Con una decisione da molti definita “storica” lo scorso 4 marzo il Senato francese ha confermato il progetto di legge costituzionale per garantire l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).
Christine Bard storica francese del femminismo ha dichiarato: “non capita così spesso di qualificare un momento come storico e dal forte impatto simbolico”. E nel nostro Paese si è riaperto il dibattito sulle norme di diritto che riguardano l’Ivg: dalla modifica costituzionale alla legge 194.
La Francia è diventata il primo Paese al Mondo a inserire il diritto all’aborto in Costituzione, e come spiega ad Agenda17 Giulia Crivellini, avvocata e già tesoriera dei Radicali italiani, promotori della campagna Libera di abortire: “nel 2022, immediatamente dopo la sentenza della Corte Suprema americana che aboliva il diritto costituzionale all’aborto, il presidente francese Emmanuel Macron dichiarò che avrebbe fatto il contrario, cioè avrebbe lavorato affinché questo diritto venisse rafforzato il più possibile dato che il diritto di aborto nel mondo è sotto attacco.
Voglio sottolineare che nel caso francese quello che è cambiato è che entra in Costituzione il riconoscimento dell’Ivg attraverso modalità che vengono esplicitate attraverso una legge dello Stato.
Dal mio punto di vista – prosegue Crivellini-, la strada che ha intrapreso la Francia è molto rilevante come segnale molto chiaro e netto nel campo dei diritti civili ed è un segnale molto forte da parte di un Paese che ha una delle migliori legislazioni in materia di Ivg perché la legge Veil che risale al 1975 è all’avanguardia. Basta solo ricordare come il diritto all’Ivg in Francia sia accessibile fino alla quattordicesima settimana mentre in Italia non è così.”
Abbiamo chiesto a Paolo Veronesi, docente di Diritto costituzionale dell’Università di Ferrara se ritiene che in Italia sia possibile una modifica costituzionale come in Francia per garantire il diritto all’Ivg.
La Costituzione italiana è “rigida”. Questo la tutela, ma rende difficile cambiarla
“Dal punto di vista squisitamente giuridico – afferma il docente-, nulla impedirebbe di inserire in Costituzione il diritto d’aborto o la libertà di praticarlo. A tale scopo, occorrerebbe rispettare la procedura stabilita all’art. 138 Cost., la quale prevede un percorso ‘aggravato’ rispetto a quanto stabilito per l’approvazione delle leggi e degli atti aventi forza di legge.
In particolare, servirebbero due delibere da parte di ciascuna Camera, a distanza di tre mesi l’una dall’altra, e, nella seconda approvazione, occorrerebbe raggiungere almeno la maggioranza assoluta dei componenti le singole Assemblee.
In tal caso, entro tre mesi, sarebbe possibile proporre un referendum oppositivo che impedisca – in caso di esito contrario – la promulgazione e l’entrata in vigore della legge. Se nella seconda deliberazione si ottenesse invece la maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere, il disegno di legge costituzionale verrebbe promulgato e pubblicato, entrando dunque in vigore.
Al contrario, ove anche solo in una Camera non si superassero le soglie appena indicate, il disegno di legge costituzionale naufragherebbe.
“Si tratta quindi – aggiunge il costituzionalista – di un iter assai più complesso di quello stabilito per le leggi, le quali è sufficiente che siano approvate, in entrambe le Assemblee (e nel medesimo testo), da una maggioranza semplice (ossia con il più agile 50% più uno dei votanti).
Funziona così perché la nostra è una Costituzione rigida, come del resto lo sono tutte le Costituzioni democratiche occidentali.
La rigidità – e, quindi, la ‘difficoltà’ di modificare la Carta – è funzionale allo scopo di proteggere i suoi contenuti, sottraendoli, nei limiti del possibile, agli abusi di una qualsiasi e occasionale maggioranza parlamentare. Occorre perciò ‘molto consenso’ per incidere sulla Costituzione: o direttamente in Parlamento (maggioranza assoluta o dei due terzi) o tra i cittadini (chiamati eventualmente a esprimersi sulla riforma approvata ‘solo’ dalla maggioranza assoluta). Anche se, in tale ultimo caso, non esistono quorum di partecipazione: la maggioranza di chi vota decide in un senso o nell’altro, a prescindere dal numero di coloro che si fossero recati alle urne.”
