Contributi al dialogo – Fonti fossili. Il piano inclinato della crisi ambientale, e le lotte che fioriscono

Contributi al dialogo – Fonti fossili. Il piano inclinato della crisi ambientale, e le lotte che fioriscono

La  questione dell’utilizzo delle energie fossili è sempre al centro del dibattito sui cambiamenti climatici. Se da un lato la buona notizia è che il contributo delle rinnovabili si sta avvicinando a quello delle fonti fossili, dall’altro, la situazione dell’aumento delle temperature è talmente grave da sembrare fuori controllo addirittura da parte degli scienziati.

Pubblichiamo il commento che ci ha inviato Pippo Tadolini, del Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”.


I movimenti ambientalisti e la quasi totalità del mondo della scienza, che da decenni denunciano le distorsioni di un modello economico, ecologico e sociale totalmente da rivedere, a seguito degli eventi che hanno colpito la Romagna nel maggio del 2023 hanno ricevuto l’attenzione dell’opinione pubblica, degli organi dì informazione e degli attori istituzionali, spesso più per essere accusati di sciacallaggio e  addirittura per avere delle presunte responsabilità negli accadimenti funesti di quei giorni (in quanto, incredibile dictu,  avrebbero svolto un ruolo di contrasto alle opere di manutenzione dei corsi d’acqua), che non per ricevere il riconoscimento della veridicità e fondatezza di denunce e segnalazioni.

Oggi, a distanza di dodici mesi, nelle esternazioni di vari personaggi pubblici, le dichiarazioni procedono in modalità “parlare bene e razzolare male”. Infatti, va avanti senza grandi ripensamenti lo stesso ben noto ritmo di consumo di suolo, coinvolgendo anche zone che durante l’alluvione hanno gravemente sofferto, e senza sosta si continuano a “pulire” i corsi d’acqua rapandone a zero la vegetazione per renderli il più possibile simili a tubi rigidi, come se un fiume fosse un canale di scolo e non un ecosistema pieno di vita (o così dovrebbe essere).

Certo, non stiamo parlando solo della Romagna, e nemmeno dell’intera Pianura Padana, ma di enormi macroregioni e complessivamente di tutto il Pianeta. 

Non cala l’inquinamento dovuto alle fonti fossili

Secondo il Global Carbon Budget 2023, elaborato dall’ Università di Exeter nel Regno Unito, quest’anno le emissioni di CO2 sono aumentate dell’ 1,1% rispetto al 2022 e dell’ 1,4% sul 2019, anno di pre-pandemia. Una realtà di fatto: a quasi dieci anni dalla Cop 21 di Parigi, che pareva aver stabilito parametri e prescrizioni tassative, dobbiamo constatare che l’inquinamento legato al consumo delle fonti fossili non riusciamo a tagliarlo significativamente.

E per altro, passati (passati ?) gli “anni del Covid”, l’aggressione dei fenomeni di siccità assai gravi, e l’esplodere vicino a noi delle guerre, eventi che – sbagliando -consideravamo in qualche modo lontane, hanno provocato un rallentamento esiziale sia al necessario percorso di fuoriuscita dal fossile che a quello di una più larga diffusione delle rinnovabili. Invocando ancora una volta la “crisi energetica”, si è schiacciato il piede sull’acceleratore di tante nuove e più aggressive realizzazioni nel campo delle energie fossili.

Se poi a ciò aggiungiamo altri importanti fenomeni, come per esempio l’andamento dei processi di deforestazione in diverse aree del Pianeta (vedasi ad esempio la strada, a dir poco deludente, intrapresa dal Governo brasiliano del Presidente Lula rispetto a quanto proclamato in campagna elettorale e all’atto dell’insediamento, ma anche le mattanze di alberi che vengono effettuate nelle nostre zone per far posto a nuove cementificazioni), abbiamo il conto di come il 2023 sia stato un annus horribilis per quanto riguarda le emissioni in atmosfera. 

Considerando la sola anidride carbonica (che – ricordiamolo – è si una delle cause principali dei problemi, però è prevalentemente un indicatore di come vanno più complessivamente le cose), abbiamo immesso una quantità di questo gas pari a 42 miliardi (quarantadue miliardi !) di tonnellate, raggiungendo il record di 419,3 parti per milione di CO2 in atmosfera, vale a dire il raddoppio rispetto ai livelli dai quali si iniziò a farne valutazioni. Ricordiamocelo: sono livelli dai quali non si torna indietro !

In ritardo sulle scelte, in anticipo sulla catastrofe

In definitiva, con il bilancio dell’anno terminato sei mesi fa, la Terra è sicuramente destinata a superare la soglia di 1,5°C più o meno nel 2030, anziché verso la fine del secolo, come si pensava fino a pochi anni addietro. Così, in ritardo di decenni nella presa di coscienza delle scelte da fare, siamo in anticipo di decenni sugli scenari più drammatici del modello di sviluppo che abbiamo costruito e che subiamo. Le conseguenze sono in parte prevedibili e previste, in parte ci saranno altre “sorprese” (sicuramente in prevalenza spiacevoli) come l’entità dei fenomeni alluvionali del 2023.

A tutti i livelli, ahinoi, il negazionismo, la sottovalutazione e l’egoismo generalizzato e istituzionalizzato dettato dal profitto sono duri a morire. Da più parti, e con vigore crescente negli ultimi dodici mesi, le – in realtà blande ! – misure auspicate dal “fu” green deal europeo, vengono etichettate come “follia ecologista” da contrastare a tutti i costi. Il green deal, anche se timidamente e non senza contraddizioni, sembrava indicare una direzione di marcia, ma più recentemente questo percorso è stato completamente stravolto in favore della vecchia e distruttiva concezione del rapporto fra essere umano ed ambiente.

La scienza continua caparbiamente a lanciare i suoi appelli, ribadendo come le emissioni collegate all’utilizzo delle fonti fossili siano il principale elemento responsabile della catastrofe in atto e di quella – peggiore – che verrà. 

In questo panorama di ignavia o di aperta connivenza delle Istituzioni e della Politica con gli interessi di profitto dei colossi del fossile, quella della presa di parola della società civile e delle opinioni pubbliche rimane la sola strada che non ci è preclusa. 

Dopo gli “anni del Covid”, che avevano gravemente azzoppato l’iniziativa di movimenti sociali in ogni dove, oggi vediamo (e vedremmo ancora meglio se il sistema dell’informazione facesse realmente il suo dovere !) le strade e le piazze del Mondo intero animarsi simultaneamente di appuntamenti costruiti dal basso, che rivendicano una svolta non più rimandabile. Un panorama di mobilitazioni per nulla scontato , nemmeno pensabile due o tre anni orsono, e contro il quale (guarda caso, verrebbe da dire) si intensificano pressoché ad ogni livello i comportamenti repressivi dei pubblici poteri. Il garante per il diritto alla libertà di espressione delle Nazioni Unite ha rilevato come i movimenti ecologisti siano quelli i cui esponenti sono a maggior rischio di repressione, persecuzioni, atti ostili, fino al rischio della vita.

Purtroppo il greenwashing quotidianamente sbandierato da imprese e governi nazionali e locali riesce troppo spesso a nascondere la sostanziale assenza di scelte alternative, o presentarle come qualcosa di secondario e comunque rinviabile, rispetto ad altre liste di problemi. Scelte che invece sono indispensabili, pena il trovarsi rapidamente in un vicolo senza più possibilità di uscita.

Il settore dell’energia – contrariamente a quanto proposto anche del tutto recentemente dal Governo in carica –  deve essere rapidamente sottratto all’ambito del profitto, e progressivamente riportato in quello dei beni comuni. Nello specifico, è necessaria una profonda riforma del mercato elettrico se si vuole costruire un panorama in cui il dominio dell’estrattivismo sia progressivamente più contenuto. Ma perché ciò possa avverarsi, è necessario che sempre più persone e sempre più realtà della società civile si uniscano ai movimenti, esistenti e nascenti, nel rivendicare la moratoria su tutti i progetti legati al fossile, e l’avvio deciso di una politica delle rinnovabili, basata soprattutto sulla produzione diffusa e decentrata e su un controllo democratico, oggi totalmente inesistente.

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