“Rischiamo di non avere più la copertura della rete delle urgenze-emergenze, di non avere anestesisti, chirurghi generali e nemmeno chirurghi delle varie branche specialistiche che si sono sviluppate negli anni.” È questo, in sintesi, il quadro tracciato da Carlo Alberto Volta, direttore della Scuola di anestesia e rianimazione dell’Università di Ferrara con l’incarico di direzione del Dipartimento di interaziendale di emergenza di Ferrara, a proposito della “diserzione” del personale sanitario dalle specializzazioni mediche strategiche per il buon funzionamento del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Delle cause complesse di questo grave fenomeno, abbiamo parlato con il professor Volta, che è anche vicedirettore del Dipartimento di medicina traslazionale per la Romagna e prorettore alla sanità dell’Università di Ferrara.
Per esercitare nel Ssn, i medici devono avere conseguito una specializzazione specifica per l’ambito di impiego. Quali sono le cause dell’insufficiente numero di medici specialisti nel Ssn?
“Quello delle scuole di specialità è un problema a cavallo tra l’Università, che si occupa della formazione, e il sistema sanitario che deve assicurare il turnover del personale del Ssn. Si tratta di un delicato equilibrio tra immissione e uscite dal Ssn che, in passato, è stato gestito in modo non lungimirante ed ha prodotto una discrepanza tra abbandoni per pensionamento, passaggio al privato, cambio di specialità e nuovi ingressi.
Relativamente all’Università, la situazione si è venuta a creare verosimilmente non a causa del numero chiuso in sé ma come conseguenza di una stima insufficiente del fabbisogno di medici e conseguentemente dei potenziali specializzandi per alimentare il loro turnover nel Ssn.
A questo si è aggiunta, per diversi anni, la contrazione delle possibilità di accesso alle scuole di specialità che ha peggiorato la situazione. Una prima risposta al problema è stata data con l’aumento del numero di posti per gli studenti di medicina. Si tratta di una strategia che l’Università di Ferrara ha adottato fra i primi aumentando il numero dei posti per i futuri medici e per le altre lauree sanitarie, perchè oltre alla carenza di medici vi è un grossissimo problema che riguarda il personale infermieristico, e tutto il sistema sanitario in sofferenza.
La recente assegnazione dei posti nelle specializzazioni mediche ha visto una scarsa adesione. Quali sono le cause?
“L’impegno da parte dei Governi che sono succeduti ad aumentare il numero delle borse di studio, unitamente alle università e alle Regioni, ha consentito un aumento importante dei posti nelle specialità con un impegno economico rilevante cui non ha fatto seguito la necessaria adesione da parte dei medici.
Attualmente il 38% dei posti delle specialità mediche non ha iscritti. Un dato di per sé molto alto, ma il vero problema è che la quota dei posti non coperti è distribuita in modo molto disomogeneo. Una specialità come la dermatologia ha appena il 2% di posti liberi, ugualmente la cardiologia, sia tradizionale che interventistica.
Non mancheranno dunque dermatologi e cardiologi il che è una buona notizia vista l’elevata prevalenza delle patologie correlate a queste specialità.
La pessima notizia, invece, è che la medicina di urgenza-emergenza ha una quantità di iscritti molto bassa che assolutamente non sarà in grado di coprire il fabbisogno nazionale. La specialità di anestesia e rianimazione a livello nazionale è coperta per circa il 50% dei posti.
L’altra cosa che stupisce è che, diversamente dal passato, anche le chirurgie sono in sofferenza con una mancata copertura del 50-55 %, addirittura peggiore dell’anestesia. Si tratta della chirurgia generale, della chirurgia toracica e vascolare, tutte specialità che in passato facevano l’en plein e nelle quali era difficilissimo entrare.
Questo pone degli interrogativi enormi a livello di sistema sanitario e di organizzazioni. Occorre interrogarsi sul perché tutto questo stia succedendo e su quali siano i possibili rimedi. In questo anche l’università può essere chiamata in causa a livello formativo, ma non basta.
È sicuramente una variazione epocale generazionale, perché i giovani scelgono altro rispetto a quello che si sceglieva venti, trent’anni fa.
Sappiamo tutti delle difficoltà che hanno i servizi di pronto soccorso sul territorio nazionale, e Ferrara non fa eccezione anche se grazie a modelli organizzativi avanzati, stiamo attualmente migliorando. La situazione della medicina d’urgenza resta comunque un problema molto sentito anche dalla popolazione.
L’aumento dei posti in specialità ha consentito agli abilitati alla professione medica, che negli anni passati non erano riusciti ad entrare a causa del numero limitato di posti disponibili, di farlo. Ora verosimilmente sono entrati tutti e il problema si sposta sui nuovi laureati in medicina che, grazie all’aumento dei posti nelle scuole, si renderanno disponibili nei prossimi anni e potranno così colmare la carenza di specialisti.”
La nuova iniezione di medici conseguente all’aumento dei posti nelle scuole di medicina consentirà dunque di ovviare alla carenza di specialisti negli ambiti più critici come quelli dell’emergenza urgenza?
“Non ho la certezza che ciò si verificherà. Fare l’anestesista-rianimatore, il chirurgo, il medico della medicina d’urgenza sono mestieri difficili, pesanti. Vuol dire lavorare di notte ogni quattro-cinque giorni, con notti passate a risolvere problematiche sovente complesse e la ripresa nei giorni successivi è sempre molto difficile.
