Esplorare come la pianificazione urbana possa intervenire, immaginando e costruendo le condizioni per ridurre, se non addirittura invertire, la tendenza delle donne a sentirsi insicure nello spazio condiviso, è l’obiettivo di “Libere, non coraggiose”, l’ultima ricerca di “Sex & the City” pubblicata da LetteraVentidue. Nata nel 2020 come ricerca urbana sviluppata per Milano Urban Center (Comune di Milano), e poi consolidata in associazione di promozione sociale nel 2022, Sex & the City ha l’obiettivo di costruire un quadro capace di integrare la dimensione di genere nella riflessione sulla città.
La ricerca approfondisce il tema della paura che le donne e le soggettività queer percepiscono nell’attraversare gli spazi pubblici della città, soprattutto di sera e di notte. Lo scopo di questo studio, che deve moltissimo alle numerose ricerche condotte su scala internazionale negli ultimi quarant’anni e oltre, è indagare la natura di questa paura, le sue radici culturali e sociali, nonché le conseguenze sui comportamenti dei diversi soggetti coinvolti.
Sebbene i dati mostrino che le città italiane siano sempre più sicure e che i crimini commessi nello spazio pubblico colpiscano maggiormente gli uomini, le donne sperimentano un senso di insicurezza più pronunciato, specialmente di sera e di notte. Secondo il report Istat sulla percezione della sicurezza, il 36,6% delle persone di sesso femminile non esce di casa di sera e di notte perché ha paura, contro l’8,5% degli uomini.
La “geografia della paura” limita la libertà di utilizzo dello spazio pubblico delle donne
Questa discrepanza tra percezione e realtà contribuisce alla costruzione di quella che la geografa britannica Gill Valentine definisce una “geografia della paura delle donne”, che le spinge a utilizzare la città in modo diverso, creando tragitti considerati più sicuri. Tuttavia, queste deviazioni, evitamenti e cambi di percorso costituiscono una limitazione alla loro libertà di utilizzo dello spazio pubblico.
La paura avvertita dalle donne, in questo senso, non è tanto basata su un reale pericolo, ma è piuttosto il risultato dell’oppressione patriarcale che le relega alla sfera privata affinché si dedichino al lavoro domestico e di cura in forma non retribuita. Secondo questa prospettiva, le donne nello spazio pubblico, soprattutto di notte, sono percepite come “fuori luogo” e quindi vulnerabili all’appetito maschile, il quale può disporre dei loro corpi a proprio piacimento.
A ciò si aggiunge l’esperienza urbana delle persone razzializzate, che affrontano una doppia difficoltà: da un lato una maggiore vittimizzazione, spesso caratterizzata da discriminazione razziale, e dall’altro la costruzione mediatica dell’immagine dell’ “uomo nero” come il principale responsabile dei crimini nelle città. In questo contesto, i movimenti femministi e transfemministi hanno rappresentato e continuano a rappresentare un punto di riferimento cruciale nel dare voce alle soggettività oppresse, riempiendo le piazze per promuovere un cambiamento radicale.
In che modo quindi il progetto della città può contribuire a far sentire le donne più sicure? Attraverso quali elementi è possibile ripensare gli spazi che abitiamo e attraversiamo quotidianamente affinchè siano luoghi sicuri in cui le donne si sentano accolte?
Alcune pratiche internazionali, sviluppate a partire dagli anni Settanta e ancora attuali, sono specificamente orientate al tema delle città sicure. Tra queste, l’approccio CPTED (Crime Prevention Through Environmental Design) e la normativa CEN 14383-2 (rivolta alla pianificazione urbana “anticrimine”) forniscono linee guida pratiche per sostenere progetti urbanistici e di spazi pubblici in ambito europeo.
Inoltre, città come Vienna, Barcellona, Umeå, New York, Bologna e Genova hanno implementato politiche concrete su questo tema, offrendo importanti riferimenti metodologici e progettuali: la rete internazionale di professioniste della luce Women in Lighting ha condotto a Genova uno studio attento del piano della luce; Transform Transport, con il progetto Diamond a New York, ha utilizzato la mappatura digitale per valutare la fruibilità degli spazi pubblici per le donne; il Comune di Bologna sta adottando strumenti amministrativi e politiche pubbliche mirate per garantire un’effettiva inclusione di tutti i cittadini; Umeå, in Svezia, si è distinta per le azioni basate sul gender mainstreaming e per l’attenzione particolare rivolta alle vulnerabilità nei progetti e nelle politiche urbane.
