In Italia rimane elevata la dispersione scolastica: incidono povertà educativa e mancanza di infrastrutture Forti i divari territoriali, con il Sud penalizzato. Buoni risultati dal Pnrr, ma siamo lontani dagli obiettivi europei

In Italia rimane elevata la dispersione scolastica: incidono povertà educativa e mancanza di infrastrutture

Forti i divari territoriali, con il Sud penalizzato. Buoni risultati dal Pnrr, ma siamo lontani dagli obiettivi europei

In meno di un anno, da gennaio a ottobre 2022, solamente in alcuni quartieri romani sono stati ben 620 i minori a rischio abbandono, con una media di settanta segnalazioni al mese. Ma anche nel resto dell’Italia la situazione non è migliore, e coinvolge tutto il percorso formativo dei giovani, dalla formazione pre-scolastica all’università.

Sono i dati della dispersione scolastica di Roma, presentati recentemente dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la società di servizi digitali Sopra Steria. Dati che confermano una situazione allarmante che riguarda, purtroppo, l’intero Paese.

A scuola già dalla prima infanzia: fondamentale per lo sviluppo del bambino

Secondo il report Education at a Glance 2023, pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse, Organization for Economic Co-operation and Development OECD), già a partire dal periodo prescolastico l’iscrizione al sistema educativo è fondamentale per le capacità di apprendimento dell’individuo. 

Accedere fin da subito a un ambiente di apprendimento stimolante, infatti, porta a risultati scolastici migliori, soprattutto per i bambini provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati che spesso hanno meno opportunità di sviluppare queste capacità nei loro ambienti di apprendimento domestico.

La cura della prima infanzia ha un ruolo chiave nell’educazione, nello sviluppo cognitivo ed emotivo, nell’apprendimento e nel benessere generale del bambino. Costituisce inoltre uno strumento chiave per consentire a entrambi i genitori di lavorare e per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Tuttavia, nonostante i benefici di un’educazione di alta qualità nei primi anni di vita, la partecipazione all’educazione della prima infanzia non è obbligatoria in tutti i Paesi Ocse per i bambini di età inferiore a tre anni.

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

In tutta l’area dell’Ocse, in media, solo il 18% dei bambini di età inferiore ai due anni è iscritto a un programma di educazione e cura della prima infanzia. Tra i bambini di due anni il tasso medio sale al 43%, con notevoli differenze tra i Paesi, mentre aumenta con un tasso medio pari al 74% l’iscrizione dai tre anni d’età.


In Italia dati inferiori alla media e forti divari territoriali

In Italia, restano forti i divari territoriali in tutti i livelli di istruzione. La popolazione residente nel Mezzogiorno è infatti meno istruita rispetto a quella nel Centro-nord: il 38,5% degli adulti ha il diploma di scuola secondaria superiore, mentre al Nord e nel Centro quasi la metà (circa il 45%) è diplomato. 

Tali differenze territoriali sono del tutto simili a quelle dei due anni precedenti, sia per gli uomini che per le donne, confermando dunque un quadro pressoché immutato per due anni consecutivi.  

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

Nella fascia tra i 25 e i 34 anni, coloro che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è ovviamente più elevata, e raggiunge il 78%; anche in questo caso, il valore – superiore solo a quello spagnolo – è di 7,4 punti percentuali inferiore alla media europea, nonostante la crescita di sei punti tra il 2012 e il 2022. 

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

Lo sviluppo e la valorizzazione del capitale umano sono fondamentali, sia per migliorare la produttività e la competitività del sistema produttivo, sia per favorire una maggiore equità e inclusione sociale.

Nel 2022, oltre la metà dei 25-64enni (63%) ha almeno un titolo di studio secondario superiore, valore decisamente inferiore a quello medio Ue (79,5%). Tale valore in particolare è considerato uno dei principali indicatori per valutare il livello di istruzione conseguito da un Paese.

Anche se l’Italia non è tra i primi in Europa, la prospettiva cambia osservando il numero dei diplomati in termini assoluti. Risulta il terzo Paese per numero di persone in possesso di un diploma e il numero di giovani adulti che completano un ciclo di istruzione secondaria superiore è in aumento.

Tuttavia, anche in questo caso si confermano le marcate disparità geografiche: tra i 25-64enni, la quota di chi ha almeno un titolo di studio secondario superiore va dal 69,2% nel Centro al 53% nelle Isole, e di chi ha una laurea dal 24,3 al 15,9% nelle stesse ripartizioni. 

Per la stessa fascia di età, risulta diplomato il 38,1% nel Mezzogiorno e circa il 45% nel Centro e nel Nord. Il divario territoriale nei livelli di istruzione riguarda uomini e donne, sebbene sia più marcato per la componente femminile. 

