Nonostante i dati sull’inquinamento atmosferico in Europa siano in miglioramento, l’esposizione agli inquinanti dell’aria rimane un forte problema per la salute della popolazione, in particolare su malattie respiratorie come il Covid-19.
Covid-19: la qualità dell’aria incide su rischio di infezione e mortalità
Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, esiste un lungo elenco di fattori di rischio per l’impatto grave del Covid-19 che si sovrappongono fortemente all’elenco delle malattie riconosciute come esacerbate da una grave esposizione all’inquinamento atmosferico come il cancro ai polmoni, le malattie cardiache, l’asma e la broncopneumopatia cronica ostruttiva.
L’esistenza di un legame tra Covid-19 ed esposizione agli inquinanti atmosferici è stata confermata anche per il nostro Paese. Lo scorso giugno è stato infatti pubblicato il progetto EpiCovAir, promosso dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Ispra-Snpa), in collaborazione con la Rete italiana ambiente e salute (Rias).
I risultati hanno evidenziato che esiste un legame tra incidenza di infezioni da SARS-CoV2, mortalità per Covid-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10).
Nella prima ondata pandemica maggiormente colpite le Regioni più inquinate
Le indagini, condotte da uno studio correlato, hanno riguardato circa 4 milioni di casi di SARS-CoV-2 e 125mila decessi registrati dal Sistema nazionale di sorveglianza integrata Covid-19 durante le prime tre ondate pandemiche (febbraio 2020-giugno 2021), con un’incidenza di sessantasette casi infetti su 1000 abitanti e un tasso di letalità di trentuno decessi ogni 1000 persone contagiate.
La distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per Covid-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del Nord Italia, che hanno anche più elevati livelli di inquinamento atmosferico di lungo periodo. Questo vale particolarmente nella prima ondata dell’epidemia, che si è originata e propagata a partire dalle Regioni settentrionali, mentre le distribuzioni dei casi e dei decessi sono più omogenee sul territorio nazionale nella seconda e terza fase pandemica.
Le associazioni con l’inquinamento atmosferico, più forti tra i soggetti anziani, evidenziano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.
Lo stesso vale per i tassi di letalità per Covid-19 che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.
Gli autori dello studio hanno stimato che circa l’ 8% di decessi per Covid-19 siano attribuibili a livelli di inquinanti superiori alle linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) 2021.
Le analisi effettuate, spiegano gli autori, tengono conto di numerose variabili geografiche, demografiche, socio-economiche, sanitarie, così come della mobilità della popolazione durante la pandemia.
“I risultati conseguiti da EpiCovAir – ha affermato Ivano Iavarone, coordinatore del Progetto – sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici e il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica.”
Ne consegue l’urgenza, a tutela della salute collettiva, di contrastare l’inquinamento atmosferico implementando interventi strutturali nei settori chiave quali energia, trasporti, l’industria ed agricoltura.