In Italia il primato per Pil di montagna grazie ad artigianato e turismo. Ma gli abitanti se ne vanno Investire nella sicurezza del territorio e contro il cambiamento climatico

In Italia il primato per Pil di montagna grazie ad artigianato e turismo. Ma gli abitanti se ne vanno

Investire nella sicurezza del territorio e contro il cambiamento climatico

L’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) riconosce i territori montani come risorsa globale ed essenziale per l’umanità e il Pianeta. Oltre al fondamentale ruolo a livello ambientale, climatico e culturale, hanno un peso sempre maggiore anche nel settore economico. E, nell’Unione europea (Ue), è l’Italia il primo Paese per Prodotto interno lordo (Pil) generato in aree montane con oltre un quarto (27,7%) del totale europeo prodotto in esse. 

L’artigianato tra i settori trainanti (ⓒEnte parco nazionale delle Dolomiti bellunesi)

Pur essendo il quinto Paese per quota di superficie montana con il 66% del territorio montano, due volte rispetto alla media Ue (32,6%), l’Italia vanta il primato per Pil in essa generato: si tratta di più del doppio della percentuale di Pil che il nostro Paese rappresenta (12,4%) sul Pil totale europeo. 

Sono i dati recentemente rilasciati da Confartigianato: qual è allora la situazione complessiva dell’economia dei territori di montagna nel nostro Paese?

Punti di forza sono artigianato e turismo, soprattutto invernale

Nel territorio montano italiano ci sono 552mila unità locali delle imprese, in cui lavorano 1,8 milioni di addetti. Spiccano le imprese artigiane, con 117mila realtà dislocate soprattutto al Nord. Inoltre, un settore cruciale per queste aree rimane il turismo, con un quinto delle presenze turistiche (21,8%) nel territorio nazionale. In particolare, lo scorso inverno si è registrato un aumento dell’8,2% rispetto al +5,2% della media europea.

(ⓒconfartigianato)

Dal 2021 al 2023 l’occupazione in questi territori è quindi cresciuta del 4,1%, soprattutto nel settore manifatturiero del Nord-Est (+8,7%) e del Mezzogiorno (+5,4%). Nonostante ciò, tuttavia, nelle tredici Regioni a prevalenza montana permane una difficoltà a reperire la metà della manodopera necessaria (50,4%).

Intervenire su spopolamento, infrastrutture e gestione dei rischi climatici

A incidere su questi dati è purtroppo lo spopolamento: in dieci anni gli abitanti sono diminuiti di quasi 400mila unità (-386.055 dal 2013, pari al -5,1%). I comuni montani perdono, in proporzione con il resto dell’Italia, oltre il doppio della popolazione rispetto a quella residente, e costituiscono un terzo (30%) del calo totale nazionale, a fronte di un 12,1% di peso che tali Comuni hanno sulla popolazione totale. Solo Trentino Alto Adige è in controtendenza. 

Eppure, esempi virtuosi di gestione del territorio che hanno favorito il ritorno della popolazione nelle aree marginali ci sono, a partire dal caso di Ostana.

Nonostante i dati economici positivi, dunque, le aree di montagna richiedono investimenti e prospettive di lungo termine per affrontare il cambiamento climatico che qui sta registrando impatti maggiori. Basti pensare che le imprese di montagna soffrono maggiori difficoltà nell’accesso alle infrastrutture di trasporto impiegando in media il 62,7% di tempo in più per accedere ad autostrade, stazioni ferroviarie, porti e aeroporti.

Infine, oltre un quarto delle imprese è a rischio frane (26,4%, quattro volte in più rispetto al 6% dei territori non montani) e il 5,1% a rischio alluvione (contro il 4,6% dei comuni non montani): dati che confermano ulteriormente la necessità di superare l’accanimento terapeutico per la monocultura dello sci, che ancora caratterizza il nostro piano per il clima, e pensare a una gestione di questi territori consapevole e sostenibile per l’ambiente, le comunità e il loro sviluppo economico.

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