Venivamo da una prolungata siccità nel 2022 e 2023, quando il cambio di rotta del mese di maggio – che ha prodotto le alluvioni in Emilia Romagna – ha portato significative nevicate tardive in quota sui monti, che, se hanno colmato temporaneamente i corsi d’acqua, non hanno potuto però ristabilire le condizioni di equilibrio dei fiumi alpini. Alpstream è il nome del primo Centro di ricerca per lo studio dei fiumi alpini del nostro Paese, e si occupa di analizzare la relazione tra crisi climatica e stato dei fiumi alpini. Sono ricerche preziose perché permettono di individuare fenomeni meno appariscenti di quanto non sia un grande fiume come il Po in secca in pianura, ma che costituiscono il campanello d’allarme anche per altre problematiche.
Alpstream fa ricerca “ a monte”
Alpstream si trova ad Ostana, uno dei paesi più belli d’Italia in valle Po, in Piemonte, che offre un panorama privilegiato sul Monviso e vanta un sapiente recupero dell’architettura alpina.
Il centro nasce dalla collaborazione tra il Parco del Monviso, le Università di Torino e del Piemonte Orientale e il Politecnico di Torino, grazie ad un progetto Interreg (un’Iniziativa comunitaria finanziata dal Fondo europeo di sviluppo regionale – Fesr), e si pone l’obiettivo di promuovere le conoscenze relative all’ecologia e idromorfologia degli ecosistemi acquatici.
Stefano Fenoglio, docente presso l’Università di Torino, Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi (Dbios), è cofondatore del Centro per lo studio dei fiumi alpini nonché autore di saggi sull’ecologia fluviale tra cui l’ultimo appena pubblicato “Uomini e fiumi, storia di un’amicizia finita male”, edito da Rizzoli.
Abbiamo chiesto a Fenoglio di raccontarci alcuni dei risultati delle ricerche svolte dal Centro.
Cambiano le portate: batteri nei torrenti affluenti del Po e scomparsa di biodiversità
“Uno dei progetti a cui stiamo lavorando quest’anno come UniTo presso il centro di ricerca Alpstream- spiega Fenoglio – è legato alla qualità delle acque nei fiumi alpini come conseguenza della sua quantità.”
Spesso si pensa al problema della diminuita quantità delle acque nei fiumi come conseguenza della crisi climatica e ci si preoccupa, giustamente, degli effetti che questo possa avere sulla vita delle persone dal momento che l’acqua dei fiumi, pur essendo solo lo 0,0002% di quella presente sul pianeta Terra, è, di fatto, quella che utilizziamo per scopi umani tra cui l’agricoltura, l’industria e gli usi civili. Tuttavia, un punto a cui occorre prestare attenzione è quello della qualità come strettamente dipendente dalla quantità di acqua presente.
“Una discreta quantità di acqua nei fiumi ci permette – spiega Fenoglio- di diluire correttamente i nostri reflui, che sversiamo in fiume. Il focus di uno dei nostri progetti di ricerca è analizzare la qualità dell’acqua di alcuni torrenti dal punto di vista microbiologico, chimico ed ecologico ovvero ricercando alcune tipologie di batteri, di sostanze chimiche e di nutrienti come fosfati e nitrati che sono indicatori del carico organico delle acque.
Nelle acque di tre torrenti piemontesi affluenti della sinistra orografica del Po, il Pellice, lo Stura di Lanzo e il Malone, abbiamo per esempio trovato alcuni ceppi di Escherichia coli che sono patogeni pericolosi per l’uomo e la preoccupante presenza di Salmonella. Stiamo procedendo con le analisi dei dati per una prossima pubblicazione.”
Sempre in relazione allo stato delle acque, Alpstream collabora con l’Université Savoie Mont Blanc di Chambery per lo studio della variazione dei regimi dei fiumi alpini come conseguenza della crisi climatica. “I dati raccolti finora e di prossima pubblicazione – dichiara fenoglio, segnalano una uniformazione dei regimi delle varie tipologie dei corsi d’acqua con la perdita della peculiarità dei fiumi glaciali che manifestano periodi di piena a luglio ed agosto per la fusione dei ghiacciai.”
Essendo infatti il fenomeno di fusione dei ghiacciai costante per tutto il corso dell’anno, in quanto processo inesorabile e continuo, e venendo a mancare un vero accumulo nel periodo invernale, i regimi dei fiumi glaciali hanno perso i loro periodi di piena e si sono uniformati a quelli non glaciali con un evidente effetto in termini di biodiversità.
Alcuni taxa specializzati, ovvero gruppi di organismi che si sono evoluti gradualmente nel corso di migliaia di anni per vivere specificatamente in ambienti glaciali, stanno sparendo silenziosamente. “Per esempio – spiega il docente ad Agenda 17- in questo ed in altri studi abbiamo osservato una diminuzione dei diamesini, moscerini molto adattati ai sistema glaciali, e dei plecotteri”. Questi ultimi sono un ordine di insetti che richiede per vivere acque fredde e ben ossigenate e sono i macroinvertebrati più usati come indicatori ambientali per la loro spiccata sensibilità all’inquinamento e alla variazioni di condizioni nei corsi d’acqua.
