Piogge estreme che causano inondazioni alternate a siccità e desertificazione: ne avevamo già parlato a novembre Con Paolo Ciavola, docente di Geografia fisica e dinamica costiera dell’Università di Ferrara. Da poco c’era stata l’alluvione nelle Marche, e allora avevamo titolato “Il Bel Paese si scioglie”. Venivamo da un’estate di siccità causata per Il bacino del Po da troppo caldo, con poca pioggia e neve. Poco dopo l’alluvione marchigiana abbiamo lamentato – ormai prevedibilmente – la grande siccità dell’autunno-inverno (una delle peggiori in assoluto). E ora la tragedia dell’alluvione che dall’Emilia-Romagna arriva di nuovo a lambire le Marche. Pochi mesi per troppi danni.
Vale la pena riportare le parole di allora:
….se una volta una certa quantità d’acqua cadeva nel giro di alcuni mesi, ora accade sempre più spesso che la stessa mole d’acqua si riversi sul terreno in poche ore. Può sembrare un controsenso, ma se l’acqua arriva tutta in una volta rischia di produrre un effetto più negativo che benefico, per vari motivi.”
Le piogge estreme, infatti, quando arrivano sul terreno dopo una lunga siccità tendono a scorrere in superficie, perché il terreno secco è più impermeabile. Questo aumenta il rischio di allagamenti e porta alla rimozione del suolo, innescando a lungo termine un processo di desertificazione che inasprisce ulteriormente il problema.
L’evento estremo fa aumentare di molto anche la probabilità che i fiumi esondino e che, in ambiente urbano, le strade e le pavimentazioni si allaghino perché entrano in crisi i sistemi di drenaggio, talvolta anche a causa della scarsa manutenzione.
A rileggere quelle parole – ma sono la sintesi giornalistica di un’imponente produzione scientifica – era già tutto chiaro, e da molto tempo. Rileviamo, en passant, che battute di caccia per la soluzione finale di nutrie e istrici, che per amministratori non sempre attenti alla cura del proprio territorio sembrano diventati responsabili del disastro, non appassionano la comunità scientifica.
Sostenibilità: dalle parole ai fatti
Sostenibilità – anche per il suo frequente accostamento ossimorico con “sviluppo” – è diventata una parola slabbrata e consunta. Per fortuna negli ultimi tempi si è venuta affermando una prospettiva che potrebbe consentire di intervenire efficacemente. Da una parte c’è una comunità scientifica – con formazione e competenze disciplinari anche molto lontane fra loro – che è giunta ad analisi e conclusioni largamente condivise: la controversia sulle cause antropiche del cambiamento climatico è sostanzialmente chiusa, e le “linee guida” per rispondere alle mutate manifestazioni metereologiche individuano ampie e solide basi comuni.
Dall’altra parte sembra anche diminuire, e significativamente, il divario fra le posizioni cosiddette “ingegneristiche” e quelle genericamente “ambientaliste”. È un risultato di grande rilevanza – addirittura determinante -, dovuto a molteplici fattori, di cui almeno due vanno citati: il modo di progettare degli ingegneri è molto cambiato, abbandonando un modello di gestione (e progettazione) del territorio (acque, ma non solo) basato su idee quasi solamente tecniche, mentre le associazioni ambientaliste sono state coinvolte a pieno titolo nella progettazione.
Il progetto di rinaturalizzazione del Po, che vede direttamente coinvolto il World Wild Fund (WWF), è un caso eclatante. Un’alleanza tra ingegneri, biologi e scienziati della terra per soluzioni nuove per il bacino del Po e per armonizzare i corsi d’acqua con un assetto il più possibile naturale era già stata prospettata nel 2021 da Alessandro Valiani, docente di idraulica Unife.
Analisi, idee e progetti al Festival Asvis
Il 30 maggio, nell’ambito delle attività del Festival Asvis, sarà l’occasione per affrontare questi temi da diversi punti di vista. Di seguito proponiamo un contributo per Agenda17, partner dell’evento con il patrocinio della Rete delle università per lo sviluppo sostenibile (Rus) di Mauro Monti, direttore generale Consorzio di bonifica Pianura di Ferrara, che terrà la relazione introduttiva. Ed è veramente di grande interesse vedere che anche istituzioni storiche come i Consorzi di bonifica, nate in contesti affatto diversi, leggano le esigenze del territorio mutate dal clima e propongano soluzioni innovative articolate in maniera equilibrata sulle diverse esigenze ambientali e produttive e chiedano alla politica di imporre limiti e tutele allo “sviluppo”.
La “ricetta” degli ambientalisti la propongono Chiara Spallino e Sandy Fiabane che hanno intervistato Paolo Pileri, docente di Pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale presso il Politecnico di Milano, che proprio nel progetto di rinaturalizzazione del Po indica l’esempio di collaborazione da seguire per superare l’esiziale mancanza di unità di regia e di pensiero sui fiumi.
“Un buon progetto che non tenga conto degli aspetti di compatibilità ambientale è un cattivo progetto”. Parola di Leonardo Schippa, ingegnere idraulico, docente di Idraulica Fluviale e protezione idraulica del territorio dell’Università di Ferrara. Ed è un’efficace sintesi del cambio di paradigma che è avvenuto nel modello di progettazione e gestione ingegneristico, come ci racconta nell’intervista rilasciata a Michele Fabbri.