“La povertà in Italia può ormai dirsi un fenomeno strutturale visto che tocca quasi un residente su dieci. Il 9,4% della popolazione residente vive infatti, secondo l’Istat, in una condizione di povertà assoluta”: si apre così il primo Report statistico nazionale sulla povertà presentato recentemente dalla Caritas italiana. I dati si riferiscono a 255.957 persone che si sono rivolte ad essa nel 2022, con un incremento del 12.5% rispetto al 2021.
Solo quindici anni fa, infatti, la povertà assoluta riguardava il 3% della popolazione: se nel 2008 erano poco meno di 2 milioni le persone colpite, oggi salgono invece a 5.571.000. Continua dunque l’effetto sulle diseguaglianze della crisi pandemica, cui si aggiungono la guerra in Ucraina e l’aumento dei prezzi al consumo, i cui effetti pesano soprattutto sulle famiglie meno abbienti (hanno subito un rincaro dei prezzi del 17,9% contro il +9,9% della parte più ricca).
Fragilità economica e lavorativa, problemi abitativi, famigliari e di salute
In generale, le principali vulnerabilità rilevate sono la “fragilità economica” (78,5%), a causa soprattutto di redditi insufficienti o totale assenza di entrate; segue il “lavoro” (45,7%), in particolare la disoccupazione ma anche precariato e lavoro nero; infine la “questione casa” (23,1%), quindi persone prive di abitazione (16,9%, soprattutto al Nord), oppure in abitazioni provvisorie o sistemazioni precarie e inadeguate. Quest’ultimo dato, in particolare, registra una continua crescita negli ultimi anni.
Alle difficoltà di tipo materiale si aggiungono poi problemi familiari (13%), in particolare separazioni e divorzi, morte del congiunto o maternità nubile, e problemi di tipo sanitario (11,6%), tra cui spiccano depressione, malattie mentali cardio-vascolari e oncologiche.
Rispetto a questo la Caritas ricorda che “è doveroso richiamare l’articolo 32 della nostra Costituzione che riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale per ciascun individuo. E in tal senso il nostro sistema nazionale pubblico è un fattore protettivo, di resilienza nei confronti delle disuguaglianze; è tuttavia necessario sostenerlo e potenziarlo, specialmente in alcune zone del Mezzogiorno, prestando particolare attenzione alle persone che presentano bisogni sanitari intrecciati ai bisogni sociali.”
Infine sono diffusi i problemi connessi allo status di migrante, soprattutto la precarietà di chi fugge da situazioni di guerra e dei rifugiati, problematiche burocratiche e difficoltà legate alle domande di asilo, nonostante le misure eccezionali adottate nel caso dei rifugiati ucraini.
Gli assistiti provengono dall’Ucraina e da tutto il Mondo
La crescita nel numero di persone assistite nel 2022 è dovuta soprattutto alla crescita degli ucraini accolti dalla Chiesa (da 3.391 nel 2021 a 21.930), ma anche escludendo la guerra il trend è comunque in crescita, con un +4,4% del totale di assistiti rispetto al 2021.
Tra le Regioni, sono più colpite Liguria (353,6 persone in media per centro), soprattutto a causa del flusso di profughi nella diocesi di Ventimiglia-Sanremo, Sardegna (119 persone) e Calabria (114).
Qual è però il profilo di chi si rivolge ai centri Caritas? La differenza di genere non è marcata (52,1% di donne e 47,9 di uomini), mentre cresce la percentuale di stranieri: 59,6% nel 2022, contro il 55% nel 2021 – ma con punte del 68,6% nel Nord-Ovest.
Ciò che rileva in particolare il report è la loro provenienza: da quasi il 90% degli Stati, con 182 nazionalità rilevate, il che rende l’idea “della complessità culturale di cui occorre tenere conto nel momento in cui si avviano con queste persone delle relazioni di aiuto e accompagnamento”. Tra di esse sono più presenti Marocco, Ucraina, Romania, Nigeria e Albania.
Un indigente su quattro è un bambino
Per quanto riguarda lo stato civile, tra gli italiani prevalgono le persone separate o divorziate (23,5%), i celibi/nubili (30,2%) e le persone vedove (9%), mentre tra gli stranieri sono più numerosi i coniugati (56,4%). Inoltre due assistiti su tre (65,6%) hanno figli e oltre l’80% vive con figli minori.
Questi dati sono legati di nuovo all’aumento di cittadini ucraini, poiché a fuggire sono soprattutto donne e bambini, ma anche alla difficile situazione delle famiglie con minori in Italia. Nel nostro Paese, infatti, “la povertà assoluta tende a crescere al diminuire dell’età” e sono i minori a registrare l’incidenza più alta (14,2%, contro il 5,3% degli over sessantacinque).
I bambini poveri sono complessivamente 1.400.000, dunque un indigente su quattro, e “spesso nascere e crescere in una famiglia povera può costituire il preludio di una vita connotata nella sua interezza da condizioni di deprivazione, di una povertà che si tramanda di padre in figlio”. Il 60% degli assistiti, infatti, proviene da famiglie a loro volta in condizioni di fragilità economica.
Povertà e istruzione: prevale la bassa scolarità, ma crescono i laureati
Rimane marcata la relazione tra povertà e bassa scolarità: i due terzi degli assistiti Caritas sono costituiti da livelli bassi o molto bassi di istruzione, dunque persone con licenza media, seguiti dalla licenza elementare e da chi non possiede titoli di studio o è analfabeta.
Sono però in crescita rispetto al 2021 le persone con studi più elevati. Chi possiede la licenza media superiore passa infatti dal 15,9% al 16,9% e i laureati aumentano di quasi due punti, dal 4,1% al 5,8%: la povertà, dunque, è sempre più trasversale.
La percentuale di bassa scolarità sale a 75,6% tra gli italiani e anche tra i giovani la situazione è la stessa, con il 56,8% dei giovani tra diciotto e trentaquattro anni con la sola licenza media. Gli stranieri assistiti possiedono invece in media titoli di studio più elevati, che però spesso non sono legalmente riconosciuti.
Povertà e lavoro: non solo disoccupati, ma anche redditi troppo bassi
Sul fronte lavorativo, infine, prevalgono disoccupati o inoccupati (48%), seguiti dal 22,8% di persone in condizioni di indigenza. Come rileva il report, “sono oltre dieci anni che si dibatte sul fenomeno dei working poor (lavoratori poveri) e degli in work poverty (lavoratori poveri su base familiare), entrambi particolarmente incisivi nel nostro Paese (più che nel resto d’Europa).”
A pesare sono molteplici fattori: la grande diffusione di lavori a bassa remunerazione e bassa qualifica, il basso tasso di occupazione femminile, le differenze tra Nord e Sud, il dualismo di contratti stabili e lavoratori precari, la precarietà, l’incidenza di lavori irregolari, l’incremento del part-time involontario, la stagnazione dei salari e la marcata presenza di Not in Education, Employment or Training (Neet) e la disoccupazione giovanile.