“Le grandi potenze oggi coinvolte nel conflitto in Ucraina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Onu), avevano tutti gli strumenti per prevenirne lo scoppio. Invece non hanno voluto farlo e ora, in un’epoca in cui pensavamo di essere usciti dall’incubo delle guerre, ci troviamo di nuovo dentro uno scontro globale, guidati da una leadership politica internazionale che non sta facendo nulla per costruire la pace.” È quanto dichiara ad Agenda17 Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Padova e coordinatore nazionale della Rete università per la pace (RUni Pace).
Mascia sarà tra i relatori del convegno “L’Europa per la pace” che si terrà a Ferrara il 10 maggio. Il suo intervento, a chiusura dell’incontro, sarà dedicato a “Le relazioni internazionali Europa, Ucraina, Russia dopo lo scoppio della guerra”. In vista di questo appuntamento, facciamo il punto sull’attuale quadro geopolitico e le prospettive future dei rapporti tra gli Stati.
La Cina può favorire il negoziato solo se c’è anche la volontà degli Usa
La recente telefonata di Xi Jinping a Zelensky ha riaffermato l’iniziativa cinese nel conflitto. Dopo il piano di pace in dodici punti, respinto però dagli Stati Uniti, la Cina continua a muoversi tentando di promuovere un cessate il fuoco sul fronte europeo.
“La Cina – afferma Mascia – cerca di aprire la strada a un negoziato, anzi a un negoziato del negoziato perché, in una situazione delicata come questa, bisogna anzitutto decidere come si svolgerà il negoziato vero e proprio. Il suo obiettivo è ottenere un cessate il fuoco, quindi fermare i combattimenti e promuovere la de-escalation militare.
Per farlo servono però autorità, visione e una proposta capace di offrire un domani migliore del ieri per tutte le parti coinvolte, ma soprattutto occorre la volontà di collaborare e di rinunciare a qualcosa da parte di ognuno.
In un conflitto globale come questo, quindi, la Cina può favorire il negoziato solo se a volerlo sono anche gli Stati Uniti: bisogna capire fino a che punto ci sarà questa disponibilità. La partita è aperta: quello che possiamo dire con certezze è che nessuno può vincere, perché oggi le guerre non si vincono più.
Si tratterà quindi di trovare un accordo tenendo conto di quanto avviene sul terreno. Al momento le notizie non sono rassicuranti, soprattutto l’insistenza della North Atlantic Treaty Organization (NATO) e dell’Ucraina affinché quest’ultima entri nell’Alleanza, il che non favorisce certo l’avvio del negoziato.”
La leadership globale ignora i diritti umani
Questa guerra è globale anche per un altro motivo: sta mettendo in discussione l’ordine internazionale nato all’indomani della Seconda guerra mondiale. “Quest’ordine – prosegue il docente – è stato messo in discussione tante volte dopo la caduta del muro di Berlino: pensiamo alla prima Guerra del Golfo, all’invasione dell’Afghanistan, o alla guerra preventiva contro l’Iraq nel 2003. Oggi lo sta facendo anche la Russia.
In termini di ‘egemonia’ internazionale, però, non so cosa accadrà. Certamente a uscirne con le ossa rotte è l’Europa, che non ha saputo prevenire il conflitto né contribuire alla costruzione della pace in quella Regione. Dall’altro lato, gli Usa stanno cercando di mettere in ginocchio il regime di Putin senza avere un’alternativa e non sappiamo fino a dove vogliono arrivare.
Il vero problema è che nessuno parla più di multilateralismo: per uscire da questa crisi e dalle molte guerre civili nel Mondo è necessario rilanciare il multilateralismo e il ruolo delle Nazioni unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. È questa la chiave del ragionamento sul futuro ordine mondiale.
Invece prevale la legge della forza sulla forza della legge. Abbiamo una leadership politica globale che fa la guerra in giro per il Mondo, che respinge i migranti, che non riesce a prendere le decisioni necessarie a fermare la crisi climatica, che non rispetta i diritti umani (non solo perché fa la guerra ma anche perché non finanzia più gli organismi internazionali di tutela) e non riesce a porre al centro la persona umana, perché pensa di costruire la pace aumentando le spese in armamenti.
