“L’Unione Europea investe nel militare senza farlo esplicitamente e senza avere una politica estera e di difesa, senza dare un senso ai suoi investimenti militari, ed è ormai chiaro che il potere decisionale non sta più nei luoghi istituzionali democratici ma nei luoghi dell’economia”, ha affermato Francesco Vignarca della Rete pace e disarmo nel corso del XXVII Congresso del Movimento Nonviolento, che si è tenuto recentemente a Roma.
L’Unione Europea è matura per una politica comune?
Dopo ottant’anni dal Manifesto di Ventotene, che disegnava un’Europa federale libera dalla guerra, le occasioni di conflitto sul pianeta crescono a velocità disarmante, e ormai le guerre sono e saranno per l’acqua e per il clima, per l’energia. È necessaria una giusta transizione. Viviamo in una fase di instabilità in tutte le dimensioni del nostro essere sociali. La domanda maggiore del popolo europeo riguarda la sicurezza, una domanda che riemerge negli scenari di crisi.
Non può esistere una politica estera europea se non c’è un governo politico, e senza una politica estera non può esistere neppure una difesa europea. Le ripercussioni le vediamo chiaramente sul tema dell’emigrazione, che continua a non essere trattata in una visione europea. “Chi decide i ponti o i muri verso i migranti? – ha chiesto Giorgia Sorrentino di Gioventù federalista europea nel corso dei lavori –. Stiamo permettendo un Far West ai confini d’Europa decidendo di non decidere”.
È sotto ai nostri occhi la distanza che permane tra l’Unione europea e i cittadini, che molto spesso non sono neppure consapevoli di essere cittadini europei e non ricevono la formazione minima per comprendere ed esercitare i loro diritti. Solo quest’anno, per la prima volta, l’Italia si pone il problema di garantire il diritto di voto alle europee ai residenti all’estero; parliamo di 5 milioni di persone, e per ora si pensa soltanto agli studenti, che rappresentano una piccola parte. In molti altri paesi è prassi consolidata il voto a distanza.
La forza dell’Europa è nel rifiuto della guerra
Decine di conflitti armati sono in corso nel mondo. Innanzitutto, il compito della non violenza è non avere paura di dire la verità. “Dire chi sono i responsabili della distruzione della pace – ha affermato Daniele Taurino di Azione nonviolenta – e parlare chiaramente, ad esempio, di come i fondi per la conversione ecologica vengono distratti per l’energia fossile e a sostegno dell’industria bellica. In secondo luogo, esercitare una nonviolenza generatrice di azioni. La forza della nonviolenza sta nelle cose che possiamo fare e in quelle che possiamo non fare, con la non collaborazione. In definitiva, è la forza dei cittadini che si addestrano alla nonviolenza organizzata.”
Interrogarsi su cosa si intenda oggi per una “Europa forte” significa riprendere le annotazioni di Aldo Capitini e Silvano Balboni, padri del movimento nonviolento nel nostro Paese sul “sogno europeo”, “L’ultimo dei punti di Capitini e Balboni – sottolinea Taurino – è il valore matteottiano dell’obiezione di coscienza. Per noi oggi è un forte richiamo all’obiezione collettiva alla guerra e alla sua preparazione. Abbiamo un’Europa che somma agli eserciti nazionali un esercito non detto, quello consentito dai fondi che a vario titolo sono stanziati per la difesa militare”.
L’orizzonte resta quello dei corpi civili di pace, pensati da Alexander Langer nel 1992 durante la guerra nella ex Jugoslavia. Non è un sogno ma un progetto. L’esempio è BāshāKhān: amico di Gandhi, per dieci anni addestrò 100mila persone con le quali raggiunse la liberazione del Pakistan nel modo meno cruento possibile.
Svelare la banalità della guerra
L’aspetto propositivo verso i corpi civili di pace cammina di pari passo con la capacità di criticare l’idea di una difesa affidata esclusivamente alle armi. A partire dalla critica delle retoriche, su cui tutti possiamo prepararci. Ad esempio si sta parlando di trasformare gli Eurobond per la transizione ecologica in Eurobond per finanziare le spese militari. Dopo avere ripetuto per anni che era impossibile contrarre un debito per sostenere la scuola o la sanità pubblica, la pandemia ha obbligato a ripensare il finanziamento collettivo delle politiche, e ora paradossalmente questo passaggio viene utilizzato a favore della spesa militare.
“Dobbiamo contrastare queste decisioni e difenderci dal discorso mediatico che enfatizza retoriche banalizzanti – ha sottolineato Vignarca –, perché la guerra è banale. Addirittura, è emersa la proposta di un deterrente nucleare europeo. Pensare che la guerra sia una risposta al bisogno di sicurezza è un gioco di prestigio che dobbiamo svelare, perché è ormai chiaro che la spesa militare non garantisce la pace. L’unica garanzia ce la danno gli Stati, e chi li comanda.”
L’Europa dovrebbe rendersi conto che non sarà mai forte come gli Usa, la Cina o la Russia, abbandonare una rincorsa impossibile e farsi forte delle apparenti fragilità per diventare l’Europa dei diritti, custode della pace.
L’impegno lanciato al Convegno è costruire una campagna europea per una sicurezza condivisa, con una nuova piattaforma di pace. Nel 2025 si celebrano i 50anni dall’accordo di Helsinki, è quello l’orizzonte in cui farlo.