Domenica 1 ottobre alle ore 11,30 presso l’Aula magna della Facoltà di economia, nell’ambito del festival Internazionale a Ferrara, Marianna Gilli ricercatrice presso il Dipartimento di economia e management dell’Università di Ferrara, esperta di economia ambientale e benessere sociale, parlerà delle implicazioni tecnologiche, ambientali ed etiche della produzione di carne in laboratorio.
Pubblichiamo un’anticipazione dei temi della sua lectio.
La carne coltivata rappresenta una soluzione promettente per molte delle sfide globali che affrontiamo oggi. Da un punto di vista economico, rappresenta una vera e propria innovazione nel settore alimentare che potrebbe creare nuove opportunità economiche, riducendo i costi di allevamento e macellazione e aprendo nuovi mercati per i prodotti a base di carne coltivata. Inoltre, si prevede che possa stimolare ulteriore innovazione nel settore alimentare, creando posti di lavoro e influenzando positivamente l’economia globale.
Cellule in laboratorio al posto di allevamento e abbattimento di animali
Uno dei pilastri dell’innovazione della carne coltivata è la produzione in laboratorio, che permette la crescita delle cellule muscolari in un ambiente controllato, riducendo il ricorso all’allevamento e all’abbattimento di interi animali e lo spreco di diverse parti dell’animale che non riescono a essere commercializzate. Questo processo produttivo non solo riduce la partecipazione degli animali nell’industria alimentare, migliorando così il loro benessere, ma offre anche il potenziale per una produzione più efficiente e sostenibile.
Un altro aspetto rilevante della carne coltivata è la sua promessa di ridurre in modo significativo l’uso di risorse naturali come terra, acqua ed energia rispetto all’allevamento animale tradizionale. Poiché la sostenibilità ambientale è una preoccupazione crescente, questa nuova tecnologia potrebbe contribuire a mitigare la deforestazione legata all’espansione delle terre agricole e ridurre la pressione sull’approvvigionamento idrico, oltre a richiedere meno energia per la produzione rispetto all’allevamento tradizionale.
La carne coltivata offre anche benefici potenziali per la salute pubblica: nonostante il dibattito sia ancora in corso, la scienza suggerisce che la produzione in laboratorio possa ridurre il rischio di contaminazione da patogeni – ad esempio, l’E. coli o la salmonella – spesso associati alla carne ottenuta da animali vivi. Inoltre, il processo di produzione consente un maggiore controllo sulla composizione del prodotto, permettendo, ad esempio, la rimozione dei cosiddetti “grassi nocivi” o l’aggiunta di nutrienti.
L’accettazione passa attraverso un dialogo aperto e trasparente con il pubblico
La sfida più grande che questa innovazione si trova ad affrontare è la sua accettazione da parte del pubblico.
Per molti consumatori, l’introduzione al consumo della carne coltivata in laboratorio può essere influenzata da fattori come la familiarità, la cultura alimentare, le abitudini consolidate e le percezioni personali.
Affinché la carne coltivata possa guadagnare terreno, è cruciale diffondere informazioni accurate sulle sue numerose virtù, tra cui la riduzione dell’impatto ambientale, il miglioramento del benessere degli animali e i potenziali vantaggi per la salute.
È importante coinvolgere attivamente il pubblico in un dialogo aperto e trasparente, affrontando le preoccupazioni legate a questa innovazione e cercando di superare le distorsioni cognitive che possono ostacolare l’accettazione di nuovi prodotti.
L’educazione e la consapevolezza sono le chiavi per creare un ambiente in cui la carne coltivata possa essere accettata come una soluzione positiva per l’industria alimentare del futuro.
Esistono iniziative mirate all’introduzione e promozione in Italia della carne coltivata?
Buongiorno Marco,
grazie per la sua domanda. attualmente la legge vieta la produzione della carne coltivata nel nostro paese. Tuttavia, sarebbe teoricamente possibile importarla, qualora fosse prodotta in Europa. Tenga presente che la produzione di questa carne non si è ancora diffusa e, al momento, è possibile consumarla (con alcune restrizioni) solo in Israele, Singapore e California.