In Ucraina oggi la questione è: deve prevalere il principio dell’integrità territoriale o il rispetto del diritto alla vita? Se garantire quell’integrità significa la morte di migliaia di persone, allora è una follia. Si sarebbe potuta e dovuta trovare una strada diversa da questo omicidio collettivo, perché oggi ci sono gli strumenti di prevenzione che prima e durante la Seconda guerra mondiale non c’erano. Se invece sul diritto alla vita e alla dignità umana prevalgono egoismo, nazionalismo e legge del più forte, allora sarà difficile uscire da questa situazione.”
La società civile vuole stop alle armi e avvio del negoziato
In parallelo, ricorda Mascia, completamente escluso dai grandi mezzi di comunicazione c’è un mondo che chiede la fine del confitto e lo stop all’invio delle armi. “Nel frattempo bisogna dare voce a quelle realtà della società civile che, da quando è iniziato il conflitto nel Donbass nel 2014, chiedono l’intervento dell’Onu per dare quell’autonomia che le Regioni chiedevano al Governo di Kiev e che questo non ha concesso.
Se analizziamo il conflitto emergono dunque tante responsabilità, anche se quella principale rimane della Russia. La situazione è complessa, ma non ci sono segnali di voler costruire un ordine internazionale veramente pacifico, solidale e democratico, e finché non c’è la volontà di potenziare il multilateralismo sarà difficile una pacificazione nel Mondo.”
Diverse le colpe e le responsabilità dell’Europa
“In tutto ciò – prosegue – l’Ue ha perso la bussola e smarrito la strada dei padri fondatori delle comunità europee: da un progetto di pace nato durante e dopo la Seconda guerra mondiale si è trasformata in un progetto volto ad alimentare la nuova conflittualità tra Stati Uniti e Russia.
Le sue colpe sono diverse: anzitutto non ha saputo costruire con la Russia quel dialogo e cooperazione che erano fondamentali per prevenire il conflitto. Inoltre non ha preso una posizione diversa da quella dell’amministrazione Biden né ha voluto assumersi la responsabilità di promuovere un negoziato reale e coraggioso in un contesto multilaterale.
Non ha saputo inoltre, dopo la caduta del muro di Berlino, favorire la nascita di un sistema di sicurezza che avesse come punto di riferimento non la NATO ma l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Organization for Security and Co-operation in Europe, OSCE). Dopo il 1989, infatti, un gesto forte e risolutivo sarebbe stato chiudere l’esperienza della NATO e aprire a un nuovo corso che coinvolgesse tutti, compresa la Russia.
Questa sarebbe stata una scelta coraggiosa, ma così non è stato e, anche successivamente, l’Ue non ha saputo o voluto valutare le conseguenze delle sue scelte.”
La pace non si costruisce con la guerra, ma facendo la pace
“Migliaia di vittime – conclude il docente – e profughi, crisi economica, aumento dei prezzi, crisi alimentare globale, che sta tornando attuale ora che bisogna rinnovare l’accordo per il grano, crisi sociale, aumento delle diseguaglianze e delle spese militari: questa guerra dimostra che l’Ue non ha una politica estera di sicurezza comune né una sua visione dell’ordine mondiale.
Inoltre è sempre più divisa al suo interno, ad esempio sull’invio di armi all’Ucraina, sulle sanzioni e sull’allargamento della NATO a Finlandia e Svezia. E c’è un’importante divisione dell’opinione pubblica: ne è esempio emblematico il nostro Paese, dove la maggioranza della popolazione è contro l’aumento delle spese militari e l’invio di armi, ma i governanti non la ascoltano.
Insomma, gli Stati europei non hanno capito che il detto latino si vis pacem, para bellum non funziona più, ammesso e non concesso che abbia mai funzionato. La strada da intraprendere è piuttosto quella del si vis pacem, para pacem: continuare a produrre e usare armi, infatti, non porterà mai alla pace.”