Mancano le condizioni politiche per una soluzione “francese”
Nell’opinione di Giulia Crivellini “Il diritto all’Ivg, secondo anche ricostruzioni giuridiche, è un diritto da tutelare costituzionalmente all’interno del diritto alla salute e quindi dell’articolo 32 della Costituzione italiana e anche del diritto all’autodeterminazione alla dignità della persona come dai primi articoli in particolare modo l’articolo 2 e l’articolo 3.
Credo che nell’attuale panorama politico italiano sia molto difficile pensare che una discussione come quella che è avvenuta in Francia, coinvolgendo larga parte dei partiti della maggioranza e dell’opposizione, possa realizzarsi ma ci sarà bisogno di una nuova generazione di politici che possa aprire il dibattito su questo tema come su quello degli altri diritti civili.”
Anche il prof. Veronesi ritiene che in Italia non esistano le condizioni per una modifica costituzionale che garantisca il diritto all’aborto “Se astrattamente nulla impedirebbe dunque una revisione costituzionale a fini ‘protettivi’ del diritto di abortire, pare tuttavia che le condizioni politiche non siano affatto favorevoli a una simile opzione.
Vedo insomma difficile il raggiungimento delle maggioranze necessarie allo scopo e già prevedo i toni che accompagnerebbero un eventuale dibattito sul tema. Un clima da caccia alle streghe che si è già toccato con mano durante la campagna per i referendum abrogativi che intendevano intervenire sui passaggi più marcatamente illiberali (e incostituzionali) della legge n. 40/2004, all’epoca appena approvata dal Parlamento in materia di procreazione assistita.”
La lenta erosione del diritto all’aborto e la proposta di legge per costringere le donne ad ascoltare il battito del feto
Mentre In Italia il passaggio a livello costituzionale appare dunque bloccato, a quarantasei anni dall’approvazione della Legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, in moltissimi casi rimane il problema di effettivo accesso a un servizio garantito dalla legge, e stiamo addirittura assistendo da anni a una lenta erosione del diritto all’aborto.
Nel nostro Paese, inoltre, la proposta di legge per obbligare Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria a far ascoltare alla donna il battito cardiaco del feto ha raccolto 106 mila firme, più del doppio delle 50 mila necessarie per raggiungere il quorum. I promotori dell’iniziativa “Un cuore che batte” sono le associazioni pro-life.
La proposta depositata nel maggio del 2023 alla Corte suprema di Cassazione prevede di introdurre nell’art.14 della legge 194 il comma 1-bis, che recita: “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso.”
Fermamente contro questa proposta si è recentemente schierato l’Ordine dei medici di Torino che sia dal punto di vista etico e deontologico che dal punto di vista scientifico ritiene questa proposta del tutto inappropriata e contraria ai principi di etica medica.
Nella dichiarazione del presidente dell’Ordine dei Medici di Torino Guido Giustetto si sottolinea come sia vietato per il medico prescrivere ed eseguire indagini o trattamenti la cui indicazione non abbia fondamento scientifico e motivazione clinica, senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso.
Dal punto di vista scientifico le linee guida delle società scientifiche internazionali sconsigliano la procedura che permette di sentire il battito cardiaco nel primo trimestre di gravidanza per i potenziali danni che provocano al feto e la raccomandano solo dopo dieci settimane di età gestazionale.
Il presidente Giustetto ribadisce, inoltre, come nelle prime fasi di sviluppo nel cuore non si sia ancora completata la struttura delle valvole per cui ciò che si sente attraverso l’ecodoppler non è propriamente il battito cardiaco, termine emotivamente e ideologicamente evocativo, ma un suono dovuto ai movimenti del cuore come è stato anche pubblicato sulla rivista medica British Medical Journal.