Da un pugno di capanne dove negli anni Settanta metà dei bambini moriva prima di compiere il primo anno di vita, Salinas de Guaranda in Ecuador è diventato in cinquant’anni il centro di un sistema economico produttivo basato su quattro attività: agricola/alimentare, turistica, artigianale ed educativo/culturale. Nel territorio, inoltre, è possibile contare circa trenta microimprese e cooperative che assicurano il lavoro a tempo indeterminato a centinaia di salineros. Il caso di Salinas, oltre all’esito positivo del cambiamento delle condizioni di vita di un’intera comunità, come già accaduto con altri progetti in questo continente, pone alcune interessanti questioni, relative al modello di relazioni che hanno consentito di raggiungere il risultato.
La lezione di Salinas
Un importante storico, Edward H. Carr, nel libro “Sei lezioni sulla storia” sosteneva che la ricerca storica guarda il passato con gli occhi del presente e nel contempo considera il presente alla luce del passato; Edward E. Evans-Pritchard, a sua volta, scriveva in “Introduzione all’antropologia sociale”, che solo attraverso la comprensione delle altre culture e delle altre società è possibile vedere la propria in prospettiva e giungere a comprenderla meglio sullo sfondo della totalità dell’esperienza e del comportamento umano. Cosa può insegnarci l’esperienza di Salinas vista alla luce delle nostre comunità e dei nostri territori?
Sicuramente, le esperienze sui beni comuni e quelle della Mitbestimmung (cogestione) tedesca ci offrono spunti interessanti di confronto con la “proposta di Salinas”, e così pure lo studio di tutto il movimento cooperativo.
A livello locale, nei territori della Regione Emilia Romagna, si potrebbero fare paragoni interessanti con le esperienze di proprietà collettiva, come quella ad esempio a mio avviso molto importante del Consorzio Uomini di Massenzatica, o in forma diversa come i vari istituti della Partecipanza.
Ma il processo di sviluppo di Salinas ci può aiutare anche a comprendere meglio l’evoluzione stessa di interi territori come possono essere le province o parti di esse: leggiamo ad esempio che, dal 1900 al 2000, “Il numero degli abitanti è raddoppiato, l’attesa di vita alla nascita è balzata da 35 a 80 anni, l’analfabetismo è scomparso (superava il 70%), quasi tutta la popolazione (l’85%) vive oggi in centri urbani, rispetto al 19% di allora”; chi potrebbe mai dire che questo brano si riferisce a Modena e alla sua storia?
Modena è la provincia più avanzata dell’intera Emilia-Romagna, la sua economia è una delle più importanti non solo in Italia ma in Europa; eppure, un tempo la situazione di quel territorio era completamente diversa: “Per l’Inchiesta agraria Jacini del 1884 a Modena ‘gli animali godevano miglior salute che gli uomini’. Persistevano tifo, morbillo, enterite e colera. Ignoranza e indigenza erano un tutt’uno. Desolazione e ignoranza alimentavano credenze e superstizioni. C’erano contadini che desiderando un figlio maschio dopo la nascita di una femmina, durante l’amplesso dovevano mordere forte un’orecchia alla moglie.
Strabilianti i rimedi sanitari: ai bambini che soffrivano di verminazione ‘si dà da mangiare una polvere fatta con un verme emesso di bocca dall’ammalato, e poi arrostito fino ad essere fatto in cenere’. La povertà dilagante e la disoccupazione del primo quarantennio postunitario hanno costretto all’emigrazione 1.500 modenesi ogni anno: è il tasso migratorio più elevato della regione. La vita dell’emigrante era durissima”
La storia di Modena ci ricorda la “proposta Salinas”; Modena è, in un certo senso e con tutte le differenze del caso, la “Salinas” della Regione Emilia Romagna.