I corsi d’acqua montani dell’Europa sud-occidentale stanno attualmente passando da un flusso perenne a uno intermittente a causa degli effetti combinati di crisi climatica e delle pressioni antropiche locali come la captazione massiccia per uso irriguo.
“Già i risultati di analisi precedenti indicano che la recente intermittenza del flusso ha causato drastici cambiamenti nelle comunità di invertebrati bentonici nei torrenti alpini – afferma Fenoglio -.
Non sappiamo esattamente quali potranno essere le conseguenze della diminuzione o progressiva sparizione di alcune specie viventi dai nostri corsi d’acqua, ma sappiamo che un ecosistema è come un puzzle e togliere progressivamente alcuni tasselli porta inevitabilmente al crollo dell’ecosistema stesso.
I dati ci dicono che nei corsi d’acqua abbiamo un grande serbatoio di biodiversità: il 6% delle specie viventi descritte sul pianeta Terra, un terzo dei vertebrati conosciuti del sistema Terra, vivono nei fiumi.
Spesso i progetti di tutela e conservazione sono focalizzati su specie animali molto amate e conosciute dal grande pubblico che più facilmente viene così sensibilizzato, ma nei nostri fiumi risiedono gruppi di organismi dalla cui estinzione potrebbero dipendere altri effetti a cascata di cui non siamo ancora a conoscenza e che probabilmente avranno effetti negativi anche sui di noi.”
Salvaguardia di sei specie a rischio
Da questa chiara consapevolezza nasce il più ambizioso tra i progetti di ricerca che conducono ad Alpstream come capofila: si tratta della salvaguardia di sei specie di pesci a rischio nel bacino idrografico del fiume Po.
Life Minnow è un progetto Finanziato dal programma Life Natura 2021-2027 vede il coinvolgimento di un ampio partenariato a fianco del Dbios dell’Università di Torino.
L’iniziativa è stata inserita nella sezione “Nature and Biodiversity” del programma LIFE, strumento finanziario dell’Unione europea per l’Ambiente e il Clima. Obiettivo è realizzare interventi nel bacino secondario dell’Alto Po per impedire il declino di sei specie ittiche inserite nell’Allegato II della Direttiva Habitat: la lampreda (Lethenteron zanandreai), la lasca (Protochondrostoma genei), la savetta (Chondrostoma soetta), il cobite (Sabanejewia larvata), il vairone (Telestes muticellus) e lo scazzone(Cottus gobio).
“Queste specie rappresentano una porzione di biodiversità poco conosciuta al grande pubblico e prive di interesse commerciale, ma svolgono una funzione fondamentale nella rete trofica del reticolo del fiume Po. L’unico modo per capire come mai stanno sparendo è studiarle più a fondo – continua Fenoglio -. Abbiamo appena pubblicato un primo studio sull’ecologia della lampreda d’acqua dolce, vertebrato acquatico privo di mascelle, sulle cui preferenze di habitat non si conosceva quasi nulla.
La maggior parte del ciclo vitale della lampreda si svolge nello stadio larvale fossorio, che è anche l’unico in cui gli organismi si nutrono, pertanto le informazioni sulle sue esigenze ecologiche sono essenziali per qualsiasi strategia di conservazione. I primi risultati mostrano che condizioni particolari di sabbia e ghiaia fine, con basso contenuto organico, sono preferiti dagli ammocoeti, ovvero gli stadi larvali delle lamprede.
Le temperature che stiamo misurando nelle acque dei fiumi sono sempre più alte – continua Fenoglio- l’estate scorsa abbiamo toccato i 31° C a 600 m di quota e questa condizione non può che rappresentare un problema per alcune specie ittiche. L’unica possibilità per proteggere e gestire correttamente un ambiente fluviale è quello di partire dal suo studio e dal conoscere le sue peculiarità”.
Uomini e fiumi, storia di un’amicizia finita male
Nel suo recente saggio “Uomini e fiumi, storia di un’amicizia finita male”, lo studioso ripercorre con approccio storico il legame tra lo sviluppo di alcune antiche civiltà e la gestione dei corsi d’acqua attorno a cui si sono sviluppate le stesse civiltà che da nomadi sono diventate stanziali anche grazie all’acqua che potevano sfruttare per le neonate pratiche agricole.
Sin dai tempi antichi, chi gestiva le acque di un fiume di fatto governava le genti e distribuiva il potere. Un’antica statuetta del Re Gudea di Mesopotamia lo raffigura con una sorgente in mano proprio a simboleggiare l’importanza della gestione dell’acqua nel governo di una società. Tra le più antiche tavolette di argilla con scritture cuneiforme ci sono testimonianze su come gestire i fiumi a dimostrazione della primaria importanza che la gestione dell’acqua ha sempre avuto nello sviluppo delle società umane.
“Mi piace definirci una specie fluviale, culturalmente legata ai fiumi e spero che questo rapporto d’amicizia che abbiamo sporcato con la cattiva gestione volta al nostro immediato profitto, possa essere ripristinato recuperando la progressiva conoscenza dei fiumi e della loro ecologia per un benessere collettivo”.