“Anche se a Dubai non abbiamo voltato pagina sull’era dei combustibili fossili, questo risultato è l’inizio della fine” ha affermato il segretario esecutivo delle Nazioni unite per il cambiamento climatico Simon Stiell nel suo discorso di chiusura della ventottesima Conferenza annuale delle Nazioni unite sul clima (COP28), che si è tenuta a Dubai negli Emirati arabi dal 30 novembre al 13 dicembre.
La Conferenza, riporta il comunicato stampa, si è chiusa “ponendo le basi per una transizione rapida, giusta ed equa, sostenuto da profondi tagli alle emissioni e da maggiori finanziamenti.”
Le parole sono confortanti, ma il significato non è chiarissimo. L’hanno rilevato tutti i commentatori; e proprio sulle parole (l’inequivocabile phase out – “uscita”- richiesto da 127 Paesi su 198 non è stata inserito) si è giocata la partita fino all’ultimo minuto.
Il punto, dunque, è che “Ora tutti i governi e le imprese devono trasformare senza indugio questi impegni in risultati di economia reale.”
In questo SPECIALE COP28 prendiamo in esame i più rilevanti fra questi impegni e la reale possibilità di tradurli in risultati concreti.
Cominciamo il nostro approfondimento con Francesco Nicolli, docente di Economia dell’energia e delle risorse e di economia politica presso il Dipartimento di economia a management dell’università di Ferrara, tornato da poco da Dubai.
Alla Conferenza si sono registrati circa 85 mila partecipanti, fra politici, diplomatici, scienziati, giornalisti e lobbisti, facendone la più grande conferenza sul clima mai avvenuta.
Le aspettative erano molto alte; soprattutto ci si attendeva che venissero prese decisioni concrete e operative rispetto agli impegni assunti precedentemente, nelle conferenze degli anni passati. In generale, le sembra, che aspettative e impegni siano stati mantenuti?
“Mentre sto scrivendo leggo, come tutti, che la narrazione sui combustibili fossili, si è spostata dal termine phasing out, a cui in molti ambivano, a un più moderato, seppur positivo, transition away from fossil fuels in energy systems in this critical decade. Politicamente è un buon risultato, credo, date le forti opposizioni dei grandi produttori di combustibili fossili, ma è anche un risultato molto probabilmente non sufficiente per raggiungere gli obiettivi necessari a fermare i cambiamenti climatici.
Tuttavia, lo stockage appena uscito dichiara che le Parti sono fuori strada quando si tratta di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Se la partita per raggiungere 1.5 gradi, quindi, è ancora aperta come dichiarato – e questo non è un risultato da dare per scontato – gli sforzi per raggiungerlo vanno intensificati. “
Restringendo il campo alle decisioni connesse alla riduzione di emissione di gas climalteranti, fondamentali per il contenimento entro 1,5 gradi dell’aumento della temperatura del Pianeta, quali sono stati gli eventi più interessanti della Conferenza?
“Al di là degli esiti delle negoziazioni di carattere generale, i cui risultati sono già stati riportati dai media, credo ci siano stati alcuni eventi molto rilevanti che sono passati, forse, in sordina.
Per prima cosa, importanti passi avanti sono stati fatti in merito alla global methane pledge, l’accordo volto a ridurre le emissioni di metano di almeno il 30% entro il 2030 lanciato durante la COP26 di Glasgow. Come si sa da anni, il metano è responsabile per circa il 45% del riscaldamento globale, tuttavia, avendo vita breve, viene generalmente messo in secondo piano nelle discussioni internazionali rispetto alla CO2.
I principali settori responsabili di produzione di metano sono il settore delle estrazioni petrolifere, nel quale in metano è un sottoprodotto del processo stesso di estrazione, e il settore agricolo, nel quale il principale responsabile è l’allevamento di bovini.
La scorsa settimana a Dubai, circa cinquanta grandi aziende produttrici di idrocarburi si sono impegnate a eliminare quasi completamente le emissioni di metano legate all’esplorazione e all’estrazione di combustibili fossili entro il 2030.
Alcuni scettici hanno visto in questo un tentativo di greenwashing, essendo per le compagnie petrolifere più semplice ridurre le emissioni di metano rispetto a sostenere un phasing-out dei combustibili fossili.
