Secondo l’ultimo report di Oil Change International, che ha analizzato otto grandi compagnie petrolifere a livello mondiale, nessuna di esse sta rispettando gli accordi per l’eliminazione dei combustibili fossili: anzi, loro da sole sono sulla buona strada per usare il 30% del nostro rimanente budget di carbonio per limitare il riscaldamento a 1.5°C previsto dagli accordi di Parigi.
Queste aziende intendono affidarsi a metodi come la cattura e lo stoccaggio di carbonio (CCS, Carbon Capture and Storage), alle compensazioni e/o altre soluzioni che, in realtà, “ritardano e distraggono dalla fine dei combustibili fossili” oltre a prolungare l’impatto dell’energia fossile sulla salute e la sicurezza delle comunità.
La soluzione dello stoccaggio e delle quote è fortemente osteggiata e al centro di dibattito
Il problema dello stoccaggio come possibile soluzione è da tempo al centro di un’accesa controversia. Secondo il gruppo di ricerca indipendente Climate Action Tracker (CAT), anche le politiche dei Paesi che hanno aderito agli impegni di riduzione delle emissioni NDC (Nationally Determined Contributions) non sono allineate agli accordi presi: si prevede infatti che porteranno a un riscaldamento globale di 2.5 °C, anche a causa di false soluzioni che puntano a stoccaggio della CO2 e all’uso dei crediti di carbonio anziché a un’effettiva riduzione delle emissioni.
Se consideriamo inoltre i Paesi che non hanno preso tali impegni, il riscaldamento globale raggiungerà il livello di 2.7°C. Come si evince dal seguente grafico, anche intraprendendo da subito un’azione decisa si potrebbe ormai solo limitare il riscaldamento a 2.1 °C o, nello scenario più ottimistico, a 1.8 °C, valore comunque lontano dagli accordi di Parigi.
Nella realtà, dunque, denunciano molti ricercatori e associazioni ambientaliste, esiste un grande divario tra gli obiettivi che i Governi si sono dati e le reali azioni intraprese; inoltre la fase finale dei combustibili fossili sposta sempre più l’attenzione su false soluzioni, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio.
Il Piano climatico europeo punta anche su stoccaggio di CO2 e quote di emissione
Non la pensa così l’Unione europea (Ue), che vuole aggiornare il piano NDC, con l’impegno per una riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040.
Per raggiungere questo traguardo, però, la Commissione presenterà, dopo le elezioni, una proposta legislativa per realizzare una capacità di stoccaggio di almeno 50 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, insieme alle relative infrastrutture di trasporto costituite da gasdotti, navi, ferrovie e strade.
La proposta rientra in un pacchetto molto più ampio, che prevede anche l’aumento dei pozzi naturali di assorbimento per la rimozione del carbonio e la riduzione delle emissioni in un’ampia gamma di settori attraverso un meccanismo di finanza climatica. Il nuovo sistema di scambio quote (ETS2) coprirà le emissioni dovute agli edifici, ai trasporti e agli ambiti non coperti dal primo sistema di quote, riguardante l’industria e l‘aviazione.
Le quote di emissione saranno messe all’asta e una parte di queste alimenterà il Fondo sociale per il clima (Social Climate Fund, SCF) per offrire un contributo ai cittadini e alle piccole imprese maggiormente colpiti dall’impatto delle quote sui prezzi. Saranno inoltre intraprese azioni di sostegno alle infrastrutture di trasporto della CO2, ai collegamenti fra reti energetiche e ai progetti energetici transfrontalieri attraverso un meccanismo di finanziamento detto Connecting Europe Facility fund (CEF).
Entro il 2040 la catena di valore regionale del carbonio dovrebbe diventare economicamente redditizia e la CO2 un bene commerciabile per lo stoccaggio e l’uso nel mercato unico europeo. Successivamente, il carbonio biogenico o atmosferico dovrebbe diventare la fonte principale per i processi industriali e i carburanti secondo lo schema sopra riportato.
Rete di stoccaggio e hub di Ravenna, record nel Mediterraneo
Lo studio del Polo scientifico di ricerca dell’Ue ha infatti identificato circa 100-120 potenziali cluster di cattura della CO2 e 100 siti di stoccaggio in tutta Europa. La rete transeuropea più ambiziosa in termini di capacità di stoccaggio e costi di trasporto è quella sotto riportata ed evidenzia l’importanza dello stoccaggio nel Mare del Nord.
Per l’Italia, il sito di Ravenna sarà uno dei più grandi al Mondo e il principale del Mediterraneo: consentirà di estrarre la CO2 dai camini industriali di Ravenna e Ferrara e dall’area francese di Fos-Marseille, spedirla in pressione verso i giacimenti esausti dell’Eni nell’Adriatico e iniettarla. Si tratta del progetto Callisto di Eni e Snam, ammesso alla lista dei Progetti di interesse comune PCI per accedere ai finanziamenti a fondo perduto del CEF.
Le false soluzioni secondo il CAT. L’Alta Corte UK boccia il piano del Governo
Secondo il CAT si tratta appunto di false soluzioni: i Paesi non dovrebbero fare affidamento sulla rimozione del carbonio per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette poiché le tecnologie CCS, che aggiungono la cattura e lo stoccaggio del carbonio alle operazioni di estrazione di combustibili fossili alle centrali elettriche alimentate a carbone o gas fossile, non funzionano né tecnologicamente né commercialmente e non su larga scala.
L’utilizzo dei crediti di carbonio per compensare le emissioni nazionali e raggiungere gli obiettivi NDC porterebbe infatti a un ritardo nella riduzione delle emissioni dei Paesi e aumenterebbe il divario nel raggiungere il target.
Intanto, nel Regno Unito il 3 maggio l’Alta Corte di giustizia, per la seconda volta (la prima nel luglio 2022), ha dichiarato illegittimo il piano del Governo per la riduzione del carbonio su ricorso di tre associazioni ambientaliste perché si basa su tecnologie ad alto rischio e non provate, come lo stoccaggio della CO2.