LABORATORIO PACE Costruire la pace con la cultura della nonviolenza al convegno Unife Dall’educazione ai conflitti internazionali: un nuovo approccio deve venire dalla società civile

LABORATORIO PACE Costruire la pace con la cultura della nonviolenza al convegno Unife

Dall’educazione ai conflitti internazionali: un nuovo approccio deve venire dalla società civile

In vista di Aspettando internazionale, che si terrà il 12 e 13 settembre a Ferrara, alcuni dei relatori che parteciperanno alla giornata dedicata a pace e pacifismo anticipano i temi di cui si occuperanno: la cultura della non violenza, sia come mezzo di risoluzione dei conflitti sia come strumento educativo, e la ricerca del dialogo in un conflitto intrattabile come quello tra Israele e Palestina.

La locandina dell’evento (©unife)

Il pomeriggio del 13 settembre sarà infatti caratterizzato da quattro interventi che affronteranno da molteplici prospettive il tema “Pace e pacifismo: un’agenda per il Mondo”, con l’introduzione di Alfredo Mario Morelli e Giuseppe Scandurra, coordinatori del Laboratorio per la pace dell’Università di Ferrara, e moderato dal direttore di Agenda17 Michele Fabbri. 

I saperi della nonviolenza: risolvere i conflitti rispettando la Costituzione 

Il primo intervento sarà di Pasquale Pugliese, filosofo, che si occupa di supervisione educativa e politiche giovanili, oltre a curare percorsi di formazione sulla cultura della pace e della nonviolenza. “Da anni sono impegnato nel Movimento nonviolento – afferma ad Agenda17 – e a Ferrara parlerò dei saperi della nonviolenza per risolvere i conflitti.

Mentre infatti le guerre sono ancora oggi gestite secondo il falso adagio ‘si vis pacem, para bellum, il conflitto in Ucraina è l’ennesima dimostrazione della necessità di mettere in campo i saperi della nonviolenza, quelli cioè dei mediatori, delle resistenze civili, dei corpi civili di pace o degli obiettori di coscienza alla guerra. Il tutto secondo l’etica della responsabilità e la Costituzione, secondo la quale la guerra va addirittura ripudiata.

Pasquale Pugliese, filosofo e membro del Movimento nonviolento (©pressenza.com)

Guerra e violenza sono infatti le dimensioni più evidenti di un sistema di violenza ormai radicato a livello sia strutturale, pensiamo alla corsa agli armamenti e all’aumento delle spese militari, sia culturale, per cui cresce la convinzione che preparando la guerra si possa ottenere la pace. E proprio perché la dimensione culturale è la più profonda e legittima le altre, solo l’educazione e la formazione ci possono salvare dalla catastrofe nucleare.

Purtroppo, infatti, nonostante le organizzazioni internazionali si fondino sulla liberazione dalla guerra, non c’è un investimento internazionale in tal senso: nel 2022 i Governi hanno infatti speso oltre 2mila miliardi di dollari in armamenti e le cifre sono destinate a crescere.

Questo mostra chiaramente quali sono le priorità di Governi e complesso militare-industriale, quindi spetta alla società civile mettere in campo una diversa agenda di ricerca, educazione e azione, e in questo senso è importante anche l’impegno delle Università per la pace, come quella di Ferrara.”

Educare alla nonviolenza con percorsi integrati

Della stessa opinione è anche Elena Buccoliero, sociologa e membro della redazione della Rivista Azione non violenta, il cui intervento seguirà quello di Pugliese. “Lavoro con bambini e adolescenti, scuole e famiglie, da oltre trent’anni – afferma ad Agenda17 – e mi sono occupata di bullismo, maltrattamenti in famiglia, violenza di genere, femminicidi e gestione nonviolenta dei conflitti.

Nel mio intervento illustrerò alcune esperienze educative che vanno nella direzione della nonviolenza come metodo per una convivenza possibile, dove ci sia spazio per diversità, confronto e anche il conflitto non distruttivo.

Elena Buccoliero, sociologa (©azionenonviolenta.it)

L’educazione alla nonviolenza, infatti, comprende diversi sentieri di ricerca che si integrano tra loro. Ad esempio la nonviolenza come oggetto di studio, per apprendere tecniche e metodi che non sono spontanei ma mirano agli obiettivi, e la nonviolenza come metodo da sperimentare nel quotidiano: questi percorsi dovrebbero procedere insieme, perché non è credibile una scuola che insegna Gandhi e Capitini ma resta indifferente alle discriminazioni, o non si accorge della violenza strutturale che la caratterizza.

Così a livello europeo: i progetti finanziati dai bandi, o i proclami sulle carte, dovrebbero essere accompagnati da una certa coerenza. Sono sconcertata da come si mantenga l’immagine di un’Europa fondata su diritti umani e ricerca della pace, ma al contempo si stringano accordi con Paesi dove i migranti sono torturati, o si lasci che i pacifisti e gli obiettori di coscienza russi, ucraini e bielorussi siano portati a processo anziché accoglierli con lo status di rifugiati.

Approfondire la nonviolenza significa dunque assumere strumenti di lettura e consapevolezza su quello che si sta vivendo e chiedersi quale sia il modo migliore per agire. Il che vuole dire anche chiedersi se non sia ugualmente onorevole sottrarsi all’istinto dell’escalation e fare qualcosa di sorprendente come ascoltare il punto di vista della controparte.”

Il conflitto tra Israele e Palestina: manca la volontà politica, ma le soluzioni ci sono

La seconda sessione, infine, sarà dedicata alle guerre dimenticate e la prima relatrice sarà Aide Esu, sociologa presso l’Università di Cagliari e delegata per la Rete delle Università della pace (RUNIPace). “Mi occupo soprattutto del conflitto tra Israele e Palestina – afferma ad Agenda17 – e ho studiato sia alcuni movimenti pacifisti israeliani e palestinesi sia il discorso pubblico dei militari in Israele.

Aide Esu, sociologa presso l’Università di Cagliari (©linkedin)

Se guardo alla realpolitik non credo, purtroppo, che ci siano soluzioni pacifiche al conflitto tra Israele e Palestina. Tuttavia, se rispondo con l’idea della speranza e degli auspici dico che sì, ci sono, perché sul campo esistono tante persone che ci credono e agiscono in tal senso. Il problema di fondo è la volontà dei politici israeliani e della collettività internazionale, che continua a non mostrare interesse per la sua soluzione.

Non so dire se l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) stia svolgendo bene o male il suo lavoro di risoluzione pacifica dei conflitti, ma da studiosa posso comunque notare come sul campo l’Onu non sia più percepita quale l’istituzione autorevole che era in passato.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *