Claudia Goldin, docente ad Harvard, è la terza donna a vincere il Premio Nobel per l’economia e la prima a farlo per ricerche che riguardano la comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile e gli strumenti per raggiungere la parità tra uomini e donne sul posto di lavoro. Ne abbiamo parlato con la rettrice dell’Università di Ferrara, che insegna economia applicata e si occupa di politiche per l’innovazione aziendale.
Qual è la rilevanza di questo tema nell’analisi economica?
“Ridurre le differenze di genere nel mercato del lavoro permette alle donne non solo di affermarsi e utilizzare un potenziale culturale e manageriale inespresso, ma anche di rappresentare un volano per le generazioni future affinché molte più donne siano invogliate a ricoprire ruoli gestionali o imprenditoriali. Escludere o ridurre la presenza femminile in alcuni contesti lavorativi è una perdita di talento. È dimostrato scientificamente che le donne performano mediamente meglio a scuola e all’università, ma quando arrivano nel mondo del lavoro si verifica un forte sbilanciamento a favore del genere maschile. Migliorare le condizioni di entrata per le donne avrebbe un impatto superiore ai tanti incentivi pensati per garantire loro semplicemente un posto di lavoro.”
L’attenzione scientifica prestata ai problemi del gender gap nel mercato del lavoro è cresciuta negli ultimi anni?
“Sì, è cresciuta molto. C’è moltissima letteratura scientifica sull’argomento che tratta la presenza o assenza del genere femminile in tanti campi di applicazione. Le donne hanno caratteristiche, approcci e valori perlopiù diversi rispetto agli uomini. Ad esempio alcuni studi dimostrano come una consulente o una manager offra maggiore flessibilità decisionale e gestionale. Sotto il profilo imprenditoriale a volte si riscontrano difficoltà superiori ad avviare un’impresa da parte delle donne, ma si registra anche un minor tasso di abbandono o fallimento.”
Sempre dal punto di vista del gender gap nel mercato del lavoro, su cosa bisogna puntare anzitutto per ridurlo?
“Occorre fornire condizioni eque di ingresso nel mercato del lavoro. Garantire un’equa distribuzione dei ruoli e degli incarichi, pari condizioni economiche, di carriera, nonché un supporto in termini di assistenza sociale, ad esempio per la maternità. Sono tutti aspetti di cui si parla molto, ma che presentano ancora ampi margini di miglioramento.”
Come rettrice dell’Università di Ferrara, quale pensa sia il ruolo dell’Università in questo processo?
“Penso che il ruolo dell’università debba essere prima di tutto di carattere culturale. Diffondere non solo da un punto di vista scientifico, ma anche organizzativo, una cultura della parità di accesso e di trattamento del genere femminile nei diversi contesti socio-economici rispetto al genere maschile. Ovviamente entro il perimetro della normativa vigente, tenendo conto delle capacità e delle competenze. Ad esempio nel contesto accademico, avere un rettore donna può essere uno stimolo positivo e avere un effetto di incoraggiamento per tante colleghe.”
In generale, il sistema dell’istruzione superiore del nostro Paese è impegnato a sufficienza nella riduzione di questo gap?
“Qualcosa si sta muovendo, da diverso tempo si parla molto di agevolare e stimolare l’accesso delle donne verso le discipline Stem [Science, Technology, Engineering e Mathematics- scienza, tecnologia, ingegneria e matematica]. Con orgoglio ricordo che nel nostro ateneo il tasso di iscrizione di studentesse ai corsi di laurea Stem supera il 50%. Occorre far comprendere alle studentesse già a livello di scuola superiore le potenzialità delle discipline tecnico-scientifiche in termini di sbocchi occupazionali.”