“Stiamo vivendo momenti bui, tragici: guerre, crisi economiche, emergenze sanitarie. Oggi più che mai è necessario parlare e lavorare per la pace. La pace non deve essere un concetto astratto, ma un cammino, un lavoro costante per una società più giusta. Ed è per questo che ora, più che mai, è necessario e importante il lavoro del Laboratorio per la pace, che sta diventando un riferimento stabile nell’ambito degli Studi per la Pace in Italia e all’interno di una rete nazionale che raccoglie numerosi Atenei pubblici.” Con queste parole la Rettrice dell’Università di Ferrara Laura Ramaciotti ha introdotto le iniziative di riflessione sui conflitti armati in corso e sulle prospettive della diffusione di una nuova cultura di pace organizzate per il 2024 dal Laboratorio per la Pace, coordinato da Alfredo Mario Morelli e Giuseppe Scandurra,
In occasione del primo incontro dell’ iniziativa “Libri per la Pace”, una serie di letture e analisi pubbliche di undici volumi (uno per mese) esemplari per la storia del pensiero e degli studi sulla pace in Italia, o riguardanti i conflitti aperti e le loro ripercussioni politiche e sociali, abbiamo intervistato Pasquale Pugliese, filosofo, già segretario del Movimento nonviolento sulla figura di Aldo Capitini, punto di riferimento storico del pensiero nonviolento nel nostro Paese. Pugliese ha partecipato all’evento inaugurale dell’iniziativa ripercorrendo i temi fondamentali del pensiero di Capitini a partire dal suo libro “Il potere di tutti”, pubblicato nel 1969 con Introduzione di Norberto Bobbio e prefazione di Pietro Pinna.
Chi è stato per lei Aldo Capitini?
“Aldo Capitini è stato l’intellettuale e organizzatore politico e culturale che, ai miei vent’anni, ha catturato il mio interesse di studente di filosofia alla ricerca di un pensiero trasformativo tanto nei fini quanto nei mezzi e, contemporaneamente, di obiettore di coscienza al servizio militare, e non lo ha più abbandonato.
Allora vi scrissi la tesi di laurea in filosofia morale, in conflitto con l’Istituzione universitaria che non lo considerava un vero “filosofo” – che nel cinquantesimo della sua morte sarebbe diventata, ampiamente rivisitata, l’“Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini”- e mi iscrissi al Movimento Nonviolento, la sua ‘creatura’ principale.
Da allora i suoi scritti e l’organizzazione da lui fondata, insieme alla rivista Azione nonviolenta, mi hanno accompagnato nell’attraversare questi decenni nei quali, dopo il 1989, la guerra è tornata prepotentemente a occupare il centro dello scenario internazionale – perfino in Europa – dilapidando enormi risorse pubbliche, facendo stragi di militari e civili e rubando il futuro di tutti. Anche oggi che ricerco, scrivo e faccio formazione sui temi della nonviolenza, l’opera di Capitini è di continua ispirazione e punto di riferimento.”
Qual è stata l’eredità più preziosa che ci ha lasciato Aldo Capitini? La sua figura ha avuto e ha il risalto che meritava?
“Aldo Capitini è stato un pensatore orientato alla liberazione dell’Umanità dalle catene della violenza, con un progetto di ‘rivoluzione permanente’ che rimette in discussione lo status quo – sui piani filosofico, politico, religioso ed educativo – attraverso una visione complessa e articolata, ma non astratta, perché sfocia nella proposta della nonviolenza come specifica prassi rivoluzionaria a disposizione di tutti.
La nonviolenza capitiniana non si oppone solo alla guerra, che è l’effetto ultimo della violenza, ma va alla ricerca delle sue cause profonde, cioè degli schemi che costringono l’umanità nella necessità di produrre ancora guerre e violenze. Rispetto alle quali la nonviolenza si presenta come l’unica ragionevole possibilità di metterle fuori dalla storia.
L’impegno capitiniano è radicale perché è volto al disvelamento e al ribaltamento dell’implicito culturale che, fondando la sicurezza e la forza sulla capacità di esercitare violenza, legittima gli eserciti e gli armamenti. È questa la sua eredità non solo più preziosa, ma più attuale e necessaria, che non ha ancora minimamente avuto il riconoscimento che merita. E che serve a tutti, in verità.
Capitini, conosciuto generalmente per aver ideato la Marcia della pace da Perugia ad Assisi, ha percorso intensamente più stagioni dell’Italia civile, ‘attraverso due terzi di secolo’, ma è stato costantemente in anticipo sui suoi tempi: ha promosso una avanzata prospettiva liberalsocialista (‘massimo del socialismo nel massimo della libertà’), ancora sotto la dittatura fascista; fondato i Centri di orientamento sociale per la formazione alla democrazia diretta nei territori dell’Italia appena liberata, già prima delle prime elezioni democratiche; costruito nel nostro Paese un movimento per la pace autonomo dalle logiche di schieramento della guerra fredda – capace di proporre una propria agenda di disarmo, militare, culturale e politico – a pochi mesi dalla costruzione del muro di Berlino; elaborato una serrata critica al potere promuovendo il superamento della democrazia nell’omnicrazia, prima del dilagare della contestazione del ’68.
Ma questo essere in anticipo sui tempi non è stato colmato con il passare del tempo, anzi, mano che ci allontaniamo dalla sua lezione, Capitini ci appare sempre più attuale rispetto alla gravità della situazione, mentre il nostro Paese ci appare – a suo paragone – ancora del tutto inattuale. Aldo Capitini risulta essere ancora “profetico”, ma non utopista.”
“Il potere di tutti” è ancora un buon libro per cominciare una nuova riflessione?
“‘Il potere di tutti’ è un libro postumo di Aldo Capitini, contiene un saggio incompiuto dal titolo significativo di ‘Omnicrazia’, articoli usciti sul periodico il ‘Potere è di tutti’ tra il 1964 e il 1968 e le ‘Lettere di religione’, lettere circolari diffuse tra gli ‘amici della nonviolenza’ dal 1953 e il 1968.
Non si tratta quindi di un lavoro sistematico, ma di un insieme di scritti che richiamano e riepilogano tutti i temi affrontati nell’itinerario intellettuale del filosofo perugino, intersecati intorno all’analisi del rapporto tra potere e violenza. Non un saggio sociologico, ma l’indicazione del percorso, teorico e pratico, religioso e politico, individuale e collettivo, per l’apertura del primo nell’omnicrazia e del superamento della seconda con la nonviolenza.
Una ricerca che sembrava poter trovare un inveramento negli anni della “contestazione” delle strutture di potere, che quegli scritti anticipavano, ma che ha una forza profetica rispetto al nostro presente (‘la profezia del presente’, la definisce Capitini), nel quale le democrazie anziché un’evoluzione partecipativa stanno subendo un’involuzione autoritaria e la violenza della guerra è tornata a farsi perfino minaccia nucleare. E le due cose sono collegate: la preparazione della guerra cementa da sempre poteri senza controllo che rispondono solo a chi delle guerre trae beneficio. ‘Il rifiuto della guerra è la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso’, è la tesi di Capitini, anche per la declinazione di un potere differente.
Inoltre, ‘Il potere di tutti’ è una pubblicazione impreziosita dalla densa introduzione di Norberto Bobbio, che di Aldo Capitini fu amico e interlocutore, che ne traccia un approfondito profilo utile per conoscere il Capitini filosofo, e dalla prefazione di Pietro Pinna, che ne fu stretto collaboratore e successore alla guida del Movimento nonviolento. Insomma si tratta di un volume che, da un lato, ci immerge nella storia migliore del Novecento italiano e, dall’altro aiuta, a orientarsi nell’impegno contemporaneo per la pace e la nonviolenza.”