In Italia circa 3 milioni di persone soffrono di Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (Dna), un dato probabilmente sottostimato poiché non tutti ne hanno consapevolezza né tutti chiedono aiuto. “L’iniziale decisione di tagliare i fondi per il contrasto a questi disturbi aveva messo in allerta le Regioni, che ben conoscono la numerosità delle richieste e l’urgenza di poterle accogliere. I Dna, infatti, possono mettere in serio pericolo la qualità della vita di una persona e meritano una costante attenzione: lavorare con questi disturbi richiede tempo e pazienza poiché il primo alleato nel processo di cura è la fiducia” afferma ad Agenda17 Paola Bastianoni, docente di Psicologia clinica presso l’Università di Ferrara e responsabile del servizio di counseling psicologico di ateneo “Da soli mai”.
Nel 2021 la legge di bilancio ha istituito il Fondo per il contrasto dei Dna, con lo stanziamento di 25 milioni di euro per i due anni successivi. Tali risorse hanno finanziato piani di intervento regionali e provinciali per l’assistenza ai pazienti, che permettono di intercettare i disturbi agli esordi, garantire i minimi livelli di cura, assistere i pazienti vicino alla residenza, ma anche di creare una rete di servizi per la promozione della salute e la formazione degli operatori e l’introduzione del “codice lilla” per l’identificazione tempestiva dei casi nei pronto soccorso.
Ci sono 126 strutture dedicate in Italia, di cui 112 del Servizio sanitario nazionale e quattordici del privato accreditato, con una prevalenza al Nord (sessantatré) rispetto a Centro (ventitré) e Sud-isole (quaranta). In questi giorni, dopo l’iniziale decisione di eliminare i finanziamenti al Fondo, il Governo ha deciso di stanziare ulteriori 10 milioni di euro per il 2024.
Patologie complesse e sempre più precoci
Si tratta di disturbi caratterizzati da un comportamento alimentare disfunzionale, un’eccessiva preoccupazione per il proprio peso e una percezione alterata della propria immagine corporea. Non sono legati esclusivamente, come spesso si ritiene, a condizioni di sottopeso, ma possono essere associati anche a situazioni di normopeso e sovrappeso.
“Spesso tali disturbi – prosegue la docente – si associano anche a tratti ansiosi e alla difficile gestione della frustrazione relazionale. È inoltre molto probabile una severa alterazione dell’umore, che conduce all’isolamento e alla definitiva chiusura dei contatti sociali.”
Se non trattati adeguatamente e tempestivamente possono diventare una condizione permanente e compromettere la salute corporea, fino alla morte: all’anoressia nervosa, ad esempio, è associata una mortalità dalle cinque alle dieci volte superiore rispetto alle persone sane.
Negli ultimi decenni, oltre all’aumento delle patologie (+40% rispetto al 2019), si è registrato un abbassamento dell’età di insorgenza, con la crescita dei casi in età preadolescenziale e infantile (il 30% è sotto i quattordici anni): tale precocità è particolarmente grave perché provoca un rischio maggiore di danni permanenti a carico di tessuti, come ossa e sistema nervoso centrale, non ancora pienamente maturi.
Fondamentale la fiducia per indagare nel vissuto del paziente
Nel percorso di cura è fondamentale instaurare una relazione professionale di fiducia che permetta alla persona di sentirsi accolta nei bisogni personali. “È frequente – spiega Bastianoni – che le rappresentazioni mentali legate alla sintomatologia siano da correlare a eventi personali che, in qualche modo, hanno bloccato il fluire armonico delle connessioni tra emozioni, pensieri e comportamenti.
È come se qualcosa impedisse alla persona di sentirsi bene così com’è: spesso, dietro il bisogno di controllare il cibo si nasconde la paura di non essere abbastanza bravi per essere amati, quindi il controllo delle calorie e le condotte eliminatorie diventano un modo per accrescere il senso di controllo e autoefficacia.
Le condotte di eliminazione del cibo e di abbuffata portano quindi con sé una storia che merita di essere portata alla luce, al fine di ‘riparare’ quel trauma relazionale che ha impedito alla persona di sentirsi bene nel suo corpo e con la sua pelle fisica e psicologica.”
Il servizio di counseling psicologico di Unife: fondamentale la rete con i servizi territoriali
Nel nostro ateneo, i Dna colpiscono circa il 33% degli utenti che si rivolgono al servizio di consulenza universitario. “Su 2.921 studenti e studentesse che dal 2020 ad oggi si sono rivolti a noi – conclude la docente – ottantasei manifestano un difficile rapporto con il cibo e il dato è particolarmente rappresentativo per il genere femminile: settantotto di loro, infatti, sono donne.
Gli incontri che effettuiamo vanno nella direzione di accrescere la consapevolezza del vissuto che alimenta il sintomo, al fine di accompagnare la persona a un invio per una psicoterapia o una presa in carico da parte dei servizi territoriali dedicati, dove prosegue il suo percorso. Tuttavia, in caso di bisogno studenti e studentesse possono sempre rivolgersi nuovamente al nostro servizio di counseling psicologico e insieme si definisce la direzione da seguire.
Non è invece previsto un lavoro con altre persone, come i famigliari, ma agiamo aiutando la persona a costruire le proprie reti di supporto in modo autonomo. Nel caso in cui le sue risorse non lo permettano, tuttavia, non è esclusa la possibilità di un intervento con la famiglia o altri sistemi relazionali.”