Nel 1971, quando arrivarono i primi volontari, il capoluogo Salinas de Guaranda in Ecuador, situato nella provincia di Bolívar a 3.550 metri di altitudine nei pressi del vulcano Chimborazo, contava un centinaio di famiglie che vivevano in capanne. Circa il 45% dei bambini moriva prima di compiere un anno di vita. Cinquant’anni dopo Salinas de Guaranda è il centro di un sistema economico produttivo basato su quattro attività: agricola/alimentare, turistica, artigianale ed educativo/culturale. Nel territorio, inoltre, è possibile contare circa trenta microimprese e cooperative che assicurano il lavoro a tempo indeterminato a centinaia di salineros.
La comunità di Salinas de Guaranda è un esempio importante di modello “comunitario”, economico e sociale, costruito nel tempo per iniziativa di volontari salesiani fra cui emergerà la guida determinante di Antonio Polo, che è riuscito a produrre condizioni di sviluppo, benessere e partecipazione a partire da una situazione iniziale che era invece, all’opposto, di estrema povertà e sudditanza.
L’Ecuador ha tenuto recentemente le elezioni presidenziali che l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) consiglia di tenere d’occhio. Il Paese è diventato uno snodo nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, con alcune zone piombate nella più completa insicurezza, al punto che il candidato presidenziale anticorruzione Fernando Villavicencio Durante è stato assassinato nel corsodella campagna elettorale, e ciò sta spingendo sempre più ecuadoriani a migrare verso gli Stati Uniti. Ma il motivo per cui la comunità internazionale guarda con interesse l’Ecuador è anche perché è il primo Paese ad aver vietato con un referendum popolare le estrazioni petrolifere in una porzione dell’Amazzonia.
Le tappe della nascita di un altro Mondo
La prima cesura del “miracolo” di Salinas – le cui tappe Giuseppe Scandurra, antropologo culturale presso Unife ripercorre nel volume A la Minga. Salinas de Guaranda. Un altro mondo è (altrove) possibile” – è costituita dall’arrivo dei volontari salesiani con la figura carismatica di Antonio Polo la cui filosofia della “porta aperta” e il cui ruolo attivo, operativo, nel riscatto delle popolazioni locali è stato fondamentale; poi la sostanziale assenza dello Stato in quanto soggetto erogatore di servizi, che però non si oppone all’ingresso dei volontari salesiani ma anzi consente ai salineros di rilevare le miniere di sale e di potersi costituire in cooperativa, liberandosi in questo modo dal dominio dell’hacienda Cordovez senza conflitti e senza violenze. Infine, ma non ultimo, la disponibilità delle popolazioni locali al lavoro volontario che, di fatto, realizzerà le principali opere infrastrutturali che consentiranno a questi territori di svilupparsi fino al punto di diventare esportatori di tutta una serie di beni prodotti e commercializzati dal sistema cooperativo stesso
I resoconti redatti dai volontari della Missione descrivono questi lavori come grandi giornate di festa che, attraverso le mingas (lavoro collettivo a fini di utilità sociale e di carattere reciproco) settimanali, coinvolgevano maschi, donne e bambini.
In poco più di quindici anni, furono costruiti in questo modo 180 chilometri di strade: la minga, soprattutto nelle prime tre decadi di Salinas, quindi dagli anni Settanta agli anni Duemila, è stata uno strumento essenziale anche in virtù dell’assenza dello Stato, quando la costruzione delle scuole, delle case, delle strade, dei pali per l’illuminazione, degli impianti di fognatura erano tutte attività sotto l’esclusiva responsabilità dei salineros.
Tra i fattori determinanti per la riuscita del progetto, vi furono poi la creazione e lo sviluppo di cooperative di risparmio e credito, anche attraverso il Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio (FEPP), fondazione nata negli anni Settanta per iniziativa della Conferenza episcopale ecuadoriana; e la “filosofia della somma” , che attraverso la moltiplicazione dei progetti e il reinvestimento dei profitti in nuovi investimenti ha consentito il rilevante sviluppo di questo territorio: già negli anni Ottanta la fondazione Funorsal sarà la prima organizzazione di secondo livello e raggrupperà circa trenta cooperative distribuite nei diversi centri abitati della parrocchia.
Un modello partecipativo basato più sul dibattito che sulla deliberazione per voto
Il modello comunitario avrà fin da subito una propria strutturazione per così dire “istituzionale”: la scelta fu quella di affidarsi sin dall’inizio a un gruppo di leader con i quali lavorare a stretto contatto.
Giuseppe Tonello, uno dei protagonisti del “miracolo” di Salinas e che ha scritto la prefazione al libro di Scandurra, arriverà ad affermare che “nella mia esperienza la leadership è più importante della democrazia” ; lo stesso modello partecipativo di Salinas era fondato sul dibattito e sul consenso finale ottenuto attraverso il dibattito, piuttosto che col voto e la divisione fra maggioranza e minoranza.
Il processo di sviluppo di Salinas è certamente comunitario e cooperativistico, ma è prima di tutto pragmatico; chi volesse trovare riferimenti teologici o ideologici, dalla teologia della liberazione al marxismo, dal comunitarismo al socialismo utopistico, resterebbe deluso: i problemi non sono ideologici, i problemi sono materiali e devono essere risolti, solo le parole sono ideologiche.
Un libro che potrebbe offrire una chiave di lettura interessante del processo di sviluppo di Salinas è “Perché le nazioni falliscono. Alle origini di potenza, prosperità e povertà” di Daron Acemoglu e James A.Robinson, che distingue le istituzioni “inclusive” da quelle “estrattive”: “le più adatte a creare prosperità – affermano gli autori – sono le società ‘inclusive’, dove le regole del gioco coinvolgono la maggioranza della popolazione nel processo di governo. Le istituzioni politiche inclusive diffondono il benessere in modo ampio. Invece le società estrattive, dove una minoranza si appropria di potere, ricchezze e privilegi, sono destinate a fallire”. Il “miracolo” del processo di sviluppo avvenuto a Salinas deriva perciò dal fatto che da una situazione iniziale caratterizzata da istituzioni indubbiamente estrattive, senza generare conflitti rilevanti ma attraverso un percorso tutto pragmatico – “quella tecnologia sociale a spizzico” mirabilmente descritta da Karl Popper nel libro “Miseria dello storicismo” – ha fatto sì che da un processo di piccoli cambiamenti (le potremmo chiamare le “riforme” del sistema) si siano prodotti nel lungo periodo addirittura “esiti rivoluzionari”, riforme rivoluzionarie tradotte concretamente in “istituzioni inclusive”, costruite peraltro senza conflitti (le condizioni permanenti di pace sono state un elemento fondamentale per lo sviluppo di Salinas) e senza far ricorso ad “ismi” di stampo ideologico o teologico, ma attraverso il pragmatismo e le capacità organizzative e di leadership dei volontari salesiani, in primis Antonio Polo, che hanno saputo costruire in questo modo un bellissimo esempio di “società aperta”. 1.Continua