni Ottanta, come “bene” comune  nel diritto civile.

Vittorio Angiolini, docente di diritto costituzionale all’Università di Milano (©migrazioni.crc.unimi.it)

Bisogna poi aspettare anni molto recenti,  il 2022, quando il  Parlamento approva definitivamente  il disegno di legge che prevede la modifica di due articoli della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente: l’art. 9 e l’art. 41. L’articolo 9 allarga la precedente tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico all’ambiente, alla biodiversità, agli ecosistemi e agli animali, “anche nell’interesse delle future generazioni”, tema, quest’ultimo, al centro di moltissime cause a livello internazionale. La modifica all’articolo 41, invece, sancisce che la salute e l’ambiente sono paradigmi da tutelare da parte dell’economia, al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana.

Molte cause, molto diverse fra loro e non c’è un diritto onnicomprensivo

Negli ultimi anni si è assistito all’esplosione del numero climate litigation, che sono più che raddoppiate dal 2015. Attualmente sono in corso più di 2500 in oltre 55 Paesi.

L’aumento del contenzioso, e su questo punto crediamo sia necessaria grande attenzione, va di pari passo con la difficoltà ad arginare il cambiamento climatico e i danni che esso procura.

È come se “alla mancanza di intervento e di decisioni politiche degli altri due poteri” segnalata dal Ramajoli, ai cittadini non resti che riversarsi nelle aule dei tribunali sperando di trovare lì quel “legislatore occulto” che Magri evocava analizzando per Agenda17 il significato di “giustizia ambientale”. 

“Una delle conseguenze di questa radicalizzazione del senso di appartenenza a un’epoca emergenziale, dominata dalla sensazione di trovarsi a un punto di non ritorno e di dover giocare al meglio le ultime chanceargomentativa il giurista Unife -,  è stata, inevitabilmente, la pressione sul giudiziario: la ricerca di sentenze epocali, ‘millenaristiche’, che le Corti hanno in parte – forse meno di quanto sembra, ma senza dubbio – contribuito a incoraggiare. “

Sono cause della più diversa natura, e anche se gli effetti derivanti dalle varie sentenze possono sembrare analoghi, diversi sono però i soggetti riconosciuti come legittimati a proporre la tutela di diritti siano essi individuali o collettivi, come associazioni ambientaliste, e molto diverse sono le motivazioni delle sentenze.

“Per l’ambiente, non c’è un diritto onnicomprensivo – secondo  Marcello Cecchetti, docente di diritto costituzionale dell’ambiente presso l’Università di Sassari-. servono decisioni politiche e amministrative che poggiano necessariamente su basi scientifiche. Ma i saperi scientifici sono estremamente complessi e variano nel tempo. “ 

Marcello Cecchetti, docente di diritto costituzionale dell’ambiente presso l’Università di Sassari

Proprio la certezza del sapere scientifico e la stabilità nel tempo, invece di essere un punto di “ancoraggio” per la certezza del diritto e per l’azione amministrativa, sono un’ ulteriore problema, anche nel rapporto fra poteri. 

Ad esempio, sottolinea Cecchetti, la politica ambientale non si può fare nell’arco dei pochi anni di un mandato, perché l’effetto delle scelte si manifesta nel lungo periodo, e gli effetti benefici sull’ambiente generale che si conseguono ad esempio con impianti di energie rinnovabili come le pale eoliche possono comportare problemi nel breve periodo nel territorio in cui vengono installate. Si tratta di scelte politiche che potrebbero prevedere, ad esempio, compensazioni per i territori in cui si installano gli impianti. Il compito del giudice, chiamato in causa dall’azione soggettiva di chi ad esempio si oppone all’impianto, dovrebbe essere quello di valutare la congruità   della decisione politica e amministrativa con gli elementi scientifici disponibili e con le norme vigenti tenendo conto del contesto generale.

Principi scientifici ed economici instabili

Ma anche sull’aspetto scientifico ed economico rispetto ai quali valutare da parte del giudice la congruità delle decisioni politiche e amministrative i problemi non mancano. 

Come è emerso nel corso del dibattito, a parte l’ acquisizione di fondo sull’origine antropica del cambiamento climatico e sulle sue conseguenze,  su moltissimi aspetti non c’è un “oggettività” scientifica garantita da un apparato scientifico precisamente identificato a livello istituzionale. Anche il legislatore deve portare a una sintesi  ardua discipline scientifiche numerose e con approcci diversi e fra loro lontani per quanto riguarda la valutazione dell’impatto dei fenomeni osservati sull’ambiente . 

L’ideale sarebbe essere sicuri che il soggetto a cui ci si rivolge è l’espressione univoca della comunità scientifica verificata da pari. Ma oggi la scienza non ci dice cosa dobbiamo fare, come intervenire quando superiamo i limiti che gli studi scientifici stessi hanno indicato. La scienza non ci dà soluzioni, ci “mette sul tavolo” delle scelte, che la politica deve fare, con il risultato di scontentare sempre qualcuno.

Analoga incertezza, in un certo senso, è quella sugli aspetti economici, di cui sì è occupata in particolare Lavinia Del Corona, docente di diritto amministrativo e dell’ambiente all’Università di Milano, affrontando  la normativa complessa e in fieri in particolare dell’Unione europea, ad esempio sulla tassazione di frontiera ai prodotti che non rispettano le norme comunitarie sui contenimento della CO2. 

Lavinia Del Corona, docente di diritto amministrativo e dell’ambiente all’Università di Milano (©.lecostituzionaliste.it)

A questo proposito, Angiolini ha osservato che l’Ue oscilla fra una concezione “primitiva” della libera concorrenza (assenza di vincoli pubblici) e una più attuale, secondo la quale la concorrenza può essere “orientata” senza ledere i diritti dei soggetti. E a proposito del tanto discusso principio del “chi inquina paga”, avverte che questo non può significare “poiché pago posso inquinare”.

Dunque, le cause climatiche sono motivo di uno stress inconcludente nel rapporto fra i poteri dello stato? Non proprio; un effetto positivo comunque c’è, segnala Ramajoli, perché il contenzioso climatico diventa uno stimolo a definire obblighi e responsabilità. 

Da questo punto di vista, come ha osservato Magri nel suo intervento, è anche possibile che l’obiettivo climatico diventi, nei prossimi anni, oggetto di nuove discipline e di strumenti di amministrazione pubblica diretta, rafforzata rispetto ai modelli di incentivazione economica previsti dalle attuali normative di adattamento agli Accordi di Parigi.

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