L’Italia ha un nuovo Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ma è nato vecchio e contiene poche soluzioni concrete Per osservatori e associazioni mancano fondi e azioni chiare per limitare gli impatti del riscaldamento globale

L’Italia ha un nuovo Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ma è nato vecchio e contiene poche soluzioni concrete

Per osservatori e associazioni mancano fondi e azioni chiare per limitare gli impatti del riscaldamento globale

Tanta teoria, poca pratica. Si possono sintetizzare così le reazioni di associazioni ambientaliste ed esperti al nuovo Piano di adattamento ai cambiamenti climatici italiano (Pnacc), approvato con un decreto firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin a fine 2023 e reso poi pubblico in gennaio.

Il Piano arriva con un ritardo di sei anni rispetto ai tempi previsti e dovrebbe rispondere a un doppio scopo: da una parte, costruire processi governance che rendano gli enti pubblici pronti a rispondere agli effetti del cambiamento climatico, dall’altra programmare le azioni pratiche da mettere in atto per rendere i territori più resilienti a periodi di siccità, inondazioni, eventi meteo estremi, temperature più alte.

La lunga storia di un piano nato forse già vecchio 

“L’attuale Pnacc ha avuto una gestazione lunghissima: è stato redatto e condiviso in una prima versione nel 2018, e già allora si riferiva perlopiù a situazioni e criticità legate al decennio o, addirittura, al ventennio precedente”. Ad aiutarci a ricostruire il percorso che sta dietro al Piano è Marco Merola, giornalista e divulgatore scientifico, docente del Master in Climate change adaptation and mitigation solutions del Politecnico di Torino e del Master in Divulgazione scientifica dell’Università di Siena. Merola è anche l’ideatore del webdoc multimediale Adaptation, con cui confronta i piani di adattamento al cambiamento applicati in diverse zone del Mondo. “Come sappiamo, gli effetti della crisi climatica sono diventati più violenti solo negli ultimi anni: proprio dall’autunno del 2018 il clima in Italia ha iniziato a scrivere una pagina completamente nuova, con la tempesta Vaia al nord, i nuovi record di acqua alta a Venezia, le tempeste in Liguria, esondazioni e venti fortissimi in tutta la penisola. Da allora, contiamo tra i 200 e i 250 eventi estremi all’anno, nel 2023 si è raggiunto il picco di 380.”

Marco Merola, giornalista, docente e divulgatore (©LinkedIn)

Per la pubblicazione del Piano bisognerà aspettare ancora: “Solo nel 2022 è partito l’iter per la  verifica dell’impatto ambientale – conclude Merola -. Il piano è stato infine approvato con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica nel dicembre 2023.”

Mancano troppi tasselli per pianificare interventi concreti

Il Piano contiene una sezione teorica molto ricca, in cui vengono citati numerosi studi sugli effetti del cambiamento climatico nel Mondo e nel nostro Paese. È anche un documento lunghissimo: conta circa 1000 pagine totali tra testo e allegati ed è accompagnato da un Excel con 361 proposte di misure da realizzare a livello regionale o nazionale. Come evidenziato da Openpolis, ben 100 misure su 361 corrispondono ad azioni di informazione.

Il Piano dovrebbe dare indicazioni a Comuni e Regioni per rendere i territori pronti di fronte al rialzo delle temperature (© Aleksandr Kichigin)

“Anche se è stato definito ‘piano’ – prosegue Merola -, questo documento, per come è strutturato, non contiene misure già concretamente applicabili ma, al più, delle raccomandazioni o delle generiche linee guida che dovranno poi essere calate nel pratico, armonizzandole con le misure contenute negli altri ‘piani’ già esistenti e con le norme vigenti. La sensazione è che servirà molto tempo ancora prima di arrivare alla messa terra di azioni a supporto delle comunità locali e degli ecosistemi naturali o urbani.”

II motivi sono diversi. In primo luogo, non è chiaro il processo da seguire per tradurre le singole misure in interventi a livello locale, poiché non sono precisati gli iter che enti pubblici e amministrazioni dovranno avviare. Il piano è inoltre uno strumento politico e normativo di valore relativo, perché è stato concepito come un decreto ministeriale e non come un decreto legge approvato dal Parlamento.

Ma soprattutto, nel Piano manca una vera e propria copertura economica delle misure proposte, e nella maggior parte dei casi non è presente nemmeno un’indicazione di massima del budget necessario. Nella tabella Excel allegata al Piano, nella colonna “Costi” 180 caselle su 361 sono vuote. In altre si legge “n\d”, “non si hanno stime precise al riguardo” o ancora “costo zero” per alcune attività pur complesse ed articolate. Per stimare il costo di alcune azioni di sensibilizzazione si invita a “utilizzare costi di analoghe campagne realizzate su scala nazionale su temi di rilevanza pubblica, come le vaccinazioni, gli incidenti stradali”, mentre per altri interventi come il disarmo delle navi da pesca obsolete si parla genericamente di “alcune decine di milioni di euro”.

Il punto di vista delle associazioni

I problemi del Pnacc non sono solo di forma, ma, secondo diverse associazioni ambientaliste, anche di contenuto. “Il Piano va preso come un primo passo – ha dichiarato ad esempio World Wildlife Fund (WWF) Italia – ma al momento pare individuare le azioni solo a livello urbanistico e territoriale: non che non sia importante, è vitale, ma come WWF riteniamo che la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico dovrebbero costituire la base per la programmazione in senso generale, a partire da quella economica e sociale. Questo è un elemento di arretratezza che appare davvero poco giustificabile.”

Secondo alcune grandi associazioni ambientaliste, il Piano non contiene proposte precise per rispondere agli impatti del cambiamento climatico su alcuni habitat, ad esempio in ambito alpino (© Getty Images \ michelangeloop)

 

Anche l’impegno del Piano per la conservazione della biodiversità sembra in alcuni casi limitato, nonostante il Green Deal europeo definisca proprio il ripristino degli habitat uno dei fattori chiave per contenere i danni del cambiamento climatico. Un caso interessante è quello delle misure del Pnacc rivolte agli habitat montani.

“Nella sua parte teorica il Piano cita diverse pubblicazioni sul concetto di ‘rifugio climatico’ – ha spiegato ad Agenda17 Claudio Celada, direttore dell’area Conservazione di Lipu BirdLife Italia –  ma nella sezione dedicata alle proposte di azione non vengono inseriti interventi espressamente dedicati alla biodiversità di alta quota.” 

Claudio Celada, direttore area Conservazione di Lipu – BirdLife Italia (©Lipu)

I rifugi climatici sono quelle aree che, se tutelate, forniscono a flora e fauna montana lo spazio necessario per sopravvivere anche mentre la temperatura del Pianeta continua a salire. “Sarà allora necessario lavorare insieme – conclude Celada – anche attraverso grandi iniziative come il progetto europeo LIFE NatConnect 2030 in partenza in Lombardia, per riuscire a portare il tema della conservazione e della connettività tra gli habitat al centro dell’attenzione in tutta Italia.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *