Che relazione c’è tra dinamica demografica e offerta di servizi sanitari? Oltre a un evidente rapporto quantitativo, per cui, in virtù dell’universalità delle prestazioni garantite dal nostro Servizio sanitario nazionale l’offerta deve raggiungere tutta la popolazione, c’è anche una complessa correlazione qualitativa fra la composizione demografica e la tipologia dei servizi e delle prestazioni necessari. Il caso della popolazione anziana è esemplare, ed è diventato importantissimo nei Paesi sviluppati; nel nostro in particolare.
Se ne parlerà a Ferrara il 25 maggio nel corso del seminario Dinamiche demografiche e servizi sanitari di prossimità organizzato dal Coordinamento Emilia Romagna sostenibile e da “Ferrara sostenibile 2030”.
Partiamo dal dato demografico. Secondo l’Annuario socio-economico ferrarese 2022, pubblicato dal Centro ricerche documentazione e studi (Cds), l’Indice di dipendenza della popolazione anziana, vale a dire la percentuale di persone oltre i sessantacinque anni rispetto al totale della popolazione, è di 22% per l’intero Paese, mentre sale al 22,4% per l’Emila-Romagna, e arriva al 27,5% nella Provincia di Ferrara. Dunque, nel territorio estense quasi una persona su tre ha più di sessantacinque anni: un record di anziani in un Paese di anziani.
Il dato è ancor più impressionante se l’analisi si focalizza sull’indice di dipendenza relativo ai Grandi anziani: in tutto il Paese sono undici su 100 abitanti, in Emilia-Romagna arrivano al 12,7% per toccare il 14,6% a Ferrara.
È il risultato di diversi fattori demografici di una Provincia che negli ultimi vent’anni ha visto la popolazione ridursi del 1% mentre gli over sessantacinque sono aumentati del 14%.
Un ultimo dato interessante è quello che descrive i due estremi della curva demografica (l’Indice di vecchiaia): per ogni giovane sotto i quattordici anni a Ferrara ci sono 2,5% persone sopra i sessantacinque: di nuovo in testa alle classifiche regionali. Come sarà in futuro, a meno di drastici e per ora imprevedibili cambiamenti, è facile prevederlo.
È ovvio che una popolazione fortemente caratterizzata da un dato anagrafico così polarizzato richiede un’appropriata offerta sanitaria. Non solo diminuiscono quantitativamente i bisogni di cura legati alla nascita e all’infanzia e aumentano quelli legati all’età avanzata, ma cambiano anche, e soprattutto, i bisogni di assistenza.
Abbiamo chiesto a Carlo Zanotti e Rino Cavallini, medici e membri di Ferrara sostenibile 2030, di affrontare con Agenda17 alcuni aspetti della questione che verrà analizzata nel seminario.
L’invecchiamento della popolazione comporta specifiche esigenze sanitarie. Quali sono i bisogni di cura e di assistenza che diventano più rilevanti? E in che rapporto stanno cura e assistenza?
“Secondo il rapporto di Italia Longeva 2022, in Italia su cento persone over sessanta, venti sono affette da fragilità moderata o severa che, rapportato alla popolazione italiana, corrisponde a quasi quattro milioni di anziani con aumentati bisogni socioassistenziali.
Si tratta di persone affette da multiple malattie, trattate con numerosi farmaci e contraddistinte da forti limitazioni nella funzione fisica e/o cognitiva. La presenza di molteplici malattie croniche, indicata come multi-morbilità, e l’aumentata vulnerabilità agli eventi esterni dovuta alla perdita di riserva fisiologica in numerosi organi e sistemi, chiamata fragilità talora associata a perdita di riferimenti affettivi, comportano un forte aumento di cure e assistenza. Queste persone, oltre alle cure, intese nel senso di terapie, necessitano di setting assistenziali commisurati alla gravità del caso e della situazione sociale e familiare.”
Spesso, anche in relazione a un marcato invecchiamento della popolazione anziana, si parla di medicina di prossimità. Cosa significa? E perché sarebbe utile?
“La medicina di prossimità non significa solo vicinanza fisica ma fiducia e facilità di accesso. Mi rivolgo cioè al medico/infermiere del quale ho fiducia e al quale posso rivolgermi con maggiore facilità.”
In occasione dell’epidemia di Covid-19 si era parlato molto di medicina di prossimità. Sembrava la risposta giusta. Vale anche per le “epidemie” di malattie cronico degenerative correlate all’invecchiamento?
“Certamente le malattie cronico degenerative, per la loro diffusione e prevalenza si possono considerare una ‘epidemia’.”
Ci sono buoni esempi di medicina di prossimità che funziona, che possano servire da modello?
“L’assistenza primaria del medico di famiglia è il primo punto di contatto in un sistema sanitario e si deve concentrare sulla persona come un tutto integrale ed esserne un esplicito punto di riferimento con relativa responsabilità. Questo medico dovrebbe essere più accessibile di quanto è ora. È stato dimostrato essere il fattore principale per un reale miglioramento dell’assistenza per le persone anziane con problemi complessi e per il coordinamento e l’integrazione delle cure.
Oltre che agire sulle modalità di risposta dei servizi sanitari alla diffusione delle malattie cronico degenerative legate all’invecchiamento della popolazione, bisogna agire sulla prevenzione della loro insorgenza e sull’accompagnamento alla loro interpretazione, aiutando a distinguere ciò che nell’età avanzata fa parte della fisiologica riduzione della capacità degli organi e degli apparati e dei conseguenti inevitabili adattamenti e limitazione nelle abitudini e nelle aspettative da quello che è patologico.
Questa prevenzione si basa sul cambiamento degli stili di vita ma anche e soprattutto sulla riduzione delle disparità sociali, perché è dimostrato che le persone che vivono in condizioni socioeconomiche sfavorevoli hanno maggiore facilità di incorrere in malattie cardiocircolatorie e metaboliche. Utile per questo la divulgazione di una cultura della prevenzione e di un’adeguata interpretazione dell’età nei centri sociali di ritrovo degli anziani.”
(a causa dell’alluvione in Emila-Romagna, l’evento è stato rinviato a data da definire. Aggiornamento ore 16 del 24/05/23)
Il tema trattato nell’intervista di Michele Fabbri a Michele Zanotti e Rino Cavallini resta di straordinaria attualità considerato l’invecchiamento della popolazione e lo straordinario peso delle malattie cronico degenerative responsabili del 91% delle cause di morte in Italia (WHO 2022).
Ne consegue l’urgenza di intervenire a partire dalle Case della Comunità individuate come modello organizzativo dell’assistenza socio-sanitaria di prossimità (DM 77/2022) per lo sviluppo dell’ assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha finanziate oltre 1300, ci ha fatto ben sperare ma non basta le case andranno effettivamente realizzate e messe in grado di essere operative fornendo risposte sul fronte socio-sanitario indispensabili ad affrontare il tema della cronicità, senza ovviamente trascurare la prevenzione nelle sue diverse declinazioni primaria, secondaria e terziaria.
Grazie Dottoressa Guberti, serve però mantenere un certo spirito critico che deriva da una esperienza con luci ed ombre di case della salute.
Queto modello rischia di allontanare fisicamente l’ambulatorio medico dal paziente, soprattutto quando anziano, ed essere più funzionale agli operatori che al paziente stesso.
Ben vengano pertanto le case di comunità, quando ne abbiano i contenuti, ma, considerate le notevoli differenze nella distribuzione della popolazione sul territorio, non devono rappresentare una limitazione alla loro accessibilità. Dal punto di vista funzionale poi, molti aspetti di “comunità ” potrebbero essere comunque ricreati in forma telematica ed anzi, avrebbero già potuto e dovuto esserlo.
La responsabilità professionale è poi la base per la costruzione di servizi più attenti ai bisogni delle prsone più fragili, qualsiasi sia il contesto o il modello organizzativo.
Rino Cavallini Carlo Zanotti