Ravenna, già terra di conquista del settore fossile da decenni, oggi si appresta a ricevere la nave BW Singapore, il gigantesco rigassificatore galleggiante al largo della spiaggia di Punta Marina. È una nave di grandissime dimensioni, trecento metri di lunghezza e un’altezza pari a un palazzo di otto-dieci piani.
In un certo senso si può dire che si tratta della nave “gemella” di quella (la Golar Thundra) arrivata a Piombino nel 2023. Riceverà ogni anno decine di navi gasiere (si parla di una gasiera la settimana), provenienti da luoghi molto lontani, dagli Stati Uniti, al Mozambico, al Quatar e molti altri, che quindi dovranno compiere viaggi di migliaia e migliaia di chilometri emettendo dosi stratosferiche di anidride carbonica e gas inquinanti.
Pericoli e inquinamento del rigassificatore
Tali navi gasiere trasporteranno quantità variabili (fino a centocinquanta-duecentomila metri cubi) di gas liquefatto, ottenuto raffreddando a meno 162 gradi il metano estratto nei luoghi d’origine con tecniche diverse, in particolare quella del fracking, la devastante fatturazione di rocce e terreni che lascia danni indelebili nei territori.
Il processo di raffreddamento comporta ovviamente un notevole dispendio di energia e ulteriori emissioni. Il gas liquefatto, una volta giunto a destinazione, verrà affidato al rigassificatore che avrà, nel caso di Ravenna, una capacità annuale di rigassificazione per un totale di cinque miliardi di metri cubi.
È un’opera che comporterà pericoli correlati al significativo potenziale esplodente e alla infiammabilità del gas naturale.
È impressionante il caso di Piombino, dove il rigassificatore è stato collocato all’interno del porto, a poca distanza da zone abitate e frequentate, ma anche nel caso di Ravenna la distanza dalla linea di costa (8,5 chilometri) rende lecito avere preoccupazioni, se si pensa – per esempio – che all’impianto di Livorno, progettato oltre venti anni fa, venne imposta una distanza dalla costa di 23 chilometri, e un’ampia area di interdizione attorno alla struttura.
Comporterà verosimilmente un peggioramento della già compromessa qualità dell’aria, dal momento che le emissioni dei rigassificatori sono significative e che le fughe di metano libero in atmosfera hanno un potere climalterante decine di volte superiore a quello della stessa CO2.
Vedremo un sicuro impatto grave sull’ambiente marino, dovuto all’importante raffreddamento dell’acqua marina e alle tonnellate di cloro (necessario per la pulizia degli impianti di riscaldamento del gas liquefatto) che verranno riversate in mare, e ai frequenti dragaggi dei fondali che si renderanno necessari per garantire l’ottimale galleggiamento della struttura.
A ciò si aggiunga la necessità di costruire una diga in calcestruzzo di quasi un chilometro a protezione della nave dalle eventuali tempeste, nonché un impianto di riscaldamento attivo necessario per i mesi invernali, quando la temperatura del mare non sarà adeguata a rigassificare il metano liquido. E moltiplichiamo tutto ciò per il grande numero di rigassificatori progettati per tutto il Paese.
Ma quello dei rigassificatori, e in generale della filiera del gas liquefatto (che comporta anche depositi, già esistenti a Ravenna e in molti altri siti, trasporto tramite mezzi via terra, eccetera) è solo uno degli aspetti dell’aggressione fossile cui stiamo assistendo.
Il mega-gasdotto della Linea Adriatica: un progetto datato e pericoloso a cui si oppongono i comitati
Ancora non tutte/i sanno (perché la popolazione, come si usa troppo spesso, viene messa davanti ai fatti compiuti) che nel ravennate stanno iniziando i cantieri per l’arrivo del mega-gasdotto della Linea Adriatica, una sorta di super-autostrada del gas, ospitante un tubo di diametro di un metro e venti, che necessita di una fascia di territorio della larghezza di quaranta metri, proveniente da sud e attualmente ferma a Sulmona, dove la tenace opposizione dei comitati sta contrastando l’avanzata di questa realizzazione, che attraverserà Marche, Toscana, Umbria e Romagna (per poi penetrare in profondità nel bolognese e giungere a Minerbio), con abbattimento di milioni di alberi, sfregio di zone di alto pregio archeologico e naturalistico, espropri di innumerevoli zone agricole, rischio collegato alla alta sismicità delle zone attraversate e alle innumerevoli frane (tragicamente evidenziato dall’alluvione del 2023, dopo la quale sono state censite nel territorio regionale emiliano-romagnolo 80.000 frane).
È un’opera progettata molti anni fa, quando sembrava che il consumo nazionale di gas dovesse progressivamente crescere in maniera inarrestabile, mentre in realtà, per tanti motivi, da alcuni anni sta consistentemente diminuendo e continuerà inevitabilmente a diminuire. Le valutazioni di impatto ambientale, emesse soltanto per i vari “pezzi”, risalgono a molti anni addietro, e soprattutto manca una valutazione riguardante l’intera opera.
Trivellazioni in Adriatico: subsidenza e problematico stoccaggio della CO2
Inoltre si disserta di potenziare le trivellazioni per l’estrazione del gas “nazionale”, autorizzando la perforazione anche in vicinanza delle coste, con aggravio del danno marino e del processo di subsidenza, che tanto male ha già fatto ai territori della Romagna e soprattutto del Polesine, dove in alcuni decenni la superficie del suolo si è abbassata di diversi metri.
E poi si continua a proporre l’imbroglio degli impianti di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, una modalità che in quasi tutto il mondo si è dimostrata costosissima, deludente, e spesso nociva (in alcuni casi le emissioni prodotte sono state superiori a quelle sottratte all’atmosfera), e che in definitiva sembrano essere modalità per legare per sempre il nostro sviluppo e il nostro modello energetico alla dittatura del fossile.