Buttato lì quasi per scherzo dal geochimico Paul Crutzen al convegno del Programma Internazionale Geosfera-Biosfera del 2000, il termine Antropocene in poco tempo ha preso a vivere di vita propria. Sfuggendo dalle mani della ristretta comunità scientifica per piombare in mille altri ambiti, dagli studi umanistici e sociali al mondo della letteratura e fino alle varie forme d’arte.
Quale sedimento geologico marca l’ingresso nell’Antropocene?
Per i geologi, adesso come adesso viviamo nell’Olocene, un’epoca geologica iniziata 11.700 anni fa con l’ingresso nell’attuale fase interglaciale. Passare a una nuova epoca geologica – l’Antropocene appunto – non è cosa da poco. Non basta sapere che gli impatti delle attività umane sono sempre più catastrofici. Bisogna trovare un segno, un marker cronostratigrafico, che lasci incisa questa testimonianza nella roccia. I candidati non mancano, dai radionuclidi ai polimeri plastici e fino alle ceneri dei combustibili fossili, ma i geologi del Gruppo di lavoro sull’Antropocene non si sono ancora messi d’accordo su quale scegliere.
Sembra comunque che la decisione sia imminente. A quanto pare, ricadrà sugli isotopi radioattivi rilasciati dalle esplosioni nucleari a metà del secolo scorso, che coincidono proprio con l’inizio della “Grande accelerazione”, ossia l’aumento vertiginoso degli impatti antropici sul Pianeta, emissioni di anidride carbonica e altri gas serra in primis.
Nel frattempo però, epoca geologica ufficiale o meno, l’Antropocene è entrato a piè pari nell’immaginario collettivo, assumendo miriadi di forme e declinazioni diverse. Forse sarebbe meglio chiamarlo in un altro modo, dicono alcuni scienziati. Il termine Antropocene, così come Olocene o Pleistocene per dire, ha un significato ben preciso nelle scienze geologiche e non è un passepartout. Il fatto è che questa parola ha una strepitosa potenza evocativa, sarebbe ben poco saggio quindi non utilizzarla per richiamare l’attenzione sull’emergenza planetaria.
“Antropocene è una di quelle parole che hanno un potere fortissimo, quasi totemico. La sua storia – afferma ad Agenda17 Telmo Pievani, docente di filosofia delle scienze biologiche presso il Dipartimento di biologia dell’Università di Padova – è legata a un fenomeno di comunicazione. Il termine è stato introdotto quasi per caso dalla comunità scientifica e poi ha avuto un successo planetario assolutamente inaspettato a livello mediatico.”
Un concetto da maneggiare con cura
Il concetto di Antropocene non può che essere incorniciato in un frame di valenza più ampia e generale rispetto a quella strettamente tecnica, propria delle scienze della Terra. Ma c’è bisogno di una chiave di lettura chiara, che permetta di delinearne in modo lucido il campo d’indagine, per mantenere il giusto equilibrio tra rigore scientifico e deriva pop. Altrimenti il significato di Antropocene, con la complessità delle sue sfaccettature, rischia di essere banalizzato se non addirittura travisato e malinterpretato.
“Quando si parla di Antropocene – spiega Pievani – bisogna distinguere due dimensioni, una ristretta e una più ampia. La dimensione ristretta è di tipo geologico, la nuova epoca deve iniziare in un momento ben preciso, con un segno chiaro per i geologi. Lo strato radioattivo è perfetto perché anche tra milioni di anni si vedrà la cesura negli strati rocciosi. Questa segnala l’epoca recente, in cui l’umanità è diventata un fattore geologico su larga scala.
In senso ampio, metaforico, tutti i concetti scientifici hanno un alone di interpretazione artistica e culturale. Questa dimensione è preponderante nel caso dell’Antropocene, anche perché il concetto chiama in causa l’antropos del mondo classico e include molte sfumature geopolitiche e di giustizia sociale.”
Comunicare l’Antropocene come call to action per il cambiamento
Il concetto di Antropocene ha dunque una valenza iconica, emotivamente carica, che si staglia nell’immaginario. Ma in che modo possiamo farne un alleato per diffondere la coscienza ecologica tra le persone, per renderle consapevoli della crisi climatica e ambientale in cui ci troviamo, per incoraggiarle ad agire?
“L’Antropocene è un iperoggetto talmente variegato, vasto e non lineare che è molto difficile abbracciarlo a tutto tondo senza correre il rischio di essere ideologici, vaghi e poco efficaci. Può essere utile affrontarlo in prospettiva evolutiva – afferma Pievani – partendo dal passato per arrivare al presente. L’Antropocene riguarda la natura profonda del rapporto tra essere umano e ambiente, che è ambivalente. Noi siamo una specie creativa, ma anche invasiva e predatoria, e l’Antropocene ne è la perfetta esemplificazione. La nostra specie, Homo sapiens, impatta da molti millenni sull’ambiente, ma ora viviamo in un momento speciale: dalla metà del secolo scorso, tutte le curve di impatto antropico hanno mostrato un’impennata.
Il paradosso è questo. Se inseriamo nella narrazione solo gli aspetti legati all’evoluzione, al nostro passato remoto, il rischio è che le persone pensino che è sempre stato così e non si sentano chiamate in causa. Se per contro puntiamo il riflettore solo sull’aspetto recente dell’Antropocene, potrebbe esserci il messaggio fuorviante che una volta il rapporto tra uomo e natura era paradisiaco, e solo di recente questa grande armonia è stata infranta.”
L’approccio basato su scale temporali differenti è proprio quello utilizzato da Pievani nei suoi libri “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene” e “Il giro del mondo nell’Antropocene”. In questo caso la prospettiva è invertita: i protagonisti si muovono in un futuro immaginario remoto, dove gli impatti del cambiamento climatico sono stati davvero pesanti. Ma il lettore si rende presto conto che quello che pare così lontano, in realtà, è già iniziato e ci coinvolge proprio adesso.
“Si utilizza la distopia in modo ironico – puntualizza Pievani – per raccontare il presente. Questo approccio funziona perché calcare solo sull’aspetto catastrofista porta a un atteggiamento di rassegnazione, mentre trovare chiavi di lettura ironiche alleggerisce gli animi ma fa capire che siamo nei guai e dobbiamo agire subito.”
Ci sono poi altre chiavi narrative efficaci per comunicare l’Antropocene. Si tratta di operazioni integrate e sinergiche, da comporre e orchestrare con una visione di ampio respiro per cogliere e trasmettere le mille sfaccettature di uno stesso problema: l’emergenza planetaria.
“Una di queste chiavi – conclude Pievani – è il giornalismo scientifico di inchiesta applicato alla crisi ambientale e al climate change. La svolta è non parlare del fenomeno solo in generale ma verticalmente, stringendo il focus sulle persone, sui singoli casi, sui disastri e le soluzioni.
Mentre le mostre, le opere teatrali, gli interventi musicali rispondono a un’altra esigenza ancora. Raccontare la scienza mescolando linguaggi diversi permette di ampliare il target, per non rivolgersi sempre e solo a chi è già motivato. Le angolature artistiche aprono scenari nuovi, introducono l’aspetto emozionale e raggiungono un pubblico più ampio. Le persone si trovano di fronte a connessioni inedite, vivono un’esperienza di forte impatto emotivo, con un effetto sorpresa che potenzia l’efficacia comunicativa.”