Abbandono scolastico in Europa in diminuzione, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo

Queste fratture risultano ancora più marcate se osserviamo il tasso di abbandono precoce degli studi. La quota dei giovani che lasciano la scuola con al massimo la licenza media, senza essere inserito in un qualche percorso ulteriore di istruzione o formazione, è fonte di preoccupazione per l’Ue che, nell’ambito dell’Agenda 2030, ha fissato un target da raggiungere a livello continentale: il 9% di abbandoni precoci.

Sebbene in Italia, negli ultimi dieci anni, si sia riscontrato un miglioramento complessivo del fenomeno, con una riduzione di 5,8 punti percentuali, i dati sono ancora insufficienti. Il nostro Paese, infatti, con un valore percentuale dell’11,5% di 18-24enni che hanno abbandonato gli studi precocemente, si colloca quinto tra i Paesi dell’Ue, superando anche la media globale di 9,6%. 

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

Esaminando più nel dettaglio il quadro italiano, si riscontrano contesti regionali di importante povertà educativa che influiscono negativamente sulla media complessiva.

Nonostante siano nove le Regioni con un tasso inferiore alla media europea, sei delle quali al di sotto dell’obiettivo dell’Agenda 2030, particolarmente allarmante è la situazione del Mezzogiorno, dove il tasso di abbandono ha ripercussioni nel futuro quali la difficoltà nel trovare lavoro e il risultante aggravamento delle disuguaglianze.

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

Un’indagine di Unioncamere Excelsior, chiamando in causa le imprese, rileva come ad oggi la domanda delle aziende sia di persone formate e specializzate in un settore. Non è infatti casuale che vi sia una tendenza discendente, soprattutto al Sud, nelle percentuali di giovani italiani occupati nonostante l’abbandono precoce degli studi rispetto agli anni precedenti (dal 51% di lavoratori tra i 18-24 anni che hanno interrotto gli studi nel 2008 al 33,2% nel 2020). 

Mancano infrastrutture universitarie e servono più Its per il mercato del lavoro

La carenza di cultura è una lacuna “ereditaria”. Le ricerche dimostrano che il basso titolo di studio dei genitori influisce molto sull’abbandono da parte dei propri figli della scuola. Si manifesta così una disomogeneità di competenze e conoscenze acquisite destinata a ripetersi e un disarmonico impegno a investire anche nel mondo universitario.

A tutto ciò si aggiungono anche degli ostacoli fisici che sfavoriscono l’accesso all’istruzione terziaria. Nello specifico le aree periferiche sono penalizzate dalla mancanza di strumenti e mezzi per aspirare ad accrescere il proprio capitale educativo, con il risultato che nel Meridione, dove molte Province hanno estese aree periferiche, il livello di iscritti all’università risulta basso.

È netto il distacco tra il numero di giovani laureati in Italia con il target europeo proposto nell’Agenda 2030. L’Ue sfida i Paesi a raggiungere una percentuale pari a quasi la metà (45%) di giovani tra i 25 e i 34 anni ad ottenere un titolo di studio terziario. Nel 2022 c’è stato negli Stati membri un miglioramento di circa un punto percentuale rispetto all’anno precedente, con una media del 42% di giovani laureati. Nel nostro Paese, purtroppo, la quota dei giovani laureati si ferma al 29,2%, figurando come un picco negativo.

(©Scognamiglio, elaborazione dati Eurostat e Istat) 

Ma la povertà educativa delle periferie non è il solo motivo della distanza italiana da Paesi come Francia o Germania in ambito universitario. In Italia contiamo pochi istituti tecnici superiori (Its) che costituiscono, per gli altri Stati, una fonte proficua di giovani con titoli di studio terziari. La carenza di questi istituti in Italia costituisce un limite perché permetterebbero ai giovani di acquisire una formazione professionale grazie anche a un continuo rapporto con le imprese del Paese e, dunque, offrirebbero una soluzione capace di incrementare il capitale educativo e il tasso di occupazione nel Paese.

Il contrasto alla dispersione nel Pnrr

Il risultato di queste analisi fa riflettere sulle azioni che l’Italia deve compiere per contrastare le sue lacune nel campo dell’istruzione e della formazione. Sebbene siano importanti le criticità di determinati territori è bene che l’attenzione non sia rivolta solo nel dettaglio al Comune o Provincia, ma anche allo stato globale della Penisola. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) offre importanti opportunità di riflessione. Propone infatti di intervenire territorialmente, investendo su alloggi per studenti e borse di studio, e di far fronte alle carenze nazionali incrementando l’offerta di Its e migliorando i percorsi di orientamento e transizione tra scuole superiori e università. Qualcosa è stato fatto in tal senso, tuttavia, osservando le statistiche, si nota che il trend crescente di miglioramenti ha un andamento troppo lento per poter raggiungere gli obiettivi proposti dall’Ue entro i limiti di tempo definiti.

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