Per educare alla pace servono partecipazione degli studenti, inclusione delle minoranze e riferimenti alla giustizia sociale e al colonialismo La didattica tradizionale non funziona perché è intrinsecamente violenta secondo Claudio Baraldi, sociologo presso Unimore

Per educare alla pace servono partecipazione degli studenti, inclusione delle minoranze e riferimenti alla giustizia sociale e al colonialismo

La didattica tradizionale non funziona perché è intrinsecamente violenta secondo Claudio Baraldi, sociologo presso Unimore

In che modo le teorie dell’educazione affrontano il tema della pace? E come introdurre l’educazione alla pace nelle scuole e promuovere così un approccio non violento e inclusivo delle minoranze e dei gruppi culturalmente svantaggiati? Ne parliamo con Claudio Baraldi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha presentato all’Università di Ferrara il tema “Articolazioni e problemi delle teorie dell’educazione alla pace.”

Il docente è stato ospite al secondo incontro del ciclo di seminari “Educare alla pace”, promossi dal Laboratorio per la pace e l’Ufficio di coordinamento delle politiche di inclusione dell’Università di Ferrara.

(ⓒunife.it)

Abbiamo dunque cercato di approfondire con lui il tema della pace nella comunicazione interculturale e nell’educazione scolastica, per capire quale dovrebbe essere l’approccio più adatto per educare alla pace soprattutto nel contesto odierno.

Come le teorie dell’educazione alla pace trattano la questione della diversità culturale e della tolleranza?

“Le cosiddette teorie critiche dell’educazione alla pace sostengono che le teorie più classiche non affrontano i temi delle minoranze e delle marginalità, in particolare nel Mondo non-occidentale (il cosiddetto Global South). Pertanto suggeriscono di introdurre i temi relativi a questi gruppi, con particolare riferimento alla giustizia sociale e agli effetti del colonialismo. 

Claudio Baraldi, docente di sociologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia (ⓒunimore.it)

Studi più specifici sul caso israeliano, ad esempio, si orientano al problema delle differenze di prospettive tra palestinesi ed ebrei israeliani. Non c’è invece grande sensibilità per le differenze culturali con riferimento ai migranti in quanto tali. Direi che il concetto di “tolleranza” non sia molto popolare perché evoca un approccio centrato su chi tollera piuttosto che sulla prospettiva delle minoranze e delle persone svantaggiate.” 

Quali sono i principali problemi o critiche che le teorie dell’educazione alla pace affrontano nel contesto della loro attuazione pratica?

“Come già accennato nella risposta precedente vi sono critiche interne, che riguardano la distinzione tra teorie Western e teorie che guardano alle minoranze a livello globale. Per quanto riguarda l’attuazione, c’è poca ricerca, ma una critica diffusa riguarda l’insegnamento tradizionale, che viene considerato strutturalmente e culturalmente violento (seguendo Galtung), per cui si ritiene che l’educazione alla pace debba essere realizzata attraverso una partecipazione più attiva degli studenti e una facilitazione di tale partecipazione. Per quanto riguarda l’Italia, una critica ovvia è che nelle scuole si fa pochissima educazione alla pace.” 

Come possono allora le scuole integrare l’educazione per la pace e la nonviolenza e quali sono i metodi e le strategie più efficaci per insegnarle? 

“Una condizione fondamentale è che l’educazione alla pace a scuola non sia realizzata attraverso una pratica di insegnamento tradizionale, perché è considerata violenta. La facilitazione, invece, è un modo di lavorare insieme agli studenti, promuovendone le capacità di scelta, in senso critico ma anche costruttivo, ossia l’agency.

L’inclusione dell’educazione alla pace nelle scuole richiede dunque un importante cambiamento culturale, ossia la capacità di distinguere tra ambiti di insegnamento e ambiti di facilitazione e di ridurre la pratica ‘violenta’ dell’insegnamento in senso generale, puntando sull’equità, la distribuzione della conoscenza e l’inclusione di minoranze e persone svantaggiate.”

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