Un weekend su tre si passa in ospedale, in certi casi diventa uno su due con comprensibili gravi limitazioni alla vita famigliare. Tutto questo una volta era accettato, ma ora non è più così.
Probabilmente le giovani generazioni sentono maggiormente la necessità di una migliore qualità della vita e pensano che questi mestieri siano troppo impattanti sulla vita privata, familiare e personale. Inoltre rispetto al passato si viaggia molto di più e si fanno confronti.
Gli stessi miei specializzandi, avendo noi diverse collaborazioni, vanno frequentemente all’estero, vedono quello che fanno i loro coetanei, gli stipendi maggiori che ricevono a fronte di carichi di lavori simili o addirittura minori.
A questo si aggiungono le “sirene” del privato con meno notti e weekend impegnati, uno stipendio più vantaggioso. Vantaggi che finiscono talvolta col prevalere rispetto al fatto di esercitare una pratica clinica più complessa ed interessante specie negli hub (centri di riferimento) del Ssn.
Dunque cosa si può utilmente fare per dare soluzione al problema?
“A fronte delle attuali criticità diventa indispensabile uno sforzo dell’organizzazione a partire dalle stesse scuole di specializzazione. Lo si è già fatto durante l’emergenza legata alla pandemia di Covid-19, quando il cosiddetto ‘decreto Calabria’ ha permesso agli specializzandi di cominciare a lavorare nel Ssn sin dal secondo/terzo anno della scuola di specialità.
Si tratta di modalità di assunzione parziale che hanno permesso al sistema sanitario di reggere la sfida della pandemia. Si tratta di una soluzione non del tutto nuova che qualcuno aveva prospettato anche prima di Covid-19.
L’esperienza drammatica di Covid-19 aveva fatto dire a più voci che si doveva operare per assicurare la necessaria dotazione al servizio sanitario affinchè non ci trovassimo ‘mai più’ impreparati alla prossima pandemia. Un impegno presto dimenticato nei fatti con un Ssn ampiamente sotto finanziato rispetto ad altri sistemi sanitari come quello francese, tedesco, per non parlare di quello svizzero.
È un problema che riguarda la dotazione strumentale oltre che di personale. Ciò non significa che non si debba continuare a lavorare all’ottimizzazione delle risorse, come direttore del Dipartimento emergenza ospedaliero di Ferrara sono ben consapevole della necessità di razionalizzare i percorsi e le risorse, però le risorse ci devono essere e quelle riservate al Ssn sono al lumicino, e questa mancanza di finanziamento si riflette anche sulle scelte delle scuole di specialità da parte degli specializzandi.
Abbiamo la fortuna di operare in una Regione che vanta uno dei migliori Servizi sanitari regionali e che ci supporta così come fa la direzione dell’Azienda sanitaria ed ospedaliera di Ferrara che favorisce un’attiva collaborazione con l’Università.
Mentre auspichiamo che le nuove numerose immatricolazioni a Medicina rendano prossimamente disponibili nuovi medici anche per le specialità ora deserte, nel frattempo diventa urgente che il lavoro dei medici impegnati nelle urgenze-emergenza, così come i chirurghi, sia valorizzato e incentivato con riconoscimenti economici e di carriera pena l’insostenibilità del Ssn. Si tratta di un effetto che è importante sia spiegato anche agli utenti della sanità, ai cittadini. Sull’importanza del servizio sanitario pubblico gli italiani si sono espressi chiaramente anche in un recente sondaggio.”
Quale ruolo può avere l’Università ?
“È fondamentale che l’università sia partecipe degli sviluppi futuri del Ssn e che la componente universitaria sia attivamente integrata con il sistema sanitario, i decreti citati che vedono coinvolti gli specializzandi dal secondo, terzo anno di specialità nel Ssn costituiscono una premessa utile a indispensabile per favorire l’integrazione migliore tra il mondo del lavoro e il mondo della formazione.
Da parte universitaria resta fondamentale la formazione dei medici, del loro coinvolgimento nell’attività di ricerca, non solo per avere il lavoro pubblicato ed essere visibili su Pubmed ma perché fare ricerca ha implicazioni fondamentali per la pratica clinica giornaliera.
In un contesto in cui vengono pubblicati giornalmente moltissimi lavori scientifici i futuri medici specialisti devono essere messi in grado di valutare l’affidabilità di un lavoro scientifico con ricadute importanti anche sulla pratica clinica e la gestione corretta del paziente. I pazienti hanno il diritto di ricevere le cure più recenti possibile e di provata efficacia, in grado di ridurre la morbosità e la mortalità.
Nel loro percorso di studi gli specializzandi dovrebbero fare almeno una, due ricerche, una tesi preferibilmente sperimentale e avere la possibilità di trascorrere dei periodi al di fuori della propria rete formativa in altri ospedali non solo italiani, ma anche francesi, belgi, americani, statunitensi, tedeschi per capire come funzionano altri sistemi sanitari nazionali.
Dei cinque anni della scuola di specialità diciotto mesi possono essere trascorsi all’estero. Tutto questo per formare degli specialisti bravi, preparati, colti, con una visione internazionale della sanità.
In questo momento questa è una prerogativa soprattutto delle scuole di specialità, che una volta entrati nel Ssn, per le sue numerose criticità, diventa molto più complesso fare esperienze all’estero o comunque fuori dal proprio ambito lavorativo.”