Se in Italia la povertà è sempre più multidimensionale, come abbiamo visto con l’ultimo report Caritas, nel resto del Mondo la situazione non è certo migliore, in particolare sul fronte sanitario.
Il sistema sanitario pubblico rappresenta infatti la principale tutela di un diritto, quello alle cure mediche, che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riconosce tra quelli fondamentali. Oggi, però, a livello globale la tendenza va nella direzione opposta: la privatizzazione avanza in tutto il Mondo e, con essa, si moltiplicano le disuguaglianze.
Come denunciato dal report “Sick development” di Oxfam International, “le istituzioni finanziarie per lo sviluppo appartenenti ai Governi europei e al Gruppo banca mondiale stanno spendendo centinaia di milioni di dollari in ospedali a scopo di lucro nel Sud del Mondo che impediscono ai pazienti di ricevere le cure, o li mandano in bancarotta, o addirittura li tengono prigionieri se non possono saldare i pagamenti.”
Il report ha analizzato infatti i flussi di denaro dalle istituzioni finanziarie internazionali per lo sviluppo (Development Financial Institutions, DFI) di Regno Unito, Francia, Germania, Unione europea e Banca mondiale verso i fornitori di servizi sanitari privati nel Sud del Mondo.
Con indagini su quasi 400 investimenti, si è cercato di capire se le promesse di sostenere una copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHC) sono state mantenute e gli obblighi di proteggere i diritti rispettati.
Cure negate durante il Covid e pazienti poveri tenuti in ostaggio
Già a partire dall’iniquo accesso alle cure durante la pandemia la risposta a questi interrogativi appare negativa. Durante il Covid-19, infatti, sono stati negati ad alcuni pazienti gli accessi alle strutture, mentre si vendevano ad altri letti di terapia intensiva a prezzi molto elevati.
Si tratta però di una prassi consolidata: nei Paesi a medio e basso reddito molti ospedali privati negano le cure necessarie e, spesso, sono finanziati dai Governi europei e dalla Banca mondiale.
La realtà di questi ospedali è a tal punto critica che sono attestati casi di pazienti, compresi neonati, tenuti lì prigionieri per non aver pagato le fatture. Oltre a ciò, è negato il diritto alle cure di emergenza, i trattamenti sanitari sono molto costosi e i pazienti che hanno diritto alle cure gratuite sono invece spinti nella povertà, dovendo pagare tariffe elevate per accedere ai servizi sanitari.
Basti pensare che, per partorire in un ospedale privato a Maputo (Mozambico), una donna facente parte del 40% più povero della popolazione deve spendere il guadagno di un intero anno.
Oxfam vuole dunque lanciare un appello per interrompere questi finanziamenti e avviare con urgenza un’indagine indipendente sugli investimenti delle DFI.
Gli esempi riportati, compresi quelli dai due Paesi con la più alta percentuale di investimenti, cioè Kenya e India, dimostrano che i ritorni che tali finanziamenti potrebbero avere, lungi dal favorire UHC e diritto alla salute, hanno invece un prezzo inaccettabile.
Kenya: il profitto prima della salute
Prendiamo come esempio il Kenya, dove nel 2001 è stato fondato il Nairobi Women Hospital.
È una catena che fornisce servizi a pazienti di genere diverso e gestisce nove ospedali e strutture privati nel Paese.
Dal 2017 ci sono state diverse segnalazioni di pazienti tenuti in ostaggio perché impossibilitati a saldare le fatture mediche, anche dopo la pronuncia di un tribunale che nel 2018 aveva sancito l’illegalità di tale operato in violazione della Costituzione kenyota.
Nonostante ciò, istituzioni finanziarie di Germania, Francia nonché l’International Finance Corporation (IFC, la società del Gruppo Banca mondiale a sostegno degli investimenti privati nei Paesi in via di sviluppo) vi hanno investito per la prima volta nel 2010 tramite l’Africa Health Fund.
Si sono poi aggiunti investitori norvegesi, africani e la Gates Foundation. Si parla di cifre che, nel 2016, andavano dai 10 milioni di dollari della Proparco francese ai 150 milioni dell’IFC.
In un’intervista di quell’anno, l’allora amministratore delegato ha chiarito esplicitamente che la politica dell’ospedale prevedeva di trattenere i pazienti per i mancati pagamenti, compresi i corpi dei defunti.
Purtroppo, la rapida e ingente iniezione di denaro da parte della finanza globale ha ulteriormente intensificato la spinta al profitto, portando a “fare soldi dai pazienti con ogni mezzo necessario”.
Le istituzioni finanziarie devono monitorare la destinazione dei loro fondi
Tutto ciò è esemplificativo di come i meccanismi di monitoraggio delle DFI siano inadeguati. Rimangono aperte importanti questioni, a partire dall’identificazione di questi crimini, peraltro ben documentati: si tratta di incapacità di controllo oppure le istituzioni ne erano a conoscenza e non hanno agito per fermarli?
Inoltre, agiranno ora per rimediare ai danni causati ai pazienti? Secondo Oxfam nulla porta a dare fiducia all’esame in atto sugli investimenti erogati per evitare che tutto ciò si ripeta, in particolare per quanto riguarda le detenzioni dei pazienti: il fenomeno infatti è in diffusione in molti Paesi in cui DFI sta investendo, compresi Uganda, India e Nigeria.
Tale pratica non è solo una violazione dei diritti umani fondamentali e la prova di una inadeguata regolamentazione negli ospedali, ma è anche indizio del fatto che i servizi privati sono inaccessibili alla maggioranza. Il fallimento della due diligence di DFI per identificare tali pratiche porta a sollevare dubbi su tutta l’assistenza sanitaria dei loro investimenti.
Investire nella sanità pubblica per garantire il diritto alle cure
Il report dimostra dunque la pericolosità dell’idea che spendere i fondi per lo sviluppo su costose cure sanitarie private in contesti di estrema disuguaglianza e inadeguata regolamentazione possa aiutare a combattere la povertà sanitaria e favorire la sanità per tutti.
Agire diversamente è possibile: ad esempio, l’Etiopia ha investito gli aiuti dei donatori nella sanità pubblica, raggiungendo molti degli obiettivi per lo sviluppo, compresa la riduzione di oltre il 70% delle morti materne (è proprio nei Paesi a basso reddito con il 90% dei servizi sanitari pubblici che le morti per parto sono nettamente inferiori).
Oggi invece metà del Mondo non ha accesso nemmeno all’assistenza sanitaria di base e sessanta persone al secondo sono spinte nella povertà per dover pagare di tasca propria l’assistenza sanitaria.
Non si tratta di eliminare la sanità privata, ma di capire che i finanziamenti pubblici per lo sviluppo non devono investire in queste strutture. Raggiungere un’assistenza sanitaria universale implica, al contrario, una strategia che parta dalla fornitura di servizi di emergenza gratuiti, incontrando prima di tutto i bisogni e i diritti di donne, uomini e bambini più poveri e marginalizzati.