Il Congresso del Movimento Nonviolento, giunto recentemente alla sua XXVII edizione, è stata l’occasione per conoscere storie di resistenti alla guerra, provenienti da aree geografiche e conflitti armati differenti, accomunate dall’assunzione di responsabilità personale nella scelta di obiezione di coscienza al militarismo e di costruzione di ponti di pace con il “nemico”. “Traditori della compattezza etnica”, li avrebbe definiti Alex Langer, disertori dell’odio e delle reciproche propagande di guerra.
Gli obiettori alla guerra in Russia e Ucraina
Tra di essi, Elena Popova che ha raccontato delle condizioni disumane degli arruolati nell’esercito di Putin, degli oltre 4000 disertori russi condannati ad almeno cinque anni di carcere e della galera per i cittadini che protestano contro la guerra, come successo anche a lei, portavoce del Movimento degli obiettori di coscienza: “non possiamo fare molto, ma non possiamo essere complici”.
Yurii Sheliazhenko, segretario del Movimento pacifista ucraino ha ricordato, a sua volta, che gli è impedito lasciare il paese, come a tutti gli uomini, oltre a subire pressioni e intimidazioni del governo di Zelensky per il sostegno agli obiettori di coscienza e l’opposizione alla “delirante utopia di trasformare l’intera popolazione in un esercito”, sottolineando la necessità della solidarietà internazionale dei resistenti alla guerra.
Tra le quali Olga Karatch, pacifista bielorussa in esilio a Vilnius perché condannata per “terrorismo” in patria – a Roma in presenza per ritirare, non a caso, il Premio Langer 2023 – che insieme alle donne bielorusse vuole sottrarre all’esercito di Lukasenko uomini in armi, con la campagna “No significa No” a sostegno degli obiettori e dei disertori, “perché la guerra non si può fare senza soldati”, mentre il rifiuto dei governi europei di dare loro rifugio e protezione nasconde la volontà internazionale di continuare la guerra. Che solo dal basso può essere fermata.
Pacifisti israeliani e palestinesi
Come provano a fare nell’altro scenario di tragedia bellica i pacifisti israeliani dellaRefuserSolidarity Network, la cui coordinatrice internazionale Maya Eshel ha raccontato della retorica della vittoria diffusa in Israele mentre a Gaza è in corso un “genocidio”, per cui gli obiettori e i pacifisti che solidarizzano con la sofferenza dei palestinesi sotto le bombe e contro l’occupazione e l’apartheid sono considerati traditori.
Tra questi i giovanissimi obiettori di coscienza israeliani, i refusenik, supportati dagli obiettori più anziani che li sostengono nella capacità di resistenza all’esperienza del carcere e alle pressioni dell’apparato militare, anche con l’assistenza legale e con azioni antimilitariste volte a provocare un cambiamento nella società israeliana, sempre più militarizzata e violenta.
Per questo, dicono, è necessario un attivo supporto internazionale. Come sottolinea anche Tarteel Al-Junaidi, attivista palestinese del Community Peacemaker Teams che supporta la resistenza contro l’occupazione dal 1995 cercando di proteggere in particolare i bambini dalle irruzioni dell’esercito israeliano e dalle demolizioni delle loro case: chiede di aiutare il loro lavoro andando direttamente sul posto ad affiancarli, per aiutarli a far finire l’oppressione che è causa di tutte le violenze.
Le campagne del Movimento Nonviolento
Le loro preziose testimonianze hanno aperto i lavori ufficiali del Congresso del Movimento Nonviolento. “La campagna di Obiezione alla guerra in corso da due anni– ha affermato Mao Valpiana, presidente del Movimento – ha l’obiettivo politico di ottenere dall’Unione europea e dal nostro governo il riconoscimento dello status giuridico di rifugiati politici per gli obiettori di coscienza, disertori e renitenti alla leva in fuga dai paesi coinvolti nei conflitti. Da oggi questa campagna si allarga al sostegno agli obiettori israeliani e agli oppositori nonviolenti palestinesi.”