“A Julian Assange è stato concesso di appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti. Dopo aver trascorso quasi cinque anni nella prigione più sicura del Regno Unito, il giornalista continuerà la sua lunga detenzione separato dalla sua famiglia per aver rivelato crimini di guerra”. Così WikiLeaks ha annunciato su X la decisione dell’Alta corte britannica per il giornalista, che per il momento non sarà estradato ma che rimane comunque in carcere. Se il Governo statunitense fornirà le rassicurazioni richieste, tuttavia, l’estradizione potrebbe avvenire a breve.
È stato dunque concesso un nuovo appello, ma “limitato” ad alcuni punti, per Assange. Dopo oltre un mese dall’udienza finale del 20 e 21 febbraio, i giudici hanno deciso di non procedere con l’immediata estradizione e hanno dato al Governo statunitense tre settimane per fornire ulteriori rassicurazioni sul fatto che il giornalista potrà appellarsi al primo emendamento della Costituzione statunitense (che garantisce libertà di parola e stampa), che non sarà pregiudicato al processo a causa della sua nazionalità e non sarà applicata la pena di morte.
Il caso è aggiornato al 20 maggio: prosegue intanto la lunga e illegittima detenzione di un uomo da anni in carcerazione preventiva senza aver commesso alcun reato e, con lui, di tutta la libertà di stampa.
Pochi giorni fa si era inoltre aperto uno spiraglio dal fronte americano: secondo il Wall Street Journal, l’amministrazione Biden sta valutando un possibile patteggiamento che permetterebbe ad Assange di lasciare la prigione di Belmarsh.
“Ora che le elezioni presidenziali incombono, Biden sembra voglia provare a prendere le distanze: forse per non finire nella storia come il presidente democratico che, a braccetto con il repubblicano Trump, ha mandato in galera un giornalista per la prima volta nella storia degli Stati Uniti?” è stato il commento di Stefania Maurizi su Il fatto quotidiano.
In realtà, nulla di certo nemmeno da questo punto di vista. Si tratterebbe di un’accusa meno grave, cioè la cattiva gestione di informazioni riservate: anche in questo caso, però, il giornalista dovrebbe riconoscere la propria responsabilità per reati che non ha commesso.