Le camminate esplorative: dalla riappropriazione collettiva alla progettazione
Fra gli strumenti più utili per dare voce alle donne e alle soggettività non maschili, tradizionalmente escluse dalla pianificazione urbana, troviamo le camminate esplorative. Da Jane Jacobs ai movimenti femministi degli anni Settanta, fino alle iniziative condotte in collaborazione con le istituzioni pubbliche, il “camminare insieme” nelle zone più critiche delle città ha rappresentato e continua a rappresentare uno strumento prezioso.
Attraverso l’esperienza diretta, le donne affrontano la paura e l’insicurezza, e insieme immaginano soluzioni condivise. Il gesto di camminare insieme, infatti – sia declinato come manifestazione di rabbia con l’obiettivo di riappropriarsi collettivamente delle strade, sia come strumento progettuale sviluppato in collaborazione con le amministrazioni pubbliche – mira a un obiettivo comune: dare voce alle donne nella determinazione degli spazi a partire dalla propria esperienza quotidiana.
Per comprendere più precisamente questo fenomeno, è importante condurre ricerche a una scala minore, e in questo senso viene approfondita la città da cui origina questo lavoro: Milano è considerata sicura dalle donne che la abitano e la frequentano? Confrontando i dati di percezione con quelli relativi ai crimini effettivamente commessi nello spazio pubblico, emerge un paradosso percettivo. Milano viene dipinta dai media come una città dominata dal crimine, nonostante i dati (al netto delle mancate denunce che però riguardano entrambi i generi) dimostrino una situazione meno grave di quanto suggerito.
La paura a camminare da sole è più grave del crimine stesso
Il questionario diffuso nel 2023 dal progetto di ricerca Step Up. Walkability for Women in Milan ha infatti rilevato che a Milano la percezione di paura delle donne a camminare da sole nello spazio pubblico è significativamente maggiore di quella degli uomini, soprattutto la notte (57% vs 28%). Il 20% delle donne addirittura non esce di casa di sera e notte per paura, contro il 3,8% degli uomini.
Tale paura, che relega le donne all’interno degli spazi domestici, finisce per diventare “un problema più grave del crimine stesso” secondo l’analisi della docente di geografia umana RachelPain, in quanto svuota gli spazi pubblici dai corpi femminili, e li rende effettivamente più insicuri. Per poter evolvere, la discussione sulla percezione di Milano deve estendersi a voci diverse, con ruoli e punti di vista differenti sulla città: dall’amministrazione pubblica, ai comitati di cittadini, fino ai movimenti di lotta.
In conclusione, quando affermiamo che la notte vogliamo essere “libere, non coraggiose”, prendendo in prestito uno slogan che anima le piazze femministe, ci poniamo l’obiettivo di contribuire alla realizzazione di una condizione tale per cui le donne, intese come una “coalizione aperta” nella definizione di Judith Butler, si sentano libere di uscire di casa e di muoversi negli spazi pubblici da sole, in qualsiasi momento del giorno o della notte, senza che questo sia il risultato di un atto di coraggio ma semplicemente un’espressione del loro libero desiderio. Inoltre, come il femminismo insegna, è la presenza dei corpi femminili nelle strade che rende gli spazi più sicuri per tutte e tutti. L’obiettivo, quindi, è quello di incoraggiare questa presenza, aumentando le opportunità per uscire di casa e permettendo alle donne di influenzare lo spazio pubblico con pratiche di condivisione, di cura, di mutuo supporto. Al fine di realizzare questo obiettivo è necessario cominciare a interrogarsi sull’effettiva capacità di una città di ospitare vite complesse, tra loro diverse, e con bisogni differenti dall’utente standard, fintamente neutro, a cui oggi la città si rivolge.
(Contro la città autoritaria è il manifesto con cui il sociologo Alfredo Alietti e l’architetto Romeo Farinella hanno lanciato l’idea di un confronto interdisciplinare sui luoghi dell’abitare)