La Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha accolto il ricorso promosso dalle donne dell’associazione Anziane per il clima (Association of Senior Women for Climate Protection) contro la Svizzera per inazione climatica, riconoscendo che “le autorità svizzere non hanno adottato misure sufficienti per mitigare gli effetti del cambiamento climatico” e che vi è stata “violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Convenzione e del diritti di accesso al tribunale.”
Dunque la Cedu ha ritenuto che la Confederazione svizzera non abbia adempiuto ai suoi doveri (“obblighi positivi”) ai sensi della Convenzione sul cambiamento climatico. Le ricorrenti, preoccupate per le conseguenze del riscaldamento globale sulle loro condizioni di vita e sulla salute, dopo aver esaurito tutti i mezzi di ricorso disponibili in Svizzera, il 26 novembre 2020 avevano infatti presentato il ricorso alla Corte corredandolo di un’ampia documentazione sanitaria inerente il peggioramento del loro stato di salute.
La sentenza, che riconosce come la Convenzione contempli il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita, rappresenta un precedente di fondamentale importanza e prefigura in tal senso l’impegno dei quarantasei Paesi aderenti alla Convenzione.
In realtà non avrà conseguenze pratiche immediate: i Paesi che riconoscono la Cedu sono impegnati a dare esecuzione alle sue decisioni, ma la Corte lascia loro ampia libertà nella scelta delle misure con cui farlo. Nel caso specifico, l’Ufficio federale di giustizia svizzero si è impegnato a studiare quali azioni debbano essere prese dalla Svizzera per il futuro, ma nell’immediato la Corte ha solo ordinato allo Stato di pagare 80mila euro per coprire le spese legali dell’associazione.
Ciononostante la decisione resta “storica” in quanto è la prima in cui il tribunale internazionale dà ragione ai ricorrenti sul cambiamento climatico e potrà influenzare gli approcci in materia adottati da altri tribunali internazionali e nazionali su casi analoghi.
Rimane la priorità del diritto nazionale
Risultati come questo, tuttavia, non devono far dimenticare la priorità comunque accordata alla giurisdizione dei singoli Stati. Lo abbiamo visto con il recente esito della causa “Giudizio universale”, nella cui sentenza è emerso come i tribunali italiani non possano, di fatto, decidere sulle politiche climatiche: spetta infatti al decisore politico legiferare in materia.
Questa debolezza del diritto climatico internazionale, già evidenziata dal giurista dell’Università di Ferrara Marco Magri, si riconferma nelle decisioni prese dalla Cedu: anche secondo la Corte, infatti, sono comunque necessarie una serie di condizioni per arrivare il risultato ottenuto dalle Anziane per il clima (come, appunto, avere già esperito il ricorso a livello nazionale).
La mancanza di tali requisiti ha dunque motivato, nella stessa giornata, il respingimento del ricorso avanzato dai ragazzi portoghesi contro trentadue Stati per i gravi effetti attuali e futuri del cambiamento climatico. La Cedu lo ha dichiarato irricevibile in quanto “i ricorrenti non avevano intrapreso alcuna via giudiziale in Portogallo riguardo alle loro denunce, la doglianza dei ricorrenti contro il Portogallo era irricevibile anche per mancato esaurimento delle vie di ricorso nazionali.”
La Corte ha dunque ritenuto che non vi fossero motivi nella Convenzione per estendere la sua giurisdizione extraterritoriale nel modo richiesto dai ricorrenti.
La giurisprudenza non può intervenire in nome di una generica tutela del clima
Si può rivolgere a tribunali internazionali come la Cedu chi (singoli cittadini o Stati) ritiene di aver subito una violazione dei propri diritti da parte di uno o più Stati e ha esaurito tutte le possibilità messe a disposizione dal proprio sistema giudiziario nazionale.
In particolare, quando si tratta di cambiamento climatico la Cedu ha stabilito di potersi esprimere, aprendo alla possibilità che in futuro aumenti il numero di cause sul clima contro gli Stati europei. Tuttavia, pur dando ragione al gruppo di donne svizzere, non ha imposto né suggerito al Paese come dovrà contrastare il cambiamento climatico, riconoscendo che suggerire soluzioni politiche non è di sua competenza. Infine, respingendo il ricorso dei giovani portoghesi, ha ribadito che le cause non possono essere intentate contro Stati diversi da quello in cui si trovano, e solitamente vivono, i ricorrenti e che, di nuovo, non spetta alla giurisprudenza legiferare in materie su cui questi Stati non intervengono.
I pronunciamenti della Corte confermano dunque quanto sia difficile definire il diritto delle future generazioni al clima e come le cause in materia debbano assumere una forma precisa: non ci si può affidare alla innegabile necessità di agire per il clima quando si chiama in causa la giurisprudenza: il legislatore deve avere a disposizione norme chiare e prestabilite per poter accogliere le richieste avanzate. E la strada in tal senso, per tutti i motivi che abbiamo visto, è purtroppo ancora lunga.