Il 10 dicembre il Governo italiano ha nuovamente prorogato il ripristino dei controlli alla frontiera interna con la Slovenia, deciso dal 21 ottobre con la motivazione di un “aumento della minaccia di violenza all’interno dell’Unione europea (Ue) a seguito dell’attacco a Israele e rischio di possibili infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori irregolari provenienti dalla rotta balcanica”.
Ma il nostro Paese non è l’unico. Come riporta la Commissione europea, sono undici gli Stati che attualmente usufruiscono di questa deroga alla libera circolazione Schengen: Austria, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Slovenia.
Il ripristino dei controlli alle frontiere interne: da extrema ratio a prassi
Il codice Schengen, nato nel 1985 per la libera circolazione delle persone all’interno del territorio dell’Ue, permette di ripristinare i controlli ai confini interni in caso di “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne”. Il ripristino può venire rinnovato ogni trenta giorni fino a un massimo di sei mesi in caso di minacce prevedibili, o ogni venti giorni fino a un massimo di due mesi in casi urgenti.
“Ritengo che vi sia, da parte degli Stati membri, una strumentalizzazione o interpretazione estensiva di questi concetti, volta a scardinare l’idea di uno spazio dove è garantita l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento dei confini interni” afferma ad Agenda17 Marcella Cometti, dottoranda in Giurisprudenza all’Università di Ferrara.
“In uno spazio senza frontiere interne come quello immaginato dai Trattati, seppur esista la possibilità di ripristinare i controlli, questa dovrebbe essere ammessa per una durata limitata e interpretata come extrema ratio. Quel che accade nella prassi è, però, ben lontano da questa rappresentazione: ad esempio è dal 2015 che la Francia ha sistematicamente esteso, ogni sei mesi, i controlli ai confini interni sulla base di una ‘minaccia persistente’ legata al terrorismo.
Questo è potuto accadere perché situazioni di deroga originariamente immaginate per la tutela dell’interesse pubblico si sono trasformate con l’avvento della ‘crisi dei rifugiati’ del 2015: in questa occasione, anche il tema della gestione dei flussi migratori è diventato motivo che giustifica il ripristino dei controlli alle frontiere interne” spiega Cometti.
E cita il commento del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) circa la decisione del Governo italiano: “l’inserimento, nelle motivazioni, dell’esistenza di presunto problema dell’arrivo in tutto il Friuli- Venezia Giulia di un modestissimo numero di rifugiati, circa 1.500 persone al mese nel corso del 2023 in assoluta prevalenza provenienti dall’Afghanistan, risulta risibile e del tutto privo di alcuna connessione logico-giuridica con i criteri richiesti dal codice Schengen per legittimare una scelta così estrema quale il ripristino dei confini interni.”
La proposta di riforma del codice Schengen aumenta la sorveglianza e i respingimenti
“Non credo che la sospensione della libera circolazione sia uno strumento efficace né per gestire i flussi migratori né per fermare potenziali terroristi – afferma Cometti -. Questa sospensione aumenta invece il livello di violenza nei confronti delle persone in movimento, come riportato da organizzazioni non governative e altre realtà attive nel settore.” La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne inoltre fa sì che i migranti si affidino di più ai passeur per trovare altre vie, più pericolose, per eludere la polizia frontaliera.
Da gennaio a novembre 2023 Frontex ha rilevato più di 98mila ingressi irregolari in Ue lungo la rotta balcanica e più di 5mila al confine orientale. L’iniziativa Protecting Rights at Border (PRAB) ha documentato 20.206 respingimenti ai confini terrestri esterni e interni dell’Ue da gennaio ad agosto, anche se questa cifra rappresenta solo una frazione della reale portata del fenomeno. Le violazioni subite durante i respingimenti vanno dal diniego dell’accesso all’asilo al furto o distruzione di oggetti personali e da trattamenti degradanti alla violenza fisica.
Tanto alle frontiere esterne quanto a quelle interne le autorità stanno iniziando a usare le nuove tecnologie per rilevare i movimenti dei migranti, come droni, telecamere di sorveglianza e sensori termici. In particolare, questi sistemi sono già implementati sia al confine italo-francese che a quello fra Italia e Slovenia. All’inizio di novembre in un vertice a Trieste fra Italia, Slovenia e Croazia, i ministri dell’interno dei tre Paesi hanno anche annunciato la creazione di pattuglie miste.
A questo proposito, afferma Cometti: “la stessa proposta di riforma del codice Schengen avanzata nel dicembre 2021 desta non poche preoccupazioni: viene ammesso l’uso di tecnologia per la sorveglianza, senza che possa essere considerato equivalente a un controllo di frontiera, e si incoraggia il ricorso a pattugliamenti congiunti, quale strumento per l’applicazione di un trasferimento semplificato delle persone fermate alle frontiere interne.”
Inoltre, si propone di estendere la durata massima del ripristino dei controlli da sei mesi a due anni o anche per periodi superiori, inviando alla Commissione europea una valutazione del rischio e comprovando il perdurare della minaccia. E si ricorda che l’obiettivo principale è l’allontanamento efficace dei migranti irregolari dallo spazio Schengen e il loro rimpatrio nei Paesi terzi.
“L’Ue dovrebbe influenzare le politiche degli Stati membri promuovendo la tutela dei diritti delle persone migranti e non, al contrario, proponendo normative di degradazione del diritto di movimento e di asilo – commenta Cometti -. Ad esempio, è quanto mai urgente rafforzare e ampliare i canali di ingresso legali in Europa, al fine di evitare rotte migratorie che mettono a rischio la vita di centinaia di migliaia di persone ogni anno.” È anche necessario un intervento legislativo dell’Ue contro la violenza alle frontiere, come richiesto dalla campagna Stop Border Violence.
Rifugiati di serie A e rifugiati di serie B
Uno strumento a disposizione dell’Ue è la direttiva 2001/55/CE, che garantisce una protezione temporanea a cittadini di Paesi terzi in fuga da conflitti armati o violazioni generalizzate dei diritti umani, dando loro la possibilità di accedere all’alloggio, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, al lavoro e ad altre misure di protezione. Questa direttiva è stata applicata per la prima volta nel 2022, con una decisione storica, per accogliere gli sfollati ucraini a seguito dell’invasione russa, nonostante in passato ci fossero state altre occasioni (le primavere arabe, le guerre in Siria e Afghanistan).
L’Ue offre attualmente protezione a circa 4,2 milioni di ucraini, eppure cerca di respingere in ogni modo le circa 350mila persone non europee arrivate fra gennaio e novembre 2023. “Le cause sono legate alla vicinanza, geografica e culturale, dell’Ucraina ad alcuni Stati dell’Ue e a ragioni di natura politica – spiega Cometti -. L’Ucraina, ad esempio, figura nella lista dei Paesi che sono esenti dal visto per entrare nell’area Schengen, per cui è sufficiente il passaporto biometrico.
Per altro, la disparità di trattamento, a mio parere ingiustificata, non si registra solo nelle differenti modalità di gestione dei diversi flussi migratori, ma anche all’interno dello stesso flusso proveniente dall’Ucraina. Benché, secondo il diritto dell’Ue e la Convenzione di Ginevra, chiunque fugga da un pericolo abbia il diritto di oltrepassare i confini e chiedere asilo, dalle numerose testimonianze provenienti da persone non europee e non bianche che risiedevano in Ucraina è emersa una discriminazione razziale tra rifugiati di serie A e rifugiati di serie B.”
Così la libera circolazione e l’asilo, da diritti, sono diventati concessioni da rilasciare a chi soddisfa determinate condizioni (come l’etnia o i documenti) e da negare con la violenza a tutti gli altri.