Per quanto riguarda il settore agricolo, più difficile da regolamentare essendo la produzione diffusa in molti piccoli produttori e avendo il settore un valore chiave nell’aiutare i Paesi, specie in via di sviluppo, a uscire dalla trappola di povertà, un accordo non era tra gli obiettivi della conferenza. Tuttavia, il tema delle emissioni del settore dell’allevamento è stato affrontato in diversi padiglioni, tra cui quello della Food and Agriculture Organisation of the United Nations (FAO), al fine di capire quali possibili meccanismi possono aiutare il settore a ridurre le emissioni, come ad esempio, tasse, sussidi, cambiamento tecnologico e, per i Paesi industrializzati, un cambio di dieta. Per il settore dell’allevamento, le nuove stime mostrano che è responsabile di circa il 12% di tutte le emissioni antropogeniche di Greenhouse Gases (GHG), il 62% delle quali derivanti dall’allevamento bovino, secondo dati FAO.
In alcuni Side event inoltre si è parlato di resistenza antibiotica e dell’impatto che uno uso non sufficientemente regolamentato dei farmaci in agricoltura può avere sulla salute animale e umana. E il tema della resistenza antibiotica – a cui, a livello mondiale, si deve una morte ogni dieci minuti – è sicuramente un tema che merita più attenzione.”
Lei è un esperto a livello internazionale di disuguaglianza economica ed emissioni pro capite in relazione al cambiamento climatico e di innovazione ed economia circolare. Questi temi sono centrali, sia per la possibilità di uscire dalla emergenza climatica senza subire gravi contraccolpi economici sia per quella che viene chiamata “giustizia climatica”. È così? Alla conferenza questi temi sono stati affrontati? Come giudica gli accordi raggiunti su loss and damage?
“Gli accordi loss and damage, che sono lo sforzo principale delle recenti COP in tema di giustizia climatica, hanno subito una forte accelerata fin dal primo giorno di conferenza, quando il presidente della conferenza sul clima Sultan Al-Jaber ha confermato l’intenzione del suo Paese di finanziare il fondo con uno stanziamento di 100 milioni di dollari, a cui sono seguite impegni da parte di altri Paesi tra cui Germania, Francia, Italia e, in misura minore, Stati uniti.
L’attivazione del fondo è un segnale credo importante, un segnale atteso e richiesto da varie decadi ma non per questo da potersi dare per scontato.
Tuttavia, condivido la visione di chi sostiene che questo primo sforzo verso una giustizia climatica sia necessario, positivo, utile, ma non sufficiente.
Alcuni aspetti del fondo sono stati, a mio avviso giustamente, criticati. Primo fra tutti, il ruolo preponderante degli Stati uniti – uno dei principali Paesi in termini di emissioni di CO2, e quindi di responsabilità ambientale, nonché uno dei Paesi industrializzati che ha sostenuto meno, con circa 17.5 milioni di dollari, la nascita del fondo stesso – che hanno sostenuto la scelta di rendere volontari i contributi da destinare al fondo e di lasciare un ruolo preponderante nella gestione dello stesso alla Banca Mondiale.
Infine, per quanto la cifra ad oggi stanziata di 700 milioni di dollari sembri ragguardevole, come sottolinea The Guardian, rappresenta solo un piccola parte dei danni ambientali creati dallo sviluppo delle economie industrializzate (circa lo 0.2% ).
Un altro tema molto dibattuto in questa COP è stato quello del finanziamento ai progetti verdi, e a tal riguardo è incoraggiante leggere nello stocktake appena uscito che il Fondo verde per il clima (Green Climate Fund, GCF) ha ricevuto un impulso alla sua seconda ricostituzione con sei Paesi che si sono impegnati a stanziare nuovi fondi alla COP28, con un totale di impegni che ora raggiunge la cifra record di 12,8 miliardi di dollari da parte di 31 Paesi, con ulteriori contributi attesi.”
Tuttavia, lo stocktake stesso sottolinea come tale importo sia molto inferiore a quanto serve a favorire una transizione.
Nel complesso, la mia interpretazione è che gli sforzi siano validi e importanti, ma, come nel caso dello sforzo sulla mitigazione, anche per quanto riguarda l’adattamento e la giustizia climatica non sono certo siano sufficienti.
Quali passi significativi sono stati effettuati e cosa invece è mancato rispetto a questi temi?
“Lo stocktake appena pubblicato riapre speranza verso un raggiungimento di obiettivo 1.5 gradi di aumento della temperatura, che tuttavia molti studi danno per irraggiungibile. La strada mi pare sia chiara a tutti, ed è vero che un primo passo, importante, è stato fatto a questo riguardo. Ora occorre intensificare gli sforzi su base annuale, per colmare i decenni di ritardo rispetto alla sfida climatica.”