A quasi quattro mesi di distanza dalla notifica del decreto a Bruxelles da parte del Ministero italiano dell’ambiente e della sicurezza energetica per ottenere il via libera necessario alla svolta normativa che consenta il decollo delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) nel nostro Paese, la risposta positiva dell’Unione europea (Ue) si fa ancora attendere.
Secondo Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos, che ha illustrato i risultati di un’indagine d’opinione al seminario della Fondazione Symbola che che si è svolto recentemente a Mantova, “c’è una buona propensione alla partecipazione da parte dei cittadini (60%), che riconoscono le notevoli potenzialità delle comunità energetiche, sia in termini economici, sia in termini di capitale sociale.
Dal punto di vista economico i cittadini vedono, infatti, nelle Cer un aiuto solido e concreto nell’affrontare la crisi energetica e il conseguente aumento dei costi, relativamente al capitale sociale sei cittadini su dieci le considerano un valido contributo per rafforzare i legami di comunità con il territorio. Pertanto, è evidente l’apertura dei cittadini verso questo strumento, ma tuttavia rimane ancora da colmare un gap informativo; di fondamentale importanza, quindi, continuare con gli sforzi di promozione per sensibilizzare la popolazione e guidarla ad una transizione più che mai necessaria.”
Uno dei punti fondamentali del gap di informazione richiamato da Pagnoncelli riguarda il fatto che le Cer sono spesso ritenute soluzioni marginale, un po’ elitarie, più dimostrative che risposte di sistema, in quanto sarebbero difficilmente integrabili nella attuale rete di produzione e distribuzione elettrica, e soffrirebbero in maniera determinante della discontinuità di produzioni delle rinnovabili e dell’insufficienza di accumulo nei momenti di produzione.
Ma è veramente così? In realtà lo sviluppo e la diffusione delle Cer e di altre realtà finalizzate alla produzione di energia elettrica diffusa, condivisa e da fonti rinnovabili è in forte crescita e sta rivoluzionando le normali dinamiche di mercato. E gli ostacoli tecnici sono tutti superabili sia per le conoscenze scientifiche già attualmente disponibili (non progetti di laboratorio) sia per la buona qualità della rete di distribuzione nazionale.
La rete elettrica attuale è nata per i grandi impianti. È compatibile con le Cer?
Tra i principali limiti che generalmente vengono attribuiti a questo nuovo modello ci sono la difficoltà di adeguare la rete elettrica nazionale a un sistema di produzione diffuso e capillare e la discontinuità della produzione tipica dei sistemi fotovoltaici ed eolici.
La rete elettrica italiana è nata e si è sviluppata basandosi su una produzione di energia elettrica tipicamente centralizzata, ossia concentrata in grandi impianti di produzione (per lo più grandi impianti idroelettrici e termoelettrici).
La scelta fu dovuta al fatto che i grandi impianti potevano garantire costi di produzione ridotti, una produzione continua e capace di adattarsi, in tempo quasi reale, alla domanda degli utenti; era quest’ultima una caratteristica fondamentale per la produzione di un’energia, quella elettrica, tecnicamente difficile da accumulare in grandi quantità.
Per diretta conseguenza la rete di distribuzione dell’energia elettrica è stata progettata e realizzata in modo che il flusso di energia fosse sempre dall’alta e altissima tensione (per trasportare grandi quantità di energia dagli impianti di produzione fino a punti anche molto distanti), alla media tensione (per distribuire l’energia su un singolo territorio) fino alla bassa tensione (per portare l’energia alle singole utenze).
Per comprendere se l’attuale sviluppo di piccoli e piccolissimi impianti di produzione diffusi possa mettere davvero in crisi il nostro sistema elettrico abbiamo incontrato Matteo Zulianello, ricercatore di Ricerca sistema energetico (Rse), società del Gestore servizi energetici (Gse) che svolge attività a supporto delle istituzioni (Ministeri, in particolare MASE; Regioni ed Enti locali; ARERA), effettuando analisi di scenari energetici e studi specialistici su numerose tematiche del sistema elettrico ed energetico.
Rse deve fare e sta facendo, per legge, una serie di analisi e valutazione per capire come gli schemi di autoproduzione e autoconsumo collettivo delle Cer vanno a impattare sulla rete sia in termini di esercizio che in termini di pianificazione.
La rete è già adeguata, bisogna ottimizzare il sistema
“La produzione distribuita non è nata con le Cer – afferma ad Agenda17 Zulianello – ma esiste da almeno quindici, vent’anni, dai primi conti energia che incentivavano e hanno favorito la nascita di impianti anche di dimensione domestica e condominiale.
Tecnicamente quindi la rete si è già dovuta adeguare a flussi di energia che vanno in direzione opposta al flusso “classico” (quindi dalla bassa tensione alla media, fino alla alta), anche se è chiaro che dovranno esserci degli aggiustamenti sia in fase di pianificazione che in fase di esercizio.
Con il diffondersi su larga scala delle Cer e di altre tipologie di impianti diffusi, la rete deve essere pronta a rispondere all’esigenza di una ottimizzazione per un nuovo modello di produzione e consumo.”
“In linea generale, per ridurre al minimo le perdite di rete, l’ideale sarebbe – prosegue Zulianello – che ovunque ci sia una produzione locale ci si organizzi per fare in modo che quella energia sia consumata nello stesso momento e nelle immediate vicinanze.
L’ottimizzazione del sistema consiste quindi nel cercare una produzione contestuale al consumo, cercando di rimanere sulla rete di bassa tensione, evitando così salti di tensione e lunghe percorrenze che, inevitabilmente, generano perdite di energia.
Per arrivare a questo risultato sia la Direttiva Rinnovabili, sia la Direttiva Mercato (i due testi di legge di riferimento in questo campo) aprono la strada a nuovi scenari: se oggi, infatti, le Cer si concentrano solo sulla produzione e consumo locale di energia elettrica, in futuro potranno integrarsi maggiormente in tutto il sistema, fornendo servizi ai gestori di rete, gestendo loro stesse le reti, utilizzando e gestendo sistemi di accumulo dell’energia.
Quello che ci aspettiamo è che le Cer arrivino a interagire integralmente con la rete, consentendo di sviluppare un esercizio pianificato intorno ai singoli impianti, con conseguenti enormi benefici per tutto il sistema.”
Discontinuità, le chiavi sono pianificazione e accumuli
Alcune fonti rinnovabili come il sole e il vento non sono programmabili e sono fortemente discontinue.
Il rischio di discontinuità del servizio è quindi evidente.
“Tutto questo modello che si sta sviluppando – afferma Zulianello – dovrà essere bilanciato in un sistema complesso. Non sono le Cer che si possono prendere in carico la garanzia della continuità del servizio, ma il corretto funzionamento delle Cer, in stretta sinergia con tutti gli altri attori, aiuta ed è assolutamente necessario.
Nel sistema complessivo quello a cui puntiamo è che il fotovoltaico e l’eolico vadano a interagire con quelle tecnologie produttive e di accumulo che invece sono programmabili come, per esempio, i pompaggi idroelettrici e gli accumuli elettrochimici.
Si potrà e si dovrà fare pianificazione considerando consumi e produzioni stimate in un dato luogo e in un dato momento garantendo così il bilanciamento complessivo.”
Attualmente questo bilanciamento tra domanda e offerta è garantito, in parte, con la produzione termoelettrica. Ma se il termoelettrico deve andare a sparire nei prossimi anni è evidente che dovremo arrivare a un sistema in grado di spostare la disponibilità di energia dal momento della produzione al momento del consumo; dovranno cioè svilupparsi sistemi in grado di accumulare grandi quantitativi di energia sfruttando tutti i sistemi a disposizione siano essi elettrochimici (le batterie) o fisici (i pompaggi idroelettrici).”
Anche su questo Zulianello ha le idee chiare: “Non è una cosa che si fa dall’oggi al domani e dobbiamo tenere conto del fatto che non siamo arrivati al culmine della maturità tecnologica rispetto agli accumuli; siamo in momento di crescita e sviluppo ancora molto alti sia delle tecnologie sia delle potenzialità e quindi ci aspettiamo che tra quattro o cinque anni la situazione sarà molto diversa rispetto all’ attuale. Non solo è realistico ma è, probabilmente, l’unica strada che abbiamo davanti.”
Gli accumuli fino a poco tempo fa erano progettati come la rete, per essere monodirezionali: l’energia prodotta e/o prelevata dalla rete veniva cioè accumulata (per esempio nelle batterie di un’automobile) per essere poi utilizzata direttamente dal sistema collegato all’accumulo.
Negli ultimi anni si progettano e sviluppano accumuli bidirezionali. Per i veicoli elettrici e per le batterie domestiche, che costituiscono migliaia di mini accumuli diffusi, si parla, per esempio di sistemi “to grid”, sistemi in grado di scambiare in maniera intelligente energia con la rete. In questi sistemi le batterie possono rappresentare un accumulo finalizzato sia all’utilizzo diretto dell’utente proprietario (il motore dell’automobile, gli elettrodomestici di casa, ecc.), sia, quando non utilizzato, al bilanciamento della rete.
Naturalmente occorrerà un sistema in grado di governare efficacemente i flussi in entrata e in uscita e servirà un soggetto che gestisca questo sistema.
È un’azione che verrà svolta dagli aggregatori, soggetti che raccoglieranno e gestiranno tanti piccoli accumuli come se fosse uno solo più grande.
“In definitiva i problemi tecnologici sembrano superabili – conclude Zulianello -; bisognerà vedere poi come si svilupperanno queste iniziative nei diversi territori.”
Un sistema economicamente sostenibile
È chiaro che sistemi di questo tipo difficilmente potranno garantire alti ritorni degli investimenti e quindi probabilmente saranno poco appetibili per il mercato. Le comunità energetiche nascono anche per questo motivo. Essendo iniziative non commerciali e senza finalità di lucro abilitano dei ragionamenti in certi casi impensabili per il mondo industriale e imprenditoriale.
Stiamo però assistendo a un grandissimo sforzo di tutti gli attori della filiera per sviluppare questo modello ed è quindi presumibile che un interesse ci sia.
Articolo fatto molto bene, tecnicamente corretto e comprensibile da tutti. Complimenti agli autori e auspico